recensione di
ANDREA DE CANDIDO
Il
rischio più grosso dei "fanta-horror" (questa la
definizione data in catalogo per CROSSFIRE) non è tanto quello
di essere strettamente inverosimili - altrimenti il termine "fanta"
non avrebbe senso - ma di non saper restituire quell'aura di mistero
che è necessaria per la plausibilità narrativa del
fantasy, e che soprattutto separa il paranormale dal ridicolo.
Che ciò non accada il questo CROSSFIRE è evidente
quasi subito, nel momento in cui, all'improssivo, la protagonista
del film (il cui dono è la "pyrokinesis", ovvero
la capacità di muovere con il fuoco, anche se, in realtà,
più giusto sarebbe parlare di capacità di dare fuoco
alle cose col pensiero) rivela i proprii poteri. Ciò che
conta non è l'estemporaneità dell'evento quanto il
suo esser del tutto slegato da un contesto narrativo non adeguatamente
predisposto. In altri termini: qui a Udine, l'anno scorso, abbiamo
visto un grandissimo horror giapponese - THE RING - dove non era
certo l'originalità della trama a spiccare, in tutto simile
a molti college-scary-movie made in USA. La grandezza del film di
Nakata era nella messa in scena, nel montaggio e soprattutto nel
non detto (o non visto): qui si vede perfino troppo.
E poi, come in SPACE TRAVELERS,
anche quest'altro prodotto nipponico sembra fondere i più
arcigni luoghi comuni del cinema di genere (in questo caso serial
killer ed annessi: respiro affannoso amplificato, soggettive con
camera a mano, ecc.) senza un minimo di coerenza e rispetto. Ma
se lì il tutto aveva per lo più fini parodistici,
qui la ricerca di una seriosità, preclusa - per quanto si
è detto - già a monte, fa pensare a quanto i giapponesi
hanno saputo fare di più trash (le cose confluite da noi
in mai dire banzai), ma privato perfino della consapevolezza
di essere tale.
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