iv ed. biografilm festival
international celebration of lives

Bologna, 11 - 15 Giugno 2008

 

di Valentina VELLUCCI

Commento

Focus on Syd Barrett

 

In un continuo crescendo di originalità e qualità, il Biografilm Festival ha dedicato il suo ultimo focus a un artista simbolo della “visionarietà”: Syd Barrett è stato infatti il protagonista della giornata finale del Festival. Un focus, quello dedicato a Barrett, mirato a far luce sul “diamante pazzo” dei Pink Floyd: si è evitata la popolarizzazione di Barrett, per lasciar posto a una figura totalmente inedita e affascinante sotto una luce tutta propria.
Artista complesso, sperimentale, spesso frainteso dai suoi stessi fan, mitizzato e distrutto come ogni idolo che si rispetti, Syd Barrett è sicuramente il personaggio più introverso raccontato da questo festival. A tentare di dispiegare il suo mito sono intervenuti Luca Ferrari, John Vignola, Alessandro Besselva Averame, Dario Antonetti e , come ospite d’eccezione, il nipote Ian Barrett, con tanto di famiglia al seguito.
L’originalità e l’unicità di questo focus risiedono nel tentativo di spogliare Syd Barrett dal “già detto”, esulando dall’esaltazione mediatica che spesso ha accompagnato il suo personaggio.
Ian Barrett è stato capace di restituire al pubblico un Syd Barrett come mai era stato raccontato.
“Per me Syd era solo uno zio”. Questa è la risposta disarmante che ha dato a chi per primo fra il pubblico gli ha chiesto di definire, attraverso una panoramica, il “diamante pazzo” dei Pink Floyd. Una retrospettiva personale su cene in famiglia, giochi e passeggiate in bici: una retrospettiva che ha regalato alla platea l’immagine di un Roger Keith totalmente inedito. Certo è strano pensare a Barrett come uno zio affettuoso, eppure è proprio questo che, abilmente, Ian ha lasciato trasparire.
Al primo impatto si rimane un po’ delusi a vedere il nipote di Syd Barrett come un uomo così tanto normale. Un padre di famiglia, con pochi capelli, incredibilmente normale, senza la bellezza e il carisma etereo di Syd. Ci si sente quasi un po’ presi in giro, dopo aver fatto una interminabile coda, nel sentir parlare un uomo così apparentemente normale di cose tanto normali. Eppure la magia del personaggio di Barrett risiede proprio in questo: la sua normalità nell’ambito familiare lo rende un incredibile “umanista”. Umanista nel senso più letterale del termine: un uomo che mette al centro l’uomo nelle sue emozioni. Barrett parlava poco in famiglia, così come con la stampa, probabilmente perché troppo preso dal vivere a pieno il suo universo immaginario.
Ian racconta che in famiglia non si parlava molto delle scelte di vita dello zio: era Barrett stesso a non volerne parlare, a voler lasciare Syd fuori dalla sua dimensione privata.
“Quando ero piccolo non capivo davvero chi fosse mio zio, solo andando avanti ho capito che era uno famoso”.
Il nipote ammette che lo zio era una persona molto taciturna, spesso preso da se stesso; ma anche una figura dotata di profonda ironia: “Mio zio raramente si prendeva sul serio: era il primo a presentarsi con grandi mutandoni color cachi solo per ridere.”.
Questo probabilmente di Barrett non è stato mai capito: l’ironia, che lo aiutava a non sprofondare mai troppo seriamente di fronte a una delusione e a continuare a sperimentare…sempre e comunque.
“Vorrei anche dire che non è vero che mio zio era un automa scollegato dal mondo, semplicemente era molto schivo”.
Questo suo essere così poco tollerante verso i media ha poi causato ciò che più ferisce la famiglia: ovvero la speculazione su pettegolezzi, rumors di ogni genere e voci di corridoio… “Qualsiasi cosa i giornali sentivano la spacciavano per vera, solo perché mio zio si era ritirato dalle scene senza aver rilasciato alcuna intervista”.
