::: SPECIALE KINEMATRIX :::

WON KAR-WAI

L’ESTETICA COME STRUMENTO NARRATIVO

:::l'altro articolo:::

di Marco BRUNELLI

L’onda d’urto di Hong Kong ha portato a riva un altro genio.
Dopo John Woo infatti (che purtroppo però pare essersi perso per sempre nei meandri di Hollywood),Wong Kar-wai è forse il regista di Hong Kong (ma proveniente da Shanghai) più acclamato dai critici di tutto il mondo. Il suo stile innovativo caratterizzato da un uso spregiudicato di luci, musiche e montaggi rapidi, finora gli ha portato numerosi premi - fra cui la palma di miglior regista a Cannes nel 1997 per HAPPY TOGETHER.
Dopo alcuni anni passati a scrivere sceneggiature per produzioni televisive e per alcuni film poco conosciuti in occidente (FINAL VICTORY di Patrick Tam), finalmente a 20 anni debutta alla regia con AS TEARS GO BY (1988),un crime-movie sulle triadi cinesi che il regista stesso definisce come “una tragedia ambientata in una grande città, che tratta di gente comune invischiata in problemi fuori dalla loro portata”. In quest’opera Wong Kar-wai sembra essere più interessato a mostrarci le motivazioni dei protagonisti piuttosto che il loro lavoro nella triade, cosa piuttosto singolare per un “Hong Kong Noir” del 1988.
In realtà si tratta però di un film di poco conto che non si differenzia comunque molto da tutte le altre pellicole sulle triadi; le ottime prestazioni degli attori (fra cui Maggie Cheung che diventerà un habitué del regista) e la regia sperimentale sono comunque di buon auspicio per il futuro.
Nel 1991 con DAYS OF BEING WILD finalmente Wong Kar-wai comincia a mostrare il suo talento.
Ambientato nel 1961 a Hong Kong e nelle Filippine, la pellicola racconta la storia di un rubacuori, York (Leslie Cheung) che passa facilmente da un amore all’altro, lasciando dietro di sé donne con cuori infranti. Ma la trama nei film di Wong Kar-wai è forse la cosa meno importante, in quanto è spesso una sorta di McGuffin, un pretesto per l’introspezione psicologica dei personaggi e per i loro monologhi interiori. Monologhi supportati da inquadrature quasi azzardate e da luci e filtri che trasportano lo spettatore all’interno della vicenda. Anche qui ritroviamo Maggie Cheung, che interpreterà una parte simile nel futuro IN THE MOOD FOR LOVE.
DAYS OF BEING WILD è un film che presenta molte differenze rispetto a AS TEARS GO BY, lo stile (seppure dimesso rispetto alle opere che verranno) ricorda quello di autori come Godard e Kieslowski. Wong Kar-Wai ricrea un paesaggio che è sia classico che contemporaneo, mostrando un Hong Kong evocativa sempre in bilico fra nostalgia e modernità; un tema che migliorerà nel successivo IN THE MOOD FOR LOVE.
Per la prima volta compare poi il concetto del passare del tempo, con la cinepresa che ossessivamente nel corso della pellicola inquadra l’orologio dell’ufficio. Anche questo tema verrà sviluppato più avanti, soprattutto in CHUNGKING EXPRESS, dove l’orologio dell’ufficio sarà sostituito dall’orologio della Chungking Mansion. Inoltre comincia qui la collaborazione con Christopher Doyle (già collaboratore di Tam in MY HEART IS THAT ETERNAL ROSE ), direttore della fotografia australiano dall’incredibile talento e ritenuto da molti la vera “arma segreta” del regista. E’ quindi un opera di transizione, ma che già fa trasparire l’abilità dell’autore nel trasmettere le emozioni dei protagonisti e nel creare visuali suggestive.
L’opera successiva, ASHES OF TIME (1994) è un tentativo (purtroppo non del tutto riuscito) di creare un film epico sulle arti marziali, con richiami sottili a Leone e a suoi famosi primi piani e con musiche largamente ispirate a Morricone. Anche qui la storia dello spadaccino e degli uomini che lo seguono nel suo cammino non è altro che un pretesto per descrivere fedelmente le emozioni e i rapporti fra i vari personaggi e per infarcire il tutto di immagine metaforiche e oscuri simbolismi. ASHES OF TIME non è uno dei migliori film di Wong Kar-wai, la direzione è come sempre magistrale e le interpretazioni ottime, ma stavolta l’intreccio non è dei migliori e la pellicola finisce per essere schiacciata dalle sue stesse ambizioni. E’ però durante la produzione di questo film,che il regista gira quello che è ritenuto da molti il suo capolavoro: CHUNGKING EXPRESS (1994).
Completato nel giro di tre mesi con un basso budget, il film viene girato di notte e scritto di giorno,con una sceneggiatura sempre “work in progress”; anche durante le riprese. Composto da due episodi apparentemente indipendenti che trattano delle pene d’amore di due poliziotti (Takeshi Kaneshiro e Tony Leung),il film è la summa e la sublimazione del cinema di Wong Kar-wai. Le due storie (dovevano essere tre, ma alla fine la sezione mancante è diventata un film a sé stante, il successivo FALLEN ANGELS) hanno entrambe a che fare con la fine di un amore.
Nel primo episodio il giovane poliziotto #223 (Kaneshiro), si dispera per la fine della propria relazione con May,una giovane ragazza che lo spettatore non vede mai. In seguito alla frustrazione per l’amore perduto, e dopo aver trangugiato dozzine di ananas andate a male, decide di innamorarsi della prima persona che entrerà nel locale in cui sta affogando il proprio dolore: la bionda senza nome (Brigitte Lin). La seconda storia si focalizza sempre su di un poliziotto, stavolta il #663 (Leung) e sul suo incontro con la giovane Faye (la pop-star orientale Faye Wong). Come nel precedente lavoro, non è la storia a sostenere il film, quanto piuttosto la tecnica con cui è realizzato. La macchina da presa è portata spesso in spalla seguendo in lunghi piani sequenza gli spostamenti dei personaggi, lo slow motion è usato frequentemente così come la carrellata ottica.
Le immagini sono distorte da specchi e l’uso intenso della musica rende bene l’idea del pulsare vitale della città: Hong Kong appunto; mai così bella.
Nei titoli di testa infatti ci sono richiami a Scorsese, con riprese allucinate della città che ne mettono in evidenza il caos e che allo stesso tempo mostrano la quotidianità e lo scorrere della vita nella metropoli.
