D’une Rive à l’autre

 

Shani Diluka, pianoforte

Sahana Banerjee, sitar

Edouard Prabhu, tabla

Schubert e la musica indiana
 

 

Sale Apollinee, Gran Teatro della Fenice

Venezia 04 aprile

 

di Gabriele FRANCIONI

 

30/lode

 

Collegamenti:

- Introduzione

- SVC

Franz Schubert
Sonata n. 15
in la maggiore D664
Primo movimento
Secondo movimento
Improvvisazione raga
Terzo movimento
Improvvisazione raga
Franz Schubert
Melodia ungherese
Improvvisazione tabla
solo
Franz Schubert
Improvviso in fa minore
D935, op. 142 (quarto)
Improvvisazione raga

Il secondo, mirabile appuntamento inserito nel programma di “D’une Rive à l’Autre”, parte da uno spunto congiunto di Arièle Butaux, geniale musicista e musicologa parigina, e Shani Diluka, grande e già affermato talento del pianismo mondiale

odierno, srilankese d’ origine, ma nata e cresciuta nel Principato di Monaco e formatasi di conseguenza in un contesto pienamente occidentale.

In questa circostanza, la Butaux ha chiesto alla giovane pianista d’indagare autonomamente il territorio “comune” fra tradizione “classica” europea e srilankese/ indiana.   

Come ci ha rivelato la stessa Diluka a fine concerto (e in un italiano sorprendente), durante una tournée nello Sri Lanka ha cominciato a interrogare pubblico e colleghi su questo “territorio comune” che ritenevano di aver rintracciato nei programmi di sala, ricevendo, come risposta, un’inaspettata uniformità di giudizio sul repertorio schubertiano.

Laddove la pianista era già consapevole che, a differenza dell’“incrocio” tra J. S. Bach e percussioni persiane (concerto del 3 aprile, n.d.r.), il dialogo tra culture  sarebbe avvenuto solo a distanza, quindi senza esecuzione contemporanea dei brani scelti da parte dei musicisti, Diluka si è coerentemente lasciata trasportare dal giudizio collettivo, che attribuiva a Schubert una particolare qualità meditativa, emozionale e, per così dire, umanista.

 

Shani ha ribadito, nella nostra breve intervista, come la sua azione di vero e proprio “apostolato” nel paese d’origine, per promuovere la musica classica occidentale, sia fonte di continue sorprese, in un’area del mondo dove, specie nelle zone montane distanti dalla capitale, non hanno mai sentito Beethoven o Chopin!

La musicista ha anche ribadito il significato conciliatorio e pacificatore insito nell’accomunare in un’unica condivisione di arte allogena le minoranze etniche srilankesi, ancora impegnate in duri conflitti interni.

In sintesi, forzando un po’ i termini della questione, abbiamo qui un approccio più “emotivo” rispetto alla serata inaugurale della rassegna, dove, tra l’altro, la Diluka ha lasciato completa libertà di scelta del repertorio ai due musicisti impegnati nelle improvvisazioni raga: la nota ed ispiratissima sitarista Sahana Banerjee e Edouard Prabhu, franco-indiano specialista di tabla.

 

Entrando un attimo nel dettaglio della seconda, coraggiosissima sperimentazione dal vivo voluta da Arièle Butaux, dobbiamo subito specificare come la scelta di non suonare insieme sia dovuta all’impossibilità d’interpolare sistemi sostanzialmente diversi laddove - rispetto a Bach e le percussioni persiane - qui siamo in un contesto a) pienamente armonico e melodico (Schubert), assai lontano dalle premesse bachiane della serata inaugurale, e b) caratterizzato dalla presenza del raga, che propone, pur nella moltitudine delle sue variazioni, una propria organizzazione armonica dei suoni, dove basta la sola presenza dei microtoni - per un totale di 22 possibili all’interno dell’ottava - a giustificare l’“incompatibilità” o sovrapponibilità esecutiva degli stessi.

