open doors.7

Inaki Azpillaga

Contact improvisation

e vocabolario Vandekeybus

Venezia, Piccolo Arsenale, 01 aprile 2010

 

di Gabriele FRANCIONI

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- Open Doors

27/30

1. IL VIDEO DI CAPTURING THE CITY

 

Forse per coerenza con la multimedialità del lavoro di Wim Vandekeybus, OPEN DOORS #7 non è una vera e propria serata di danza, ma un incontro tra video e prove di uno spettacolo immaginario o ancora in fieri (come in effetti è OXYGEN, che aprirà "Capturing Emotions" il 26 maggio).

All'inizio riviviamo l'esperienza di CAPTURING THE CITY nel montaggio che viene proposto al pubblico e che aiuta a mostrare anche ciò che, il giorno della performance,sarebbe stato impossibile vedere,poiché le location in cui eravamo sparpagliati accoglievano mini-show in contemporanea. Ecco allora lo svelamento del "Sushi Bar" nelle toilettes del Piccolo Arsenale,dove i danzatori assalivano e scalavano le pareti dello spazio angusto, ribaltando la natura funzionale del luogo in un sito atto ad agire ritualità gestuali, con l'acqua e il sangue del Cristo/Pesce.

I primi piani della griglia tridimensionale -originariamente confinata dietro le ultime file di sedie, contro la parete di fondo - conferiscono maggiore pregnanza a momenti altrimenti osservati da lontano ed eventualmente oggetto del nostro personale editing mentale.

Le impressioni ricevute a caldo, comunque, vengono confermate da questa visione, che ci fa anche ragionare sulla necessità di una maggiore contiguità tra i media coinvolti (l'occhio dello spettatore e la visione unica, irripetibile, dal punto di vista obbligato e non ubiquo;  l'occhio della mdp o videocamera, che restituisce lo sguardo a 360 gradi). Non che si debba mettere in crisi l'unicità istantanea dell'atto performativo, che, anzi, nella sua natura "live", fisica, sudata e irripetibile vive una rinascita inaspettata (i concerti di rock e classica, l'opera, etc): si tratta semmai di raddoppiare le possibilità interpretative di uno spettacolo, di sfondare i limiti fisici delle location (dovrebbero essere tutte a pianta circolare col palco al centro, paradossalmente), di stare al passo con la videoarte e, infine, di sincronizzarci su Cunningham, se non altro per l'aspetto della fruizione visiva equipollente.

 

2. INAKI AZPILLAGA

 

Dopo questo preludio sulfureo, le luci si alzano un po' e inizia la presentazione della lezione aperta di Inaki Azpillaga, ballerino/coreografo di seconda generazione della compagnia di Wim Vandekeybus.

Trattasi di contact improvisation, declinata in una versione, per così dire, soft, light, nonostante l'inizio sia ricco di qualità energetica fatta di scontri e attrazioni.

Coppie di danzatori agiscono un "lancio del peso del corpo" al di là di linee fissate sul palco, quasi si trattasse di una gara di atletica. Una via di mezzo, appunto, tra lancio del peso e salto in lungo, ma inerziale e di pura gravità.

Non possiamo, per ovvii motivi, assistere alla narratività policroma e multisensoriale delle coreografie e dei video di Vandekeybus, per cui tutta l'attenzione è tutta sul contatto a terra e fra i danzatori. Che camminano, in uno stadio successivo della lezione, uasi fossero al parco (delle misurazioni), perché sembrano calcolare i reciproci peso / altezza/ misure mentre tracciano linee a terra. Poi iniziano a dialogare, discutere: inizia la tipica battaglia vandekeybusiana: coppie di ballerini avanzano, indietreggiano e si fronteggiano in complesse diagonali, plasmando e restituendo forma coreografica agli istinti aggressivi attraverso la potenza del corpo. Mancano delle vere e proprie prese in aria. Forse c'è qualche tentativo, ma predomina la concitazione.

Si vogliono portare a limiti parossistici le capacità fisiche degli interpreti, anche se siamo ben lontani dalla brutalità di "What the Body Does Not Remember" e, visivamente, non possiamo avere le splendide e drammatiche ambientazioni di "Roseland".

I tipici duetti dell'artista fiammingo sembrano portare ad un'abitazione parcellizzata dello spazio scenico, dove la lotta a due serve a conquistarsi spazi vitali e costruire nuclei umani di convivenza dinamica.

Segue una fase ancor più elaborata della battle-dance precedente: ascoltiamo scontri verbali che escono da un esperanto condiviso e inventano neolingue. Ci si china e, forse, si muore in improvvise rigidità a terra. Ci si strattona, si dà libero sfogo a una risata liberatoria,ma molte vittime dello stress da troppo contatto rimangono seduti o accasciati.

Un bacio istantaneo apre la terza fase, meno esagitata, con duetti più regolari e spot di luce che seguono i ballerini. Si accennano passi e cala la temperatura emotiva da contact impro.

Pesantezza e leggerezza vanno alternandosi, come le tenere durezze della passeggiata e del bacio, perché comunque le coppie hanno tentato di costruire qualcosa nel caos delle dinamiche interiori rese in forma di scontro fisico.

Dopotutto, sono tutti tentativi di condivisione, di accumulo di energia emotiva e pathos al fine di ricomporre i nuclei originari di una qualche "comunità".

In attesa di poter rivedere un altro "Spiegel", abbiamo apprezzato questo dietro le quinte portato sul proscenio con potente nonchalance da un allievo di W.V.

Chi ha lavorato con Jan Fabre e David Lynch ha, di default, il nostro appoggio e la nostra altrettanto incondizionata stima, qualunque cosa crei e proponga.

 

open doors.7

Inaki Azpillaga

Contact improvisation

e vocabolario Vandekeybus

Venezia, Piccolo Arsenale, 01 aprile 2010