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venice 2009 the summer of art Avvicinamenti alla Biennale-5
punta della dogana inaugurazione per la stampa Venezia, 03/06/2009 |
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L’uomo delle 1500 opere, il Sindaco, l’Architetto e la sua Teca
Una città si mobilita, tutti vogliono partecipare con spirito di rinnovato entusiasmo collaborativo a lasciare un segno duraturo su un palcoscenico sempre oggetto d’ attenzione mondiale, come ci dice Francesco Bonami proprio sul limite acqueo di Punta della Dogana, mentre scopre “Boy with frog” di Charles Ray, inno alla vita e non a presunte torture kippenbergheriane, come teme una giornalista un po’ sprovveduta.
Veniamo portati in motoscafo da una parte all’altra del Canal Grande, vittime di un gradito pendolarismo una tantum tra Dogana e Palazzo Grassi, al centro del famoso chilometro dove c’è tutta l’ arte veneziana (ma non è vero).
Mc Carthy a Palazzo Grassi
Giornata perfetta per gli opening in grande stile e tour de force per il povero Massimo Cacciari, che da ieri - Vedova aperto alla stampa - gira senza sosta, questa volta appena un po’ più stanco del solito, ma capace di omaggiare François Pinault in un discreto francese fuori protocollo, eleggendolo, seduta stante, suo emerito “concittadino”.
La conferenza stampa è brevissima e informale: tutti in piedi nella neo-battezzata “Sala Ando”, in pratica il cubo di classicissimo cemento dolce e liscio che è diventato nei decenni il trademark del notissimo architetto giapponese. Cubo posto a tagliare la sequenza di pareti parallele che definiscono la meravigliosa struttura a triangolo della Nuova Dogana del XV secolo, spostata all’epoca dal sestiere di Castello.
la Sala Ando in costruzione
Bonami ci ha confermato che il progetto di Ando ha influenzato la scelta di queste prime 150 opere d’arte contemporanea della sterminata collezione del magnate francese - sarebbero oltre 1500 - sia nella direzione di una sintonia modernista, che nella condivisione di una qualità di “luce” che appare subito agli occhi del visitatore. Incredibile, alle 11 del mattino, l’accordo e la collaborazione di luce naturale proveniente dai lucernai ricavati nella copertura originale e abile orchestrazione di quella artificiale (neon non invasivi e ben nascosti vicini alle pareti e spot centrali, quasi sotto il colmo del tetto).
ROOM 9, Paul Mc Carthy
Poiché la presentazione alla stampa è un po’ in ritardo, giriamo indisturbati e costruiamo in breve il nostro percorso, non prima di aver registrato alcune impressioni forti: - gli spazi sono più piccoli di come ce li saremmo immaginati (ed è un bene), capaci quasi di restituire in piccolo il bel progetto di Francesco Cellini - che rimarrà sulla carta - per il Padiglione ex-Italiano ai Giardini: entrambi richiamano le calli veneziane e la presenza/ incombenza di muri alti in tutte le zone di Venezia. - poi: il progetto di Ando è molto poco invasivo e i grigi morbidi del calcestruzzo si accordano benissimo con i marroni delle capriate recuperate e rinsaldate, oltre che con le alte pareti perimetrali, lasciate in cotto (quello originale).
Monique Veaute
Già detto dell’ illuminazione, giova all’esposizione anche la scelta di diaframmare i lunghi spazi doppiamente affacciati sull’acqua con divisori che mimano una quinta teatrale o un’ enorme tela e consentono, pur lasciando intuire la continuità di pareti e pavimento, una buona suddivisione in spazi con opere di artisti diversi.
A parte il Cubo-Ando, dedicato a Rudolf Stingel - l'autoritratto è forse appena un po’ troppo sottolineato- è stato aggiunto solo una sorta di mezzo soppalco appoggiato a una sola delle pareti-cateto, con rampe di minimo dislivello e balaustre molto belle in doppio vetro antisfondamento, chiuse da minimaliste lame metalliche a mo’ di corrimani.
