
Ci sono film che sembrano nati solo per il gusto di disilludere le
aspettative del pubblico.
Pellicole come il terzo capitolo della saga del
Padrino o, per esempio, i prequel di
Star Wars devono inevitabilmente trascinarsi addosso l’atlantico
peso dei predecessori che spesso finisce poi per schiacciare preventivamente
le ambizioni delle opere.
Ci sono poi invece film come Apocalypse Now, Gangs of New York o
Heaven’s
Gate, che hanno alle spalle una lunga e complicatissima gestazione, un
progetto ambizioso e un autore alla regia da cui ci si aspettano grandissime
cose (complici i successi delle opere precedenti).
In entrambi i casi, comunque vada il risultato finale sarà quasi sempre al di
sotto delle aspettative, gonfiatesi a dismisura per i motivi già citati.
2046 (da leggersi DUE-ZERO-QUATTRO-SEI come ha tenuto ha precisare lo stesso
Wong Kar-Wai durante alla
conferenza stampa) appartiene proprio a questa
seconda categoria.
Una pellicola annunciata ben cinque anni fa, con una sceneggiatura mai
definitiva (consuetudine questa del regista) e una serie di innumerevoli
rinvii culminata con la clamorosa presentazione di una copia “work in
progress” a Cannes appena tre ore prima della premiere.
Inutile dire che tutte queste traversie (unite alle splendide foto che
comparivano di tanto in tanto sul web e che rendevano l’attesa quasi
insopportabile) hanno reso 2046 uno dei film più attesi degli ultimi
anni, perlomeno da tutti i cinefili che si rispettino.
Potete quindi immaginare il mio entusiasmo quando ho saputo che, in occasione
del Tribeca Film Festival, si sarebbe tenuta a Milano l’anteprima europea
della pellicola in questione.
L’attesa era finita..
Ma alla fine sarebbe riuscito 2046 a reggere il peso dell’enorme pressione
che aveva accumulato durante tutti questi anni?
Il film nella sua versione definitiva (la stessa quindi che verrà
distribuita in Italia a partire dal 29 ottobre), si apre con una spettacolare CGI che ci mostra un Hong Kong attraversata da monorotaie e illuminata da
neon, solo che a differenza di un Blade Runner qui la luce prende il posto
della deprimente oscurità del film di Ridley Scott e la città assume un
aspetto quasi celestiale.
La voce di Tak (Takuya Rimura), racconta della visita nel 2046 e di come lui
sia l’unico che abbia mai deciso di andarsene da lì.
Il montaggio disgiunto di William Chang (altro collaboratore storico del
regista, nonché responsabile dei bellissimi set) ci trae però fin da subito
in inganno.
L’ambientazione futuristica infatti non è altro che parte del racconto di
Chow Mo Wan (Tony Leung), scrittore a Hong Kong nel 1966 e vero protagonista
della vicenda.
E’ proprio il tentativo di finire questo racconto di fantascienza che
permette allo scrittore di ricordare le donne che hanno attraversato la
propria esistenza, fondamentalmente solitaria, e di come soprattutto una su
tutte ritorni costantemente nei suoi ricordi: la bella Su Li Zhien (Gong
Li).
Il rapporto fra Su Li Zhien e Chow Ma Wan è quindi il filo conduttore della
vicenda, che si dipana però negli anni e che quindi assume un aspetto molto
più epico rispetto a un
IN THE MOOD FOR LOVE.
Proprio le analogie con IN THE MOOD FOR LOVE (la ricorrenza della stanza
2046, l’ambientazione anni '60 e il personaggio di Tony Leung) hanno fatto a
credere erroneamente a molti che questo fosse un seguito del suddetto film.
In realtà Wong Kar-Wai stesso ha spiegato nella
conferenza stampa di come si
fosse invaghito di questi due progetti allo stesso tempo, durante la
lavorazione di IN THE MOOD FOR LOVE, e di come abbia così inserito elementi
ricorrenti per far sì che queste due storie si accompagnino armoniosamente
senza però essere collegate ufficialmente.
Per usare l’appropriata metafora del regista: “..non si tratta di due amanti
differenti, bensì della stessa donna in abiti da sera diversi..”
In effetti a parte le più evidenti analogie, diversi sono i punti di contatto
fra le due “amanti”.
2046 porta all’estremo la simbologia del limitato spazio/tempo nella realtà
(già tema dominante in IN THE MOOD FOR LOVE).
Così come la relazione fra Tony Leung e Maggie Cheung iniziava in due
piccoli appartamenti adiacenti, così il rapporto fra Chow Ma Wan e Bai Ling (Zhing
Ziyi) comincia in un piccolo albergo in due piccole stanza una accanto
all’altra (la 2046 e la 2047).
La storia si ripete perciò in un ambiente simile, ma la differenza stavolta
la fa la scelta intrapresa dal personaggio di Tony Leung.
Il simbolo del limitato spazio nella realtà è interpretato come un elemento
costituente della vita, e solo il comportamento e le scelte di una persona
possono dare l’ingrediente finale per fornire un finale tragico.
