IL MESTIERE DELLE IMMAGINI
A Gemona la tappa friulana di uno dei più grandi maestri di “cinematografia” del mondo



Strani scherzi del destino a Gemona del Friuli. Solo poche settimane fa nella piccola saletta della galleria della Cineteca di Gemona lo scrittore e sceneggiatore Gianfranco Angelucci (per anni collaboratore di Fellini) parlando di un noto direttore della fotografia affermava come “Il cinema sia una avventura collettiva, che coinvolge più persone, alcune impegnate in ruoli creativi e artistici, altre con compiti realizzativi ed esecutivi. Una importante caratteristica che deve possedere chiunque collabori con il regista alla realizzazione di un film – sia esso l’addetto al sonoro, lo scenografo, il direttore della fotografia, ecc. – sta anche in una buona dose di umiltà, nel saper  tenere a freno la propria eventuale indole creativa, nel saper fare un passo indietro di fronte alla volontà del regista. So che loro non amano essere definiti dei “tecnici”, ma la loro vera grandezza sta nel saper essere “strumenti” nelle mani di un unico direttore d’orchestra, altrimenti sarebbe impossibile proseguire nell’impresa poiché lo scenografo vorrebbe realizzare il suo  film, il  tecnico delle luci il suo film, lo sceneggiatore il suo e così via”.  Strani scherzi del destino si diceva, perché il 14 febbraio, su quella stessa sedia, sedeva il direttore della fotografia Vittorio Storaro, uno dei più famosi e blasonati “tecnici” del cinema mondiale, strenuo sostenitore di una concezione artistica e creativa della sua attività, colui che da anni si batte affinché anche ai direttori della fotografia (o meglio, ai “cinematografi”, come puntualmente preferisce farsi definire) venga riconosciuto il diritto di co-autore di un film (cosa che attualmente spetta a regista, sceneggiatore e autore delle musiche). Romano di sessantuno anni, studi al Centro Sperimentale, un esordio nel ’68 in GIOVINEZZA GIOVINEZZA di Franco Rossi, vincitore in carriera di ben tre Oscar e svariati altri riconoscimenti in tutto il mondo, da alcuni anni Storaro si dedica all’insegnamento presso l’Accademia delle Arti e delle Scienze dell’Immagine de L’Aquila. Proprio da quella esperienza è nata la volontà di realizzare un progetto, un manuale bilingue in tre tomi dal titolo Scrivere con la luce/Writing with light, come summa di una vita di studi, riflessioni, attività nel campo dell’analisi e costruzione dell’immagine, del riconoscimento delle sue componenti e dei suoi significati. A Gemona per presentare il primo volume dedicato alla Luce, il maestro fa intendere subito che il suo non sarà un intervento meramente promozionale ma tante cose che si intrecciano insieme: un po’ lezione universitaria, un po’ confessione personale, un po’ riflessione improvvisata. Esordisce così davanti alla platea: “Anche se ho fatto molti incontri come questo, per me è una esperienza sempre diversa perché sempre diverso è lo stato d’animo,  il contesto, le vostre facce, e ciò che dirò oggi di preciso non lo conosco nemmeno io. Per me è come una confessione, voi oggi siete il mio psicanalista”. Il punto di partenza è rappresentato ovviamente da Scrivere con la luce/Writing with light, di cui Storaro ha una copia proprio davanti a se mentre una telecamera a circuito chiuso ne proietta il contenuto, a favore della platea,  sulla parete proprio alle sue spalle. “Ho fatto nove anni di studi tra fotografia e cinematografia, ma con il senno di poi mi sono accorto che le mie conoscenze non erano complete perché esclusivamente tecnologiche. Ad un certo punto ho sentito la necessità di approfondire lo studio dei significati dell’immagine, di capire in che modo essa veicola messaggi, di comprenderne la grammatica comunicativa soggiacente. Questi aspetti sono fondamentali per chi come me ha deciso di esprimersi, di comunicare attraverso le immagini, così come per uno scrittore è essenziale conoscere il significato delle parole che utilizza”. Inizia cosi un percorso personale di crescita e di studio attraverso la filosofia, le arti figurative, l’architettura, la scienza; “Mi sono reso conto che fin da quando l’uomo ha sentito il bisogno di comunicare per immagini, dai graffiti delle caverne fino alla moderna era degli audiovisivi, anche se molto spesso inconsciamente, egli ha utilizzato e utilizza una sorta di comune vocabolario visivo. Con il libro Scrivere con la luce/Writing with light ho inteso realizzare un dizionario in cui si esplicitassero i significati delle varie componenti che realizzano un’immagine”. A questo punto sale in cattedra il professore con una serie di esempi a dir poco “illuminanti” come la dicotomia archetipica luce/ombra e sulle sue potenzialità artistico-espressive: “Si tratta di una opposizione primaria dell’uomo: la luce esprime la conoscenza, la razionalità, ciò che conosco, mentre all’opposto ciò che è in ombra è l’ignoto, il mistero, l’inconscio, il rimosso”. Il pensiero va ai suoi primi film “Nei quali è ricorrente il tema di un personaggio che deve fare i conti con una parte rimossa di se stesso (ad esempio L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO, IL CONFORMISTA, LE ORME). Per comunicare questo