Sala ANDO con Rudolf Stingel
Fenomenali le finestre termali palladiane che affacciano sull’ acqua e garantiscono un’ illuminazione super a opere che, forse, in alcuni casi non fanno moltissimo per meritarsela. The Cure Il curatore Bonami ci conferma la passione abbastanza poco irreggimentata di Pinault, che un bel regalo alla città l’ha sicuramente fatto, vorace e un po’ disordinato nelle sue acquisizioni. L’aspetto curatoriale ed espositivo, tutto sommato, non va giudicato in maniera definitiva, in particolar modo in questa circostanza, poiché, come detto, stiamo parlando di un decimo della collezione del francese. Ad esempio: è ovvio che il cavallo cattelaniano che ci accoglie appena entrati, fra un anno verrà tolto, come l’intera mostra verrà smantellata, ma già ora ci permettiamo di dire che, semmai, qualche Stingel materico relegato nella contemporanea mostra a Palazzo Grassi l’avremmo visto molto bene qui alla Dogana. Idem per alcuni Twombly molto belli, un ottimo Fontana, un Koons magari non eccelso ma ad effetto e dei Murakami che avrebbero completato il già vasto omaggio giocoso al conterraneo di Tadao Ando.
La realtà è che il critico, sballottato in pochi giorni tra Rauschenberg, Horn, Vedova, Muratami e Mike Kelly con le sue luminescenze materiche, golose e diciamo fini a se stesse, fatica a seguire una linea analitica chiara. Il tempo a disposizione è poco, perché ci aspettano ben due buffet - quello minimalista fuori dall’entrata e quello più curato offerto a chi si spinge sino a Palazzo Grassi - e il buffet è un’arte assai nota ai frequentatori di vernissages: non va trascurato, in quanto performance in sè e specchio di comportamenti misteriosi (il rastrellamento compulsivo della tartina da parte di insospettabili signore e signori in blu).
ROOM 1 con Cattelan e Gonzalez-Torres
Rimaniamo dell’ idea che la cascata/ frame di Gonzalez-Torres sia un’ intuizione fantastica, perché c’ introduce in un clima di sommersa sofferenza - c’è subito il cavallo ficcato nel muro - oltre ad amorfe, acquatiche, belle sedute in resina (Rachel Whitehead), che stanno lì a dire: non puoi sederti a osservare la morte in atto.
Strepitoso l’ambito - quasi un intero segmento trasversale di Dogana - dedicato a Sigmar Polke: appiccicosi mega-diaframmi marroni evocano una manualità corrotta, assente, e ricreano atmosfere da archeologia industriale involontaria. Polke dialoga, a breve distanza, con più piccole sale riempite di Twombly e con lo spazio ineffabile dei due Chapman, tutto corpicini saldati fra di loro e ipertrofia vitalistica di un paesaggio innaturalmente antropizzato, che dà adito a muschi e mini-costruzioni che esplodono con decisa angoscia in scala 1:100. Murakami si merita - in senso buono - un soffitto ribassato, mentre il secondo Cattelan dei soliti corpi con sudario scolpito, assai poco sensazionali nel 2009, deve convivere con Sugimoto, seppur illuminato dalle termali di cui si diceva.
Stessa fortunatissima sorte a Fischli & Weiss.
Cindy Sherman ha tre pareti a disposizione e convive col solito Koons appiccicato a Cicciolina- mentre va meglio a Charles Ray, lasciato da solo.
Cindy Sherman
è chiaro che la natura improvvisativi del collezionismo pinaultiano faccia schierare i critici e noi non ci sottraiamo. Vanno bene tanti, ivi inclusa Marlene Dumas e forse Uklanski, ma allora perché lasci a Palazzo Grassi due o tre importanti Kippenberger di grandi dimensioni? O il video di Bruce Nauman? O Daniel Buren? O Dan Flavin? O Pistoletto?
è vero che a parte alcune presenze anni ’60, le opere di Dogana sono tutte molto recenti, ma che Pinault stesso abbia messo anche più di uno zampino nelle scelte di Bonami rimane un consistente dubbio.
Francþois Pinault e Tadao Ando
Al di la di ciò, impressionante la perizia restaurativa, la velocità realizzativa e l’ attenzione di Ando nel mettere un freno alla sua vis cementandi. (La prossima volta, però, niente parrucchino, Maestro…). |
venice 2009 the summer of art inaugurazione per la stampa Venezia, 03/06/2009 |