Confession of Pain
di Andrew Lau, Alan Mak
Hong Kong 2006, 110' min

Con CONFESSION OF PAIN si ricompone la coppia Andrew Lau/Alan Mak,
responsabile della trilogia di INFERNAL AFFAIRS, forse il noir hongkongese
più importante degli ultimi anni, che, oltre ad aver ispirato Scorsese, ha
aperto a Lau le porte di Hollywood (imminente l’uscita USA di THE FLOCK, con
Richard Gere). Inevitabile, dunque, che il nuovo film di Lau rivesta un
ruolo di primo piano a questo Far East, anche alla luce del fatto che
CONFESSION OF PAIN si presenta come un seguito ideale, seppur spurio, della
citata trilogia. C’è la Hong Kong notturna e ipercinetica, c’è la sottile
linea tra responsabilità e istinto a tagliare a metà il racconto, c’è la
dicotomia tra due personaggi che si riflettono l’uno nell’altro. Insomma,
questa storia di detective alcolizzati e poliziotti senza scrupoli è a tutti
gli effetti il ritorno di Lau a quel noir lirico e melodrammatico che più
sembra essere nelle sue corde. Peccato che il film sia una cangiante bolla
di sapone. Costruito intorno a un’estetica stylish, che riverbera C.S.I. e
Park Chan Wook, Brian De Palma e Michael Mann, CONFESSION OF PAIN è un
susseguirsi non sempre coerente di colpi di scena di varia natura.
L’intreccio amoroso, qui davvero predominante, consente l’utilizzo di un
doppio arsenale di plot twist: quelli legati all’assassinio del ricco
magnate e quelli legati alle relazioni tra i personaggi. Il cinema di Andrew
Lau, che pur qui costruisce un film appassionante nella sua vacuità, sembra
essersi arreso a ricalcare la propria forma, raccontando storie che
assomigliano a meccanismi perfetti e inutili. 22/30
Tazza: The High Rollers
di Choi Dong-Hoon
Corea 2006, 139'

Presentato in sala dal regista e dall’attrice Kim Hye-Su (THE RED SHOES),
vera star dell’olimpo del cinema coreano e ospite più atteso di questo Far
East, TAZZA: THE HIGH ROLLERS sembra una versione coreana e piuttosto
strampalata di ROUNDERS, il bel film di John Dahl sul poker. Qui, al posto
del Texas Hold ‘Em, c’è lo Hwatu, un poker giocato con carte minuscole in
cui barare è quasi normale e la presenza di un “fish” (ovvero un pollo da
spennare) al tavolo una condizione necessaria per lo svolgimento della
partita. Quindi truffe e controtruffe operate da due maestri dell’arte della
manipolazione, che, loro malgrado, finiscono al tavolo con un pescecane più
affamato di loro e rischiano di perdere dita e orecchie (questo il prezzo da
pagare per chi bara). Il film è divertente e ben girato e, sebbene non sia
facile decifrare le regole del gioco, l’intelligenza completa delle
dinamiche dello Hwatu non è necessaria per godere di due ore abbondanti
(venti minuti in meno non avrebbero fatto male) di partite, ricatti,
energumeni tatuati e look eccentrici. Quello che fa di questo TAZZA: THE
HIGH ROLLERS un film divertente ma non imprescindibile è l’ossequio
eccessivo nei confronti delle regole del genere “belli, ben vestiti e
truffatori”, il cui copione viene rispettato religiosamente con la messa in
scena del dinamico duo (uno figo e spregiudicato, l’altro un po’ nerd ma
calcolatore), dell’anziano maestro destinato a lasciarci le penne e della
femme fatale d’altissimo bordo che fuma sigarette col bocchino. Spensierato
fumettone senza grandi sorprese. 24/30
My Name Is Fame
di Lawrence Lau
Anno: 2006
Hong Kong 2006, 96'

Commedia misurata e un po’ amara sullo starsystem hongkongese, MY NAME IS
FAME, nuovo lavoro di Lawrence Lau, racconta di un attore in declino (Lau
Ching Wan), schiavo dell’alcool e di un look vagamente tex-mex, che decide
di rientrare nel mondo del cinema insegnando a una giovane attrice in cerca
di successo i trucchi del mestiere. L’attrice in questione, Fei, ha il volto
della promessa del cinema cinese Siyan Huo, e, pur doppiata, è il vero punto
di forza del film. L’evoluzione del rapporto tra i due personaggi, segnato
inizialmente dall’attrito fra il cinismo del maestro e l’ingenuità
dell’allieva, vive pienamente nell’interpretazione di Siyan Huo, che ben
interpreta i toni della commedia e non eccede nel dramma. Qualche
sdolcinatezza è concessa e forse necessaria, ma il film di Lau evita
ristagni melodrammatici e racconta in modo spesso sottile la vicenda di chi,
per ragioni diverse e con aspettative diverse, si accontenta delle briciole
dello starsystem. Coinvolgono un ritmo ben calibrato e un tono
sufficientemente leggero e, a suggello di un bel film, non sorprende un
finale che ha l’intelligenza di scegliere la soluzione più semplice eppure
più affascinante. Da inserire nel prossimo carrello della spesa a oriente.
27/30
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