contrasto interiore, in quei film vi era una netta separazione tra luce e d’ombra, mentre nei casi in cui questo contrasto si risolveva o si attenuava, le tonalità tendevano al grigio, ovvero la coesistenza degli opposti”. Oppure nel film GIORDANO BRUNO di Giuliano Montaldo, dove, ispirandosi ai dipinti del Caravaggio: “Con la scena in cui  il raggio di sole che squarcia l’oscurità della sala dove giace Giordano Bruno si voleva rappresentare la  metafora della ragione che fa breccia nel buio dell’ignoranza che dominava in quei anni”. Mentre sulla parete sfilano le pagine del libro, ricche di immagini catturate dai suoi film, prosegue l’approfondimento dentro il linguaggio delle immagini attraverso altre opposizioni binarie come quella tra luce puntiforme (proveniente da una unica fonte e in grado di generare una ombra netta e quindi un più forte contrasto visivo ed espressivo) e luce diffusa (come quando il celo è nuvoloso, prevale un grigiore diffuso e le ombre non sono nette e quindi adatta a esprimere omogeneità, accordo, mancanza di conflitti) oppure tra luce naturale e luce artificiale; si continua poi con le fonti della luce come il sole (fonte primaria, simbolo di conoscenza, razionalità, di protezione, dell’uomo) e la luna (sinonimo simbolico di mistero, di nascosto, di inconscio, di donna). Sulla luce naturale Storaro ha voglia di soffermarsi: “Nelle sceneggiature di solito si specifica solo se una scena avviene di notte o di giorno, in realtà le cose sono più complesse. Girare una scena al tramonto non ha lo steso significato di girarla a mezzogiorno. Queste differenze possono essere fondamentali a fini espressivi e per tale ragione in questi casi riscrivo la sceneggiatura con più dettaglio circa il momento ed il luogo in cui avviene una determinata scena e poi la propongo al regista”. Storaro è un fiume in piena, si vede che ha voglia di raccontarsi, di mettersi in gioco mentre sfoglia attraverso il suo libro le varie tappe della sua filmografia e di crescita personale: da GIOVINEZZA GIOVINEZZA (“il primo film in cui avevo la possibilità di esprimermi in modo totale”), a DELITTO AL CIRCOLO DEL TENNIS (“una nuova scoperta, l’incontro con il colore”), passando per ULTIMO TANGO A PARIGI (“Volevo restituire la sensazione di tepore, di protezione, quasi di utero materno che le luci artificiali di Parigi offrono ai suoi visitatori. Per questo ho impostato le tonalità del film su un arancione diffuso. Ho pensato che questo si adattasse bene anche alla senso della storia: due personaggi troppo diversi tra loro, che possono incontrarsi e amarsi solamente in una dimensione animalesca ma non possono costruire insieme nulla di duraturo”). E ancora MALIZIA, NOVECENTO, SCANDALO; il racconto per  immagini, ricordi e parole di Storaro prosegue fino al film che segna il termine di questa sua “ideale” fase artistico-personale, a quella metaforica “fine del fiume” rappresentata da APOCALYPSE NOW, le cui immagini chiudono, non a caso, il primo volume. E’ noto come Storaro inizialmente non fosse interessato a questo film, apparentemente troppo lontano da ciò che aveva fatto fino ad allora, incentrato su un soggetto (quella sporca guerra combattuta e persa dall’America)  così avulso dalla sua cultura e dalla sua storia. E’ anche noto come sia stata la lettura di Cuore di Tenebra di Conrad, su suggerimento di Coppola, a fargli cambiare idea: “Ho capito che Coppola non voleva fare un classico e realistico film di guerra sul Vietnam, ma parlare d’altro. Non è mai esistita una cultura che espandendosi abbia esportato solo le parti positive di se. Ogni cultura, come anche ogni uomo, quando esporta se stessa si porta dietro il bene ed il male, la sua parte che conosce e vuole mostrare e la parte di se oscura, che tiene nascosta, che non vuole far conoscere. Il capitano Kurtz di APOCALYPSE NOW non è altro che la parte oscura che la civiltà americana si è portata dietro durante la sua espansione, che va necessariamente eliminata perché una cultura non può permettere che a rappresentarla sia la parte peggiore di se. Da questo punto di vista, il film è molto più vicino a quello che io avevo fatto sino ad allora perché di fatto il viaggio di Willard per stanare Kurtz è in realtà un viaggio dentro una coscienza collettiva, è una specie di seduta psicanalitica”.  Intanto sulla parete troneggia un’immagine di Brando-Kurtz: “Il volto di Brando che emerge a brandelli dall’oscurità è l’ombra della civiltà che riaffiora alla sua parte cosciente rappresentata da Willard, affinché colga la sua reale natura e possa così superarla. Kurtz e Willard sono il prodotto di una unica cultura cosi come…” e a questo punto Storaro pone la mano in modo che la sua ombra si distenda nitida sulle immagini fotografiche tratte dal film “…luce e ombra  sono due facce di una medesima medaglia, anzi l’ombra è figlia della luce, è una sua creazione, ed  è tanto più nitida quanto quest’ultima è più intensa”. Si chiude la copertina del libro e gli applausi scroscianti della platea coprono le ultime parole del maestro, una delle stelle più luminose che l’Italia abbia saputo donare al firmamento del cinema mondiale.

Loris SERAFINO
17 - 02 - 02