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This is a Happy Angst
VI AR BAST è
progettato per essere l’antitesi e allo stesso tempo l’evoluzione del
trittico FUCKING AMAL/TOGETHER/LILJA 4EVER,dopo il fallimento di MAMMOTH e
le derive tardo dogmatiche di ETT HAL I MITT HJARTA e CONTAINER,col più o
meno dichiarato intento di operare un catartico viaggio à rebours
ancora una volta travestito da romanzo di formazione.L’arco di tempo degli
eventi narrati copre infatti i primi anni ’80 –il regista è del ’69- e
raccoglie di quell’epoca soprattutto la musica,che veicolava speranze ed
emozioni tardo-postpunk e proto-electropop –qui però c’è solo un po’
d’innocuo rock’n punk svedese- evidentemente perdutesi e diventate algida
disperazione all’inizio del terzo millennio.Forse il Moodysson
produttore,quello di JALLA JALLA visto anni fa a Venezia,risorge e
suggerisce all’altro che è tempo di primi consuntivi,anche perché i figli
crescono,magari stanno arrivando ai fatidici 13 anni e occorre fornirli di
un osservatorio positivo sul mondo. Ispiratosi alla graphic novel Never Goodnight della moglie Coco,il cineasta svedese sottolinea l’intento di realizzare “a happy film full of hope and vitality”,grazie al quale osserviamo Klara,Bobo e Hedwig inoltrarsi nei meandri di una crescita non particolarmente accelerata né dolorosamente sofferta. Se non è zucchero è aspartame,insomma:la banda di teenagers che cerca di metter su un gruppetto punk sembra essere sovrastata dall’occhio benigno di una madre.Estendendo il concetto,diremo che una sensibilità femminile orienta costruttivamente tutta la pellicola,poco incline all’autoflagellazione e semmai all’autoindulgenza narrativa, laddove Lukas sgancia il film dalla serrata scansione ritmica fornitagli dalla moglie,che di fatto lo assolve.Assolti sono anche i genitori,in blocco,che allentano vagamente le briglie del controllo parentale alla scandinava. Moodysson ritorna dalle parti di TOGETHER,stavolta guardandosi vivere,piuttosto che immaginandosi peeping tom della generazione quasi adulta (come in quell’opera) e dalla comune hippie muove verso i microrganismi comunitari della new wave post-1982,ovvero le band gioiosamente inkazzate e giulivamente immerse nell’esistenzialismo preadolescenziale del NO FUTURE.Lo stratagemma funziona a metà,perché questi giovani sono semplicemente troppo giovani per intravedere il cono d’ombra dell’età critica che li attende.Il problema è quindi eluso,il dramma eliso e la commedia eletta a genere di riferimento. I ragazzini non possiedono gli strumenti:quelli per suonare e quelli per l’autoanalisi.Come l’amico di Lilya,che giocava a basket senza il pallone. Da bravo nordico,Moodysson ondeggiava tra umanesimo con redenzione allegata e dannazione dell’anima,ma questa volta le derive spiritualistico-sovrannaturali di LILYA ci sono risparmiate e al naturalismo così congeniale al suo modo di girare e dirigere il regista non aggiunge altro:non una stilla di dogmatici tremolii,non un’apparizione angelica. Tre ragazzine svedesi,la terza appena cooptata dal suo universo di chitarrista classica un po’ nerd,si muovono con incerta sicurezza nei territori della preadolescenza,quando tra avere 12 e 16 anni corre una differenza abissale e si erigono steccati tra snelli gruppi fortemente identificati in qualcosa di diverso dal goffo macrocosmo genitoriale.Klara (straordinaria la ragazzina scelta da Moodysson) è la leader,occhi enormi e creatività al vetriolo;Bobo l’introversa non glamourous e Hedwig la silenziosa bella chitarrista,tutte emarginate a scuola a causa di insane passioni musicali. Tra amorazzi solo immaginati per il leader efebico di un gruppo (punk,ovviamente) e accenni distratti a dinamiche familiari complesse,vedi madre divorziata e divagante tra nuovi uomini di diverse età,le tre bimbe decidono di darsi un’immagine dura e pura: si tagliano i capelli,scegliendo lo stile skinhead e simil-Johnny Rotten,rifiutando ogni riferimento alla femminilità. Fondano una tenera band con brano d’esordio dedicato all’odio verso lo sport (un must di quell’età) e trovano l’amorevole supporto di un paio di quarantenni kaurismakiani senza particolare spessore.Suonano a una festa fuori città e vengono contestate dal pubblico locale,che le scambiano per tardo-comuniste.Il resto è un po’ un quadretto prevedibile di colpetti indolori e inoffensivi assestati alla “società svedese”,ma è subito evidente l’intenzione di non far male proprio a nessuno. La pellicola è godibile come un’orzata e leggera come l’aria,inoffensiva come poche e tutta costruita sul talento delle giovanissime interpreti (nella stessa giornata abbiamo apprezzato anche il gruppo di ragazzini di WOLFSCHILDREN,per i quali il rito dei capelli tagliati aveva ben altro significato e pregnanza).25/30 |