La prima giornata del 53° Festival
Internazionale di Musica Contemporanea si conclude all’interno del magico
scenario del Teatro La Fenice, occasione che rinnova anche per quest’anno la
collaborazione tra la Biennale di Venezia e la Fondazione Teatro La Fenice.
A dirigere la prestigiosa Orchestra del Teatro è la trentaduenne portoghese
Joana Carneiro, fresca di nomina alla direzione musicale della Berkeley
Symphony Orchestra, che già dall’inizio del primo pezzo si distingue per il
suo gesto deciso e secco, ma allo stesso tempo molto intenso e coinvolgente.
Apre la serata Form / Zwei formen (hommage à Edgar Varèse) del tedesco
Wolfgang Rihm composto tra il 1993 e il 1994 per ensemble formato da due
flauti, due clarinetti bassi, due corni, due trombe, tre tromboni, basso
tuba, tuba contrabbasso, cinque percussioni e contrabbasso solista; come si
legge nel titolo, è un omaggio diretto al grande Varèse, in particolare a
Déserts (1954), in cui sostituisce il pianoforte e il nastro magnetico con
il contrabbasso e le percussioni, particolare che crea un netto contrasto
dinamico e ritmico insieme alla sovrapposizione timbrica dei vari strumenti.
Tutta la composizione è caratterizzata da un progressivo e continuo
crescendo che però si interrompe bruscamente a poche battute di distanza
dalla fine tornando al pianissimo iniziale nel registro grave del
contrabbasso, del timpano e della grancassa.
Successivamente, l’atmosfera estremamente suggestiva evocata da Solsangen
(Sun Song) della compositrice svedese Karin Rehnqvist ci proietta in un
panorama primordiale in cui rieccheggiano le forti tradizioni pastorali e
folkloristiche dei paesi scandinavi, senza dimenticare gli influssi della
religione nordica. Infatti, come afferma l’autrice stessa nella conferenza
stampa del 24 Settembre, questo pezzo, per voce femminile, due voci
recitanti e orchestra, fu scritto nel 1994 per la famosa cantante folk Lena
Willemark e quindi non richiede l’uso del vibrato né di una voce impostata,
bensì della tecnica del kulning, cioè la capacità di tenere acuti prolungati
che riproducano il richiamo delle greggi; sempre nel corso dell’incontro a
Ca’ Giustinian, la Rehnqvist dichiara di aver addirittura richiesto, durante
una precedente esecuzione di Sun Song, un suono ancora più potente da parte
tromba perché risultava coperto rispetto a quello prorompente della
cantante, e abbiamo una riprova di questo “duello” sonoro verso la fine del
brano dove l’acuto prolungato in fortissimo (fff) della voce e quello della
tromba, a distanza di un semitono l’uno dall’altro, si sovrappongono creando
inevitabilmente una dissonanza acre e perforante.
Le parti per le voci recitanti, prima scritte unicamente in svedese, sono
state tradotte in italiano proprio in occasione di questa performance
italiana, mentre quella affidata alla cantante rimane in lingua originale;
il testo, particolarmente apocalittico e patetico, proviene dall’Islanda e
risale al XII° secolo. Quindi possiamo dividere il pezzo in tre parti, di
cui la prima è assolutamente tragica, la seconda decisamente più leggera e
gioiosa, e la terza un inno alla sera.
Dopo il breve intervallo, riprende la seconda parte del concerto che propone
al pubblico due indiscussi capolavori del ‘900: Lontano e Arcana.
Il primo, composto da Ligeti nel 1967 per una grande orchestra senza
percussioni, è di un’attualità sconvolgente, sottolinea i due aspetti
fondamentali della ricerca del compositore ungherese, cioè da una parte
l’importanza assoluta del colore e dell’effetto sonoro, dall’altra l’assenza
totale del ritmo, entrambi elementi che caratterizzarono tutta la produzione
ligetiana degli anni ’60.
La scrittura è infatti basata su dense fasce cromatiche lentamente
cangianti, sul graduale espandersi di un cluster che dalla nota iniziale
suonata da un solo gruppo di strumenti - nel caso di Lontano è il la di
flauti e corni – arriva a saturazione con l’aggiunta progressiva delle
diverse parti strumentali e dei rispettivi suoni. In questo modo, l’effetto
raggiunto è di un’apparente “immobilità”, di una “coltre sonora” man mano
sempre più corposa, all’interno della quale gli strumenti si introducono uno
dopo l’altro con messa in voce e si scambiano le note della “serie”
provocando una sensazione di ispessimento statico; tra l’altro, oltre allo
svilupparsi del cluster, è da notare l’espansione dinamica, il lento
passaggio da un pianissimo (pppp) quasi impercettibile ad un fortissimo
(fff) attraverso il crescendo, per poi tornare al silenzio completo con la
parabola discendente del diminuendo.
Si capisce come in tutto ciò il ruolo del ritmo sia assolutamente
irrilevante, se non altro l’assenza stessa della sezione percussioni
dovrebbe essere indicativa per affermare il primato dell’elemento
coloristico-dinamico sull’idea di tempo; l’annullamento del battere di
stampo bartokiano priva l’accento di tutta la sua importanza – tornerà ad
essere oggetto di studio da parte di Ligeti solo negli anni ’70 con gli
esperimenti di sovrapposizione ritmica - , tant’è vero che non troviamo
figurazioni ritmiche precise e definite, ma l’unica peculiarità rimane il
diffondersi delle dimensioni e dei volumi del cluster.
Gli applausi sempre più convinti e soddisfatti del pubblico dopo
l’esecuzione di Lontano aprono trionfalmente la strada alle sonorità corpose
e selvagge di Arcana (1927) di Edgar Varèse, pezzo in cui il compositore
conferisce all’orchestra le immensità dell’universo per la potenza timbrica
e ritmica di tutto l’insieme, tanto che sul frontespizio della partitura
viene riportata una citazione tratta dall’Astronomia Ermetica di Paracelso;
il ruolo affidato alle percussioni torna ad essere di primissimo piano, in
particolare le componenti metalliche immergono gli spettatori in uno
scenario celeste, spaziale, compaiono via via come bagliori all’orizzonte,
come lampi, insomma come manifestazioni di una natura immensa ed
incontrollata che affascina e lascia senza fiato.
La conclusione della serata non può quindi che essere grandiosa, il pubblico
si lascia andare ad un applauso molto lungo e caloroso, ancora emozionato
dalla potenza dell’orchestra e dal gesto convincente e penetrante della
giovane e brava direttrice.
Orchestra Sinfonica del Teatro La Fenice
venerdì 25 settembre ore 20.00
Teatro La Fenice
Rihm / Rehnqvist / Ligeti / Varèse
- Wolfgang Rihm Form / Zwei Formen (Hommage à Edgar Varèse) per ensemble
(1993–1994, 9’)
- Karin Rehnqvist Solsången (Sun Song) per voce femminile, 2 voci recitanti
e orchestra (1994) 29’) prima es. it.
- György Ligeti Lontano per grande orchestra (1967, 10’)
- Edgar Varèse Arcana per orchestra (1927, 18’)
voce Lena Willemark
voci recitanti Sandra Mangini e Marta Dalla Via
direttore Joana Carneiro
Orchestra Sinfonica del Teatro La Fenice |