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Wolfskinder
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Il bell’esordio di Ostermann, tra le sorprese della Mostra del cinema, è un romanzo di formazione interrotto dalle vicende del periodo postbellico, anno 1947, che da una parte cementano l’amicizia tra alcuni giovanissimi braccati dai soldati sovietici e dall’altra la portano a soluzione finale, lasciando un vuoto senza speranza in coda alla pellicola, tragica come poche. I due fratelli Arendt, ebrei, attraversano boschi, fiumi e campi dove possono essere impallinati dai cecchini del regime, nella speranza di arrivare sino in Lituania, il più vicino e disponibile approdo oltreconfine che significherebbe la loro salvezza. WOLKSKINDER, i bambini-lupo randagi e predatori per necessità (sono da poco orfani di madre), non conoscono la differenza tra il giorno e la notte ed entrano in guerra dopo che questa è già terminata, al buio e in silenzio. La pellicola è il crudele pedinamento -nel senso di adesione al dramma vissuto empaticamente insieme alla piccola brigata- dei cuccioli d’uomo che diventano adulti on the road e a velocità folle, mangiando quello che trovano, dimenticando la propria identità e riversandola in quella di altri gruppi di disperati incontrati durante il cammino. La solidarietà non copre le distanze, però, e non aiuta ad andare più veloci e anche quando uno dei piccoli, ferito, viene portato in salvo da uno sconosciuto, capiamo che è finito tra le fauci di un lupo più grande, più forte. Ostermann alterna accelerazioni e rare pause meditative, quasi fossero sogni ad occhi aperti che i ragazzini si concedono mentre osservano estaticamente la natura raccolta nella sua indifferente bellezza. Affrontano l’ hic et nunc –ferite, fame, orientamento, solitudine- senza pensare di poter realmente raggiungere la Lituania, che è nozione geografica poco più che vaga: traccia lasciata da un futuro già abortito. La compagnia perde i pezzi con agghiacciante regolarità e il regista è bravo a descrivere l’ indifferenza che è passata dalla natura ai sopravvissuti, cui non spetta più il compito di commentare il destino di chi si allontana, ma di provare a resistere ancora un giorno, forse un’ora. Anche chi guarda, anestetizzato dai controluce che sprofondano in cupezze serali improvvise e dalla teoria di perdite e morti, arriva alla fine senza attendersi catarsi di sorta: assistiamo al bellissimo finale come se fossimo entrati improvvisamente in un altro film, un action-movie che fa irruzione nella casa dove un bambino è stato adottato da una famiglia lituana e negli anfratti della quale, come topi, tentano di passare i piccoli Arendt. Come altre pellicole della Mostra, anche questo WOLFSKINDER si chiude su una nota priva di speranza, che ci toglie il fiato, restituendoci peraltro la sicurezza che da qualche parte (in Germania di sicuro) il cinema è ancora vivo e non si piega a revisionismi storici o estetici.30/30 |