Si aggiunga a ciò l’ovvia differenza sostanziale insita nel non avere solo “accompagnamento” (le percussioni iraniane), ma uno strumento a corde anche solista e tablas “portatrici” ciascuna di una nota diversa.

 

Ciò che però più convince, oltre alla sintonia emotiva rintracciata anche da Prabhu e Banerjee tra Schubert e, appunto, i raga, è l’idea che, mutatis mutandis, ciascun contesto si muova tra intercambi modali.

In breve: è proprio della tradizione hindustanica partire da una nota “qualsiasi”, per poi sviluppare conseguenti sviluppi di scale (peraltro più strutturate rispetto a quelle persiane) e quindi è perfettamente plausibile il passaggio di testimone tra Diluka al termine dei movimenti - insistendo su una nota ribattuta - e i due musicisti indiani, che riprendono questa nota schubertiana qualsiasi.

Ben più affascinante del semplice scambio di consegne, è il fatto che Schubert si fosse abbastanza sbizzarrito in diverse riarmonizzazioni interne a una singola composizione (il succitato intercambio modale o trasformazione, che poi può avere diverse varianti), in questo assai vicino alla mutevolezza improvvisativa, pur dentro la regola, dei raga.

Improvvise settime aumentate o seconde diminuite possono intervenire a cambiare le premesse.

 

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Con la scelta della “Sonata D’664 in La maggiore”, pubblicata postuma nel 1829, ma anche della “Melodia Ungherese” e dell’“Improvviso in fa minore D’935”, i musicisti indiani, con l’avallo di Shani Diluka, hanno saputo cogliere uno Schubert non scontato (si veda il passaggio tratto dalla Sonata e qui pubblicato), ben più ricco del magister liederorum unanimemente riconosciuto.

La cantabilità rimane, ma oltre alle riarmonizzazioni colpiscono i motivi/gruppi tematici lunghi, sviluppatissimi, ammalianti di questa sonata.

Altro che convenzionale interprete della forma-sonata mozartiana e beethoveniana!

La poesia assoluta dei temi schubertiani, non a caso apprezzati anche da Liszt, viene fatta propria dalla Diluka con semplicità disarmante. Naturalezza di un tocco sensibilissimo, laddove la padronanza tecnica è una premessa qui data per scontata (la Argerich ha premiato Shani come uno dei sei maggiori talenti mondiali della scena pianistica).

Solo romantica? No, perché accanto a Mendelssohn o Schubert, ecco le collaborazioni recenti con Kurtag e Lachermann, che a questo punto devono condurla per forza sul proscenio di una delle Biennali Musica di Luca Francesconi.

Per non parlare del lavoro insieme ai Berg e Talich Quartet o dei giudizi incredibilmente lusinghieri di Perahia ed Eschenbach.

(Si vedano a questo proposito i dettagli sulla formazione della Diluka seguendo i link indicati).

L’approccio panteistico di cui parla in un’intervista, il recupero di un “senso di Natura”, sono premesse e punti d’arrivo, quindi, di una vocazione e di una ricerca coerente.

 

La tessitura fine dell’“Improvviso”, l’innegabile lirismo della “Sonata d’664” s’innestano perfettamente in questa trama “teorica”, lasciando, a intervalli regolari, una nota seminale a Prabhu e Banerjee, in grado di regalarci squarci impensabili di meditazione, verso la quale Shani Diluka aveva confessato di volerci condurre.

è vera elevazione estatica, quella che si genera durante i raga, ed è della stessa matrice pura dell’ apparente mancanza di drammaticità schubertiana, a prescindere che la si sia ottenuta, interpretativamente, con tocco asciutto o trasporto lirico.

 

 

Link d'approfondimento

Shani Diluka sito ufficiale

Shani Diluka biografia

Shani Diluka intervista su YouTube

 

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Sahana Banerjee, sitar

Edouard Prabhu, tabla

Schubert e la musica indiana

 

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