THE UNKNOWN KNOWN
di Errol Morris
Documentario

 

VENEZIA 70
Stati Uniti, 105'

 

Una lunga intervista a Donald Rumsfeld, uomo politico che ha avuto un'influenza decisiva a fianco di svariati Presidenti degli Stati Uniti. In sostanza, si tratta di infotainment di alto bordo: Rumsfeld, intervistato frontalmente, non compare granché, sommerso com'è dal montaggio veloce, dagli effetti di grafica digitale e dall'uso di materiali di repertorio, tutto quanto “centrifugato” ben bene in modo da tenere sempre alta l'attenzione dello spettatore. Morris insomma aderisce senza remore a quell'implacabile macchina mediatica che, negli Stati Uniti più che da qualunque altra parte, si mostra omologa alla gestione comunicativa da parte del potere politico. Sulla scorta di qualcuna tra le migliaia di note operative con cui negli anni il potente repubblicano ha inondato il dipartimento della Difesa sotto la propria egida, Morris dà a Rumsfeld il modo di fargli ripetere (senza mai incalzarlo davvero) le versioni ufficiali che negli anni ha promulgato riguardo a Vietnam, Iraq, Abu Ghraib e quant'altro. In questo senso, sarebbe vano ricercare novità “di contenuto” in questo documentario. Si tratta piuttosto di un corpo a corpo tra due retoriche di alto livello: quella di Morris, e quella di Rumsfeld.
È il secondo a vincere: a levare ogni dubbio basta qualche scampolo delle conferenze stampa degli anni caldi della guerra al terrorismo, e quel suo modo di dribblare furtivamente le proprie stesse contraddizioni. Ma l'agone produce scintille - tanto più che Rumsfeld, maestro assoluto della Parola, ammette il suo disagio al cospetto dell'Immagine (in questo caso, le testimonianze di Abu Ghraib). Troppo impegnato a confezionare un prodotto di lusso avvincente e liscio come l'olio, Morris si accorge solo a tratti di questa vulnerabilità (l'Immagine come fianco scoperto del maestro della Parola), ma qualche colpo lo assesta. In alcuni momenti, infatti, The Unknown Known riesce ad elevarsi dalla sua vocazione di infotainment di alto bordo, e a scavarsi qualche piega di sovversione del formato politico-mediatico a cui aderisce. Sono quei momenti in cui, ad esempio, attaccandosi al corpo di Rumsfeld per alcuni secondi prima o dopo il proferimento della solita “versione ufficiale”, Morris riesce a cogliere “l'altra faccia del verbo”, la dimensione di esistenza della parola, che ne esce confutata senza bisogno che sia falsa, ma solo perché parziale, alienata dall'apparenza, la quale in qualche modo ha sempre ragione, perché è lei il vero “unknown known”, la cosa nota che non si conosce. In questi momenti, in queste pieghe, Morris riesce a convincerci che “c'è vita al di là dell'infotainment”. Ed è lì, in quei margini, il valore del suo lavoro – per il resto irrimediabilmente vicino, per natura, al proprio diabolico oggetto: la retorica mediatico-politica. Perché quando Morris chiede a Rumsfeld “come mai ha accettato di sottoporsi a questa intervista?”, e lui ribatte “non lo so”, la risposta noi la sappiamo: al richiamo del mimetismo, all'incontro con “l'altro se stesso”, chi vive di comunicazione non può sottrarsi.
26/30