Il tema spazio tempo è imposto con forza da Wong Kar-Wai, che ci propone un
protagonista che vive nel passato e nel futuro convivendo con dei sentimenti
posti in uno spazio/tempo che non esiste.
Egli non ha quindi effettivamente una vita presente in questo senso.
Lo stesso 2046, pur non esistendo fisicamente nello spazio, è presente
comunque da qualche parte nella mente dei personaggi.
Un film che parla dal passato, del presente e del futuro, intrecciando
vorticosamente le varie relazioni fra i personaggi, non è semplicissimo da
digerire.
Eppure l’opera rimane sempre godibilissima, ed è anche un piacere riconoscere
i sottili rimandi ai precedenti lavori del regista.
Oltre a IN THE MOOD FOR LOVE il film riprende infatti alcune tematiche di
DAYS OF BEING WILD (opera seconda di Kar-Wai) e si ripresenta anche la
tematica dell’Hand Hover (il titolo 2046 può essere letto come un
riferimento agli ultimi cinquant’anni prima che il governo cinese lasci
l’indipendenza ad Hong Kong).
Funziona anche il linguaggio meta-cinematografico intrinseco nella storia:
certe affermazioni di Chow Ma Wan sembrano piuttosto uscire dalla bocca del
regista.
Alla domanda :”Perché invece di scrivere romanzi erotici non scrivi racconti
di Kung Fu?” Chow Ma Wan risponde con un sarcastico “Perché è più semplice
e perché sono un maniaco..”.
A tutte queste chicche si aggiungono la solita fotografia strepitosa di
Christopher Doyle e una colonna sonora evocativa che combina canzoni di Nat
King Cole e Dean Martin con le deliziose composizioni orchestrali di Shigeru
Umebayashi (splendido il tema principale).
La prova degli attori è semplicemente fenomenale, e anche Maggie Cheung che
si limita ad una apparizione speciale da “guest star” brilla nel firmamento
di questo cast stellare, che vede anche il ritorno di Faye Wong (la cameriera
di Chungking Express) in una particina.
Probabilmente il doppiaggio italiano toglierà gran parte del fascino di
questi grandiosi attori, ma per noi che abbiamo potuto godere della visione
originale non ci sono stati problemi di sorta.
A sentire tutti questi elogi, è quindi tutto oro quello che luccica ?
No, 2046 non è chiaramente un film privo di difetti.
Alcuni set dell’ambientazione futuristica sanno di economico e frettoloso e
i costumi ricalcano un po’ troppo quelli del BARBARELLA di Roger Vadim.
La CGI seppur a tratti impressionante ha un sapore un po’ troppo
artificiale, ma essendo talmente poche le occasioni in cui la computer graphic appare, non si tratta di un vero e proprio problema.
La struttura non lineare poi, a volte crea un po’ di confusione, e il finale
sembra un po’ troppo affrettato.
Verso la fine infatti, la pellicola perde un po’ di smalto (pur rimanendo su
livelli altissimi) e diventa quasi più un esercizio di stile (comunque riuscitissimo), anche se i 130 minuti del film non si sentono affatto.
Per il resto rimane un po’ di inevitabile delusione per chi si aspettava
un’opera opulenta ambientata totalmente in un futuro visionario, o chi voleva
vedere un Tony Leung postino o un Takuya Rimura cecchino.
A questo proposito, la sceneggiatura che trovate
sul sito si rivela interessante per notare i tantissimi cambiamenti
apportati alla sceneggiatura di base: sappiate però che quello che vedrete nelle sale è parecchio diverso da
quanto pubblicato sul sito.
Per rispondere alla domanda posta precedentemente..
In definitiva è valsa la pena aspettare tutto questo tempo ?
Per il sottoscritto non ci sono dubbi:
2046 è l’ennesimo capolavoro di un regista che sembra non poter sbagliare un
colpo.
In questo momento Wong Kar-Wai è probabilmente il più “autoriale” fra i
registi contemporanei, e quest’ennesima perla è una conferma del talento di
questo artista che come nessun altro è in grado di fornire rappresentazioni
realistiche di rapporti di coppia.
Anche considerando la grandissima attesa e le aspettative altissime 2046
riesce nell’impresa difficilissima di non deludere i fan.
Per certi versi una recensione è anche futile, visto che gli aficionados
sapranno già che cosa aspettarsi da questo eclettico artista e comunque
certi capolavori vanno vissuti e non raccontati.
Sappiate solo che questo è forse il miglior film del regista proveniente da
Taiwan, e anche così non fosse rimane comunque la sua opera più ambiziosa ed
epica, assimilabile per certi versi al C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA di
Leone, per il tema dell’inesorabile passare del tempo e per la grandiosità
della visione autoriale.
In una stagione cinematografica altrimenti grigia, 2046 è quel raggio di sole
che rischiara l’animo degli appassionati della settima arte.
Ci sono voluti cinque anni per quell’ampio raggio di sole, ma ora che le nubi
si sono disperse possiamo finalmente dire che l’attesa non è stata affatto
vana.
Voto: 28/30
17/10/04 |