Le musiche sono spesso ripetute durante tutta la pellicola, soprattutto California Dreaming dei Mamas & Papas nel secondo episodio e Things in Life di Dennis Brown nel primo. I colori, il montaggio rapidissimo, quasi Mtv style (ma molto più profondo), e dettagli come la pioggia che batte sul vetro, esprimono gli stati d’animo dei protagonisti in maniera sublime ed è difficile non farsi catturare da questo film. I dialoghi quasi metafisici dei personaggi, temi come la nostalgia, la certezza delle cose e lo scorrere del tempo (mutuato dal precedente DAYS OF BEING WILD) sono sempre presenti in Chungking Express e danno quello spessore necessario a trasformare un semplice esercizio di stile in una vera e propria opera d’arte. Con questo lavoro il regista guadagna la stima di critici e appassionati di cinema, fra cui quel Quentin Tarantino che porterà negli Usa la pellicola, distribuita dalla sua casa Rolling Thunder (già meritevole di aver riportato nei cinema americani L’ALDILA’ di Fulci).
Il successivo sforzo di Wong Kar-wai, FALLEN ANGELS (1995) doveva essere, come già accennato, la terza parte di CHUNGKING EXPRESS, ma poi si è deciso di dedicare a questao segmento una pellicola a parte. Le visuali di FALLEN ANGELS sono a dir poco eccezionali, il regista è in grande forma, ma soprattutto a dare il meglio è la fotografia di Christopher Doyle. Il film è più lento e più dark rispetto alla pellicola precedente, ma è ugualmente una gioia per gli occhi. La storia di un killer (la pop star asiatica Leon Lai Ming) e della propria partner (Michelle Reis), si incrocia con quella del muto Ho (il Takeshi Kaneshiro di CHUNGKING EXPRESS). Proprio Ho, muto poiché ha mangiato una cassa di ananas andato a male (evidente riferimento al poliziotto #223 del precedente film), è una sorta di alter ego del regista, e appena viene a contatto con una videocamera comincia a riprendere ossessivamente tutto ciò che lo circonda. Fallen Angels è un ottimo lavoro, i personaggi sono azzeccati e interpretati da attori di talento (una consuetudine per Wong Kar-wai). Il film funziona bene anche come atto successivo a CHUNGKING EXPRESS, ed è valorizzato come sempre dalla mano estrosa del regista che si cimenta anche in riuscite scene d’azione.
Il film seguente, HAPPY TOGETHER (1997), è la storia di una coppia, formata da Lai Yiu-Fai (Tony Leung, il poliziotto # 663 di CHUNGKING EXPRESS) e Ho Po Wing (Leslie Cheung, anche lui già diretto da Wong Kar-wai in DAYS OF BEING WILD), che decide di trasferirsi in Argentina per ricominciare tutto da capo.
Il film dimostra come il successo internazionale ottenuto nel corso degli anni non abbia cambiato lo stile del regista, che anzi continua a stupire con la propria creatività. Ancora una volta la fotografia dinamica di Christopher Doyle (che nel frattempo viene ingaggiato da Gus Van Sant per lo sfortunato remake di PSYCHO), l’uso di una cinepresa 16-mm e i sempre presenti slow-motion donano alla pellicola un aspetto surreale che catapulta lo spettatore all’interno di un mondo ipnotico. Wong Kar-wai alterna un sensuale bianco e nero a colori quasi onirici e regala un altro capolavoro visivo sulla scia dei film precedenti; ogni fotogramma riesce a trasmettere delle emozioni e le inquadrature sono quasi sempre perfette e a braccetto con la storia.
Le musiche, fra cui quelle di Frank Zappa e Astor Piazzolla, sono come sempre azzeccate (un'altra costante del regista) e completano l’esperienza visiva.
Con questo film il regista si aggiudica la palma di miglior regista a Cannes, e passa dallo status di regista di culto a vero e proprio autore, guadagnando sempre più consensi in campo mondiale.
Nel 2000 è il turno di IN THE MOOD FOR LOVE, che viene ancora una volta acclamato dai critici e che vale il premio di miglior attore a Cannes per Tony Leung. La storia è come sempre molto semplice (anche se solo all’apparenza): nel 1962 due famiglie, i Chan e i Chow si trasferiscono in due appartamenti adiacenti. Presto la signora Chan (Maggie Leung, che interpreta un personaggio simile a quello di DAYS OF BEING WILD) e Tony Leung (un altro habitué del regista) si accorgono che i rispettivi consorti stanno avendo una relazione, e finiscono per avvicinarsi gradualmente fino a sentirsi attratti l’uno dall’altro. Il rapporto fra i due è fortemente ambiguo, ed è reso grazie a piccoli dettagli come mani che si sfiorano, e soprattutto grazie all’abilità dei due attori bravissimi nel trasmettere emozioni con il solo l’ausilio di gesti ed espressioni facciali. Anche questa volta la storia è solo un pretesto per mostrare le interazioni e i sentimenti fra i personaggi, e un Hong Kong incredibilmente seducente e nostalgica che ricorda quella del precedente DAYS OF BEING WILD.
Alcuni considerano appunto il precedente film (ambientato anch’esso negli anni ’60) come una sorta di “antefatto” a IN THE MOOD FOR LOVE.
In realtà è più lecito considerare il primo come una pellicola di transizione, e il secondo come il punto di arrivo di un autore in piena estasi creativa.
Lo stile,dopo gli eccessi visivi di CHUNGKING EXPRESS e FALLEN ANGELS, è volutamente dimesso (soprattutto grazie ai colori caldi e ad un uso meno esasperato dello slow-motion) e più in linea con la vicenda dai toni molto sottili. La fotografia di Christopher Doyle, questa volta coadiuvato da Pin Bing Lee, è più patinata e spesso i due protagonisti sono parzialmente oscurati, quasi a mettere lo spettatore nelle condizioni dei vicini da cui i due amanti vogliono nascondersi. Un sensuale walzer accompagna ogni incontro fra i due protagonisti, e le visuali stilizzate del regista, unite ad una meticolosa messa in scena, trascinano lo spettatore (mai passivo quando messo di fronte ad un film del maestro) nell’ Hong Kong degli anni ’60.
Il regista si preoccupa anche di esaminare la situazione politica di quel periodo (tredici anni dopo la salita al potere di Mao e dei comunisti in Cina, Hong Kong era ancora colonia britannica e molti cittadini temendo un invasione cinese fuggirono cercano rifugio altrove), cosa che secondo alcuni aveva già fatto in CHUNGKING EXPRESS, considerato da alcuni studiosi come un accurata metafora dell’ Handover del 1997.
 

