Assistere alla proiezione di SCOTT WALKER: 30 CENTURY MAN è come entrare
nella “Rothko Chapel” di Huston. Un luogo estremamente buio, che proietta
buio. Arricchito dalle 14 stazioni di Rothko: anch’esse buie. Molti
visitatori di questa cappella si lamentano di non riuscire a pregare, perché
tutto quel buio li soffoca, altri invece ne esaltano proprio la mancanza di
colore, che permette all’anima di dispiegarsi e di proiettarsi sulle tele
stesse di Rothko.
Il film dedicato a Scott Walker crea la stessa “gotica” atmosfera. C’è un
utilizzo del nero quasi sfrontato: a pensarci bene si compie quasi un abuso,
se abbinato alle musiche degli album “Scott4” e “Tilt”. Un uso del colore
che lascia lo spettatore provato, perché non vede lo sperimentalista Walker
attraverso le immagini del film di Kijak, ma lo scorge davvero solo fra una
sfumatura di buio e l’altra.
Un modo di raccontare “l’Uomo del XXX secolo” senz’altro suggestivo e
innovativo, proprio come si addice a uno dei musicisti le cui ultime canzoni
non vengono definite neanche tali. Per molti critici infatti, come mostrato
nel documentario, le canzoni degli album “Tilt”, “Pola X” e “Drift” non sono
più canzoni. E quando a Scott viene chiesto “Allora cosa sono?”, l’Uomo del
XXX secolo semplicemente risponde: “Non lo so. Non lo sanno neanche loro.
Per me sono ancora canzoni”.
Eppure è alquanto difficile dire che la colonna sonora del film di Kijak sia
composta da brani musicali. C’è qualcosa di evidentemente più angosciante,
altrimenti il suo documentario non risulterebbe così claustrofobico. Il
personaggio di Walker non esce “raccontato” da questo film, bensì
complicato. Anziché tentare di farlo uscire dall’aura mediatica che ha
percorso il suo personaggio, questa pellicola gli costruisce intorno un
alone di angoscia e solitudine, se possibile, ancora più denso.
Walker dichiara di essere stato vittima, sin da piccolo, di sogni orribili,
proprio come Dario Argento e Mark Rothko. Nessuno si preoccupa di
approfondire questo suo aspetto: non una domanda sulla relazione fra la sua
anima e il suo inconscio viene posta.
Questa è la pecca di SCOTT WALKER: 30 CENTURY MAN: probabilmente la profonda
riverenza che si ha nei confronti di Walker impedisce all’autore di
mantenere la giusta distanza fra sé e il suo “oggetto di culto”. Così
un’aura mitica è la causa dell’inizio “stonato” del documentario: il
paragone fra Orfeo e Walker.
Punto primo: non è assolutamente vero che Orfeo fu l’unico mortale a varcare
le porte dell’Ade. Vi era disceso e ritornato anche Ulisse (quando si tenta
un parallelo mitico sarebbe bene controllare le proprie affermazioni).
Punto secondo: se proprio si fosse voluto paragonare un soggetto mitico a
Walker, perché non prendere il mito di Pigmalione? Se c’è qualcosa che a
Walker riesce bene è quella di creare e di dare vita propria alle sue
“canzoni” (se ancora si possono chiamare così). Oppure si potrebbe
paragonare la sua musica al canto delle Sirene nell’Odissea. La musica di
Walker ha lo stesso potere attrattivo: è ammaliante e allo stesso tempo
porta con sé un inganno insospettato. Quella che si ascolta non è
semplicemente musica, è una sorta di sperimentazione polisensoriale degli
effetti del suono sul corpo e sull’animo umano.
Probabilmente il tentativo di mitizzazione è da addurre al produttore
esecutivo, David Bowie (che compare anche nel film), egli stesso icona
musicale che ha spesso contribuito alla creazione di leggende metropolitane
sulla sua persona.
L’uso del colore e la scelta di lasciar raccontare l’enigmatica figura di
Walker a Brian Eno e Radiohead è stata sicuramente apprezzabile, soprattutto
al fine di riconoscere all’ex Walker-Brothers il merito di aver creato la
“Scott Walker song”. Una canzone “alla Scott Walker” è una canzone
d’avanguardia, sperimentale e in nessun modo commerciale: ne è un tipico
esempio la poetica “Creep” dei Radiohead.
Vista la grandezza del personaggio da raccontare , è motivabile la mancata
“giusta distanza” fra Stephen Kijak e Scott Walker. Il documentario rimane
comunque un poetico e gotico omaggio a una delle figure più affascinanti di
questo secolo.. e forse anche del XXX.
|