Certamente l’infanzia segnata dalla morte del padre, il fatto di essere continuamente sotto pressione, non deve poi aver aiutato molto la psiche di Barrett: “Oggi sono stato in aereo per un paio di ore, ho fatto uno scalo per venire qui, poi ho preso un altro aereo. Ora mi sento molto stanco. Posso solo provare a immaginare come doveva sentirsi mio zio a farlo quasi ogni giorno”.
Il ritratto che emerge del “diamante pazzo” dei Pink Floyd è estremamente lucido: non si cade in una sorta di autocommiserazione. Si parla anche del Syd drogato, depresso, che non riesce più ad alzarsi dal letto…nonostante questo non si cercano giustificazioni per la figura di Barrett, ma si cerca di far capire che ciò che ha fatto Syd è stato semplicemente operare delle scelte.
Luca Ferrari, uno dei massimi esperti sul visionario poeta dei Pink Floyd, arriva a dire che “Barrett ci ha preso in giro tutti”. Quella che potrebbe sembrare un affermazione poco attinente al caso di questa rock star maledetta, è forse, invece, la frase risolutiva di tutto il focus.
Dicendo infatti che Syd Barrett ci ha preso in giro tutti, Ferrari introduce la logica della scelta in una figura che è stata spesso ritenuta incapace di intendere e di volere perché troppo alterata dalle droghe.
Barrett è partito come uno studente di pittura, quindi un ritorno alla sua antica passione non è poi così impensabile come si sostiene. Probabilmente Barrett ha soltanto scelto di cambiare registro comunicativo, mezzo di espressione. La sua necessità di esprimersi stava forse cercando vie alternative.. e probabilmente la pittura in quel momento rappresentava lo “strumento” liberatorio di Barrett.
Dopotutto il passaggio alla pittura non era il primo cambio di registro per Barrett: le sue produzioni musicali all’inizio sono squisitamente pop. Infatti, come lui stesso aveva dichiarato in una delle sue rare interviste, “ il pop ha una grande forza comunicativa. E io ci credo”. Barrett non era altro che uno sperimentale: se le scelte di uno “sperimentalista” non sono radicali, non posso dirsi delle vere e proprie scelte. Certo la parabola post-moderna di Barrett (è così che Ferrari ama chiamare la favola di un Roger Keith che si trasforma nel mitico Syd Barrett, per poi reclamare la sua vecchia identità), esercita sul pubblico il fascino del silenzio. È il non-detto a far da padrone nella storia di Barrett.
È opinione comune che giunto alla fama coi Pink Floyd, Syd avesse tutto ciò che una star potesse desiderare: fama, gloria, belle donne, potere, una vita in cui ogni eccesso può essere giustificato e accontentato. A Barrett questa etichetta è stata sempre troppo stretta. È lo stesso Ferrari infatti ad aver ricordato come in una intervista del luglio del 67, Barrett venga costretto a presentarsi davanti ai giornalisti. Lo status di star non gli si addiceva, era più un artista low profile in pubblico.
John Vignola ha tentato invece una analisi del profilo più impenetrabile di Barrett: il Syd Barrett che compare in video. Sono stati infatti proiettati filmati riguardanti i Pink Floyd nell’era Barrett (alcuni anche inediti), l’omaggio di Peter Whitehead all’amico Syd, PINK FLOYD LONDON '66-67, e il documentario di John Edginton THE PINK FLOYD & SYD BARRETT STORY.
Il video che più di ogni altro ha suscitato interesse per la figura di Barrett è stato “Arnold layne”, primo singolo della band: è evidente in questo video come la figura di Barrett sia meno carismatica rispetto a quella di Roger Waters. Allo stesso tempo però, è possibile osservare la “visionarietà” dello stesso Syd Barrett. Per quanto la sua figura sia quasi nascosta, anche durante le riprese, Barrett tenta di “dare vita” al travestito di cui parla la sua canzone, giocando con il manichino del video.
Averame ha anche dato una spiegazione al testo di questa canzone. Nonostante molti abbiano malignato sul fatto che potesse essere Barrett il travestito protagonista di “Arnold layne”, la storia è in realtà diversa. La madre di Roger aveva un sorta di B&B che soleva affittare a delle studentesse. Un giorno qualcuno ha rubato la biancheria di queste ragazze.. e da lì la fantasia di Barrett ha prodotto il protagonista del primo singolo dei Pink Floyd. “Barrett voleva solo congiungere chi lo ascoltava al suo mondo fantastico, grazie alla forza comunicativa del pop”. L’immaginario fiabesco di Barrett si è proteso oltre i comuni limiti nella stesura della lisergica “Lucifer Sam”, che parla del gatto di una sua coinquilina, che Syd trasfigura in una creatura diabolica dai poteri malefici.
Il Barrett che appare in video, fra filmati editi e inediti proiettati al focus del Biografilm, viene spogliato dei contenuti universali e mediatici per restituirci una favola post moderna ricca di ombre: ombre dovute al genio di un Barrett spesso travolto dal suo stesso mondo immaginario. Un universo che Syd decide di chiudere nel momento in cui si sente attaccato dal suo stesso pubblico. Le sue poesie in musica non saranno più la porta di accesso per l’immaginifico barrettiano, bensì porte di un confine invalicabile fra il “diamante pazzo” e il mondo esterno.
Probabilmente Barrett si era accorto che la musica era un terreno ormai esaurito per le sue sperimentazioni. E se la sua esperienza coi Pink Floyd fosse stata solo una fase di passaggio per una sperimentazione polisensoriale dell’arte?
Non c’è da trascurare che Barrett fu il maggior sostenitore dei light show che non solo accompagnavano, ma completavano i suoi concerti. Barrett veniva da una scuola d’arte: potrebbe aver intrapreso la strada musicale solo per sperimentare una “terza via artistica”. Una musica polisensoriale che trapassava la saturazione dei sensi per giungere a una nuova forma di metacomunicazione, capace di aprirsi all’immaginario fiabesco di Barrett. Conclusa la sua fase sperimentale, Barrett, forse deluso, forse epilettico, forse pazzo, forse intorpidito dalle droghe…forse solo un artista che ha concluso quel tipo di sperimentazione, è tornato al suo antico amore: la pittura.
E vi è tornato con successo. Le tele che sono sopravvissute al suo istinto distruttivo (ha raccontato il nipote che Roger soleva raccogliere metodicamente le sue tele per poi farle a pezzi) mostrano un talento e una sensibilità al di fuori del comune. In esse riemerge il rapporto ossessivo col colore (probabilmente già sperimentato nei light show). La pittura non lo costringeva alla pressione mediatica, a rilasciare interviste ..e soprattutto lasciava allo spettatore la possibilità di aprirsi all’universo astratto di Barrett. Nella pittura Barrett ha ritrovato quell’intimità di cui il successo lo aveva privato. Il nipote Ian racconta un uomo molto diverso dallo “zombie cotto dalle droghe” che i media ci hanno sempre venduto.
Non c’è quindi da stupirsi, se Whitehead nutriva un amore quasi viscerale per i Pink Floyd e per la figura di Barrett in particolare. Era affascinato dalla presenza di Barrett sul video, dalla sua preponderanza nella scelta del nero per le sue apparizioni. In Barrett c’era un grado di impenetrabilità quasi ipnotico. In una sgargiante Londra pronta a farsi raccontare (TONITE LET’S ALL MAKE LOVE IN LONDON), Whitehead preferisce Barrett ai Rolling Stores, vedendo in lui la vera anima in continuo conflitto di una Londra in preda alla trasfigurazione sociale e culturale.

Il nipote di Roger Keith ha parlato, quasi con un punto di commozione, di quanto i fan siano stati vicini alla famiglia Barrett, non appena resa nota la notizia della morte di Syd. Un tributo a un artista polisensoriale che continua ancora oggi, visto che quasi 250 persone sono state “cacciate” dalle proiezioni del focus su Syd Barrett per mancanza di posti. Una testimonianza che rende giustizia al mito, all’artista e a Roger Keith Barrett.
 

 

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Bologna, 11 - 15 Giugno 2008