Attualmente Wong Kar-wai sta lavorando a 2046, un film ambientato in una ipotetica Hong Kong del futuro. La pellicola era attesa per questo festival di Cannes, ma il regista ha affermato di non essere ancora pronto. Dai pochi artwork e dalle scarse foto già messe in circolazione, pare proprio che stia preparando un'altra opera d’arte. La post produzione è sempre molto lunga per i film di Wong kar-wai; in sala di montaggio il regista ha a disposizione ore ed ore di girato (spesso improvvisato sul set) e la scelta dei segmenti che finiranno nella versione definitiva non è affatto semplice. Nel corso di poco più di dieci anni il regista ha sviluppato un suo stile che implica l’uso sperimentale di fotografia, musica e montaggio, tutto al fine di creare un opera che riesca a catturare lo spirito del nuovo millennio. I film di Wong Kar-wai sono arte allo stato puro; molte delle sue pellicole sono attualmente analizzate da studiosi di cinema e di arte contemporanea, e i suoi film sono universalmente riconosciuti “capolavori”.
A chi non ha mai visto un film del suddetto regista le parole servono a poco o nulla. Solo chi ha avuto la fortuna di godere di uno dei suoi ultimi lavori può capire perché tanto entusiasmo di fronte al vero grande innovatore degli ultimi vent‘anni; da parte mia non posso che augurarmi che tale genio acquisti la notorietà che merita anche qui in Italia e anche fra i meno esperti di cinema.


FILMOGRAFIA


- As Tears Go By (Wangjiao Kamen) (1988)

- Days of Being Wild (A-Fei Zhengzhuan) (1991)
- Ashes of Time (Dongxie Xidu) (1994)
- Chungking Express (Chongqing Senlin) (1994)
- Fallen Angels (Duoluo Tianshi) (1995)
- Happy Together (Chunguang Zhaxie) (1997)
- In the Mood for Love (Huayang Nianhua) (2000)

- 2046 (2004)