
Una lunga intervista a Donald Rumsfeld, uomo
politico che ha avuto un'influenza decisiva a fianco di svariati Presidenti
degli Stati Uniti. In sostanza, si tratta di infotainment di alto bordo:
Rumsfeld, intervