Brasileirinhos, 4

Caetano Veloso, breve historia

di Gabriele FRANCIONI

 

Qualquer coisa sobre CAETANO

 

1967/ 1972

 

OPPOSIZIONE 2: BRASILE- INGHILTERRA

Aspettando il concerto, per l’ennesima improbabile associazione mentale, ci viene in mente il Veloso londinese, quello dal ’69 al ’72.

I baronetti erano in crisi e in giro si udivano i primi vagiti progressive e reggae.

Cosa ci faceva “un eunuco sudamericano a Londra” nel pieno della rivoluzione pop e a due anni dalla morte del Chè?

Era un infiltrato della rivolta filocastrista?

No, era in esilio, speditovi dal governo del suo Paese.

Il regime militare brasiliano non amava quel chiacchierone dalla capigliatura afro, impossibile da etichettare.

Diviso tra la fede cool e nazionalista nella bossanova (la Scuola del Canto Sommesso di Joao Gilberto) e l’hyppismo anti-tradizionalista, Veloso agitava i sonni dei golpisti del ’64, che fecero un unico “pacco” della controcultura sessantottina e lo spedirono fuori dal Brasile.

Foglio di via al sommo poeta Chico Buarque De Hollanda, destinazione Roma, al futuro ministro della cultura Gilberto Gil e al povero Caetano di Santo Amaro, vicino a Bahia.

CV, o “della contraddizione vivente”, aveva messo le cose in chiaro subito: il primo verso di “Alegria, Alegria”, inno del movimento giovanile, suonava così: “Caminhando contra o vento, eu vou” (vado per la mia strada, camminando controvento).

Un polemista nato, un bastiancontrario per vocazione, testardo e sempre più incazzato col mondo, che lo aveva chiuso in cella prima del viaggio premio a Londra.

Un artista completo con velleità cinematografiche, tanto da partorire titoli come ”Giulietta Masina”, “Cinema Trascendental”, “Michelangelo Antonioni” e “Cinema Novo” (“…e foi por isso que as imagens do pais desse cinema entraram nas palavras das cançoes” – “perciò le immagini del paese di questo cinema entrarono nei testi delle canzoni”).

TERRA EM TRANSE dell’amico Glauber Rocha gli fornì l’ispirazione per imprimere una svolta alla musica brasileira di 40 anni fa.

Ecco che torniamo al punto di partenza, al 1967 anno del film, della morte del Chè, ma anche del Monterey Pop Festival e del più piccolo Festival da Música Popular Brasileira.

La pellicola era zeppa di teoria guevariana sul suicidio dell’intellettuale, di gioco delle parti tra un politico, un idealista e un comunista doc, il tutto passato al setaccio della sulfurea visionarietà rochiana.

Insomma, una specie di UCCELLACCI E UCCELLINI ridotto al grado zero di un primitivismo spogliato dell’incalzante dialettica pasoliniana.

Caetano riuscì a portare l’impeto rivoluzionario di Rocha in un contesto più commerciale e internazionalista, mescolando proclami sul ritorno alle origini e ammiccamenti al pop da hit-parade.

Scontentò tutti: militari e universitari in lotta, cui il rock anglofono appariva come strumento di subdola colonizzazione culturale.

Fece in tempo a organizzare insieme a Gil, Torquato Neto e Capinam il “Movimento Tropicalia” su quella base teorica gioiosamente confusa –si ascoltino “Superbacana” e “Tropicalia”, canzone-culto celebrata anche dai Sepultura- e dopo 100mila copie del primo album si ritrovò con le manette ai polsi.

 

1972/2007

 

Messa da parte l’Inghilterra come una nebbiosa parentesi di saudade autoanalitica - a parte l’imbucata al festival dell’Isle of Wight del ’70 - e archiviato il solito rapporto conflittuale verso il Contesto (“You don’t know me”, “London London”), Caetano tornerà in patria deciso ad attendere tempi migliori.

Dal ’72 a oggi saranno 35 anni di successi e liti con la stampa, continui cambi di stile e voltafaccia, durante i quali i fantasmi contrapposti dell’opprimente nazionalismo e di un’utopica arte libera (il solito Mito del Rock o il Tropicalismo afro), perseguiteranno l’eternamente insoddisfatto Artista In Lotta Col Mondo, che aveva visto il re nudo la sera dell’arresto: 27.12.1969, quartier generale dell’esercito a Rio, accusato di vilipendio della bandiera brasiliana e dell’inno nazionale.

Come in un’epifania non più rinviabile, CAE vide finalmente gli Stati Uniti dietro il golpe militare e il Rock come maschera nefasta di una colonizzazione del Terzo Mondo.

Ogni suo nuovo lavoro, da quel momento, rifletterà il senso di tale doppio tradimento e di un’inappartenenza frustrante: essere straniero (estrangeiro) nella patria naturale (Brasile) e in quella, solo immaginaria, d’elezione (Usa).

Rimanevano, come ou-topie instabili, ma radici sicure del suo essere mulatto, l’Africa e l‘Europa latina.

Le Grandi Madri cui tendere, l’Eldorado prefigurato da Rocha ove attingere alle proprie fonti primordiali e rinascere intatti e puri (Angola, Congo) o riscoprire Storia e Cultura (Portogallo).

Veloso dedica al suo drammatico universo tetra-polare alcuni capolavori: l’Africa è BICHO (1977), lampo di luce assoluta e creatività solare; il Brasile è UNS (1983) e LIVRO (1997); gli Usa sono il suono di ESTRANGEIRO (1989), disco elettrico prodotto da Arto Lindsay e perfetto monolito ipermoderno; l’Europa trova spazio in TRANSA (1972) e in OMAGGIO A FEDERICO E GIULIETTA (1999), inciso dal vivo a San Marino.

 

Noi siamo rimasti al Caetano di LIVRO (1997), un po’ traditi dall’eunuco instabile dell’ultimo decennio.

Le ultime svolte sono un helter skelter  forzato, come la sbandata da tanguero argentino di FINA ESTAMPA.

L’inarrestabile mutazione genetica crea comunque nuovi adepti, ipnotizzati anche da Jacques Morelenbaum, ingaggiato a mo’ di deus ex-machina sub specie di violoncellista-arrangiatore.

Fino a “CE’”, fino alla tournée italiana del 2007. 

 

Brasileirinhos, 4 - Fine

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