iv ed. biografilm festival
 

Scott Walker: 30 Century Man
di Stephen Kijak

(Regno Unito/Stati Uniti 2006, 95')
 

di Valentina VELLUCCI

Commento


Assistere alla proiezione di SCOTT WALKER: 30 CENTURY MAN è come entrare nella “Rothko Chapel” di Huston. Un luogo estremamente buio, che proietta buio. Arricchito dalle 14 stazioni di Rothko: anch’esse buie. Molti visitatori di questa cappella si lamentano di non riuscire a pregare, perché tutto quel buio li soffoca, altri invece ne esaltano proprio la mancanza di colore, che permette all’anima di dispiegarsi e di proiettarsi sulle tele stesse di Rothko.
Il film dedicato a Scott Walker crea la stessa “gotica” atmosfera. C’è un utilizzo del nero quasi sfrontato: a pensarci bene si compie quasi un abuso, se abbinato alle musiche degli album “Scott4” e “Tilt”. Un uso del colore che lascia lo spettatore provato, perché non vede lo sperimentalista Walker attraverso le immagini del film di Kijak, ma lo scorge davvero solo fra una sfumatura di buio e l’altra.
Un modo di raccontare “l’Uomo del XXX secolo” senz’altro suggestivo e innovativo, proprio come si addice a uno dei musicisti le cui ultime canzoni non vengono definite neanche tali. Per molti critici infatti, come mostrato nel documentario, le canzoni degli album “Tilt”, “Pola X” e “Drift” non sono più canzoni. E quando a Scott viene chiesto “Allora cosa sono?”, l’Uomo del XXX secolo semplicemente risponde: “Non lo so. Non lo sanno neanche loro. Per me sono ancora canzoni”.
Eppure è alquanto difficile dire che la colonna sonora del film di Kijak sia composta da brani musicali. C’è qualcosa di evidentemente più angosciante, altrimenti il suo documentario non risulterebbe così claustrofobico. Il personaggio di Walker non esce “raccontato” da questo film, bensì complicato. Anziché tentare di farlo uscire dall’aura mediatica che ha percorso il suo personaggio, questa pellicola gli costruisce intorno un alone di angoscia e solitudine, se possibile, ancora più denso.
Walker dichiara di essere stato vittima, sin da piccolo, di sogni orribili, proprio come Dario Argento e Mark Rothko. Nessuno si preoccupa di approfondire questo suo aspetto: non una domanda sulla relazione fra la sua anima e il suo inconscio viene posta.
Questa è la pecca di SCOTT WALKER: 30 CENTURY MAN: probabilmente la profonda riverenza che si ha nei confronti di Walker impedisce all’autore di mantenere la giusta distanza fra sé e il suo “oggetto di culto”. Così un’aura mitica è la causa dell’inizio “stonato” del documentario: il paragone fra Orfeo e Walker.
Punto primo: non è assolutamente vero che Orfeo fu l’unico mortale a varcare le porte dell’Ade. Vi era disceso e ritornato anche Ulisse (quando si tenta un parallelo mitico sarebbe bene controllare le proprie affermazioni).
Punto secondo: se proprio si fosse voluto paragonare un soggetto mitico a Walker, perché non prendere il mito di Pigmalione? Se c’è qualcosa che a Walker riesce bene è quella di creare e di dare vita propria alle sue “canzoni” (se ancora si possono chiamare così). Oppure si potrebbe paragonare la sua musica al canto delle Sirene nell’Odissea. La musica di Walker ha lo stesso potere attrattivo: è ammaliante e allo stesso tempo porta con sé un inganno insospettato. Quella che si ascolta non è semplicemente musica, è una sorta di sperimentazione polisensoriale degli effetti del suono sul corpo e sull’animo umano.
Probabilmente il tentativo di mitizzazione è da addurre al produttore esecutivo, David Bowie (che compare anche nel film), egli stesso icona musicale che ha spesso contribuito alla creazione di leggende metropolitane sulla sua persona.
L’uso del colore e la scelta di lasciar raccontare l’enigmatica figura di Walker a Brian Eno e Radiohead è stata sicuramente apprezzabile, soprattutto al fine di riconoscere all’ex Walker-Brothers il merito di aver creato la “Scott Walker song”. Una canzone “alla Scott Walker” è una canzone d’avanguardia, sperimentale e in nessun modo commerciale: ne è un tipico esempio la poetica “Creep” dei Radiohead.
Vista la grandezza del personaggio da raccontare , è motivabile la mancata “giusta distanza” fra Stephen Kijak e Scott Walker. Il documentario rimane comunque un poetico e gotico omaggio a una delle figure più affascinanti di questo secolo.. e forse anche del XXX.

 

 

iv ed. biografilm festival
international celebration of lives

Bologna, 11 - 15 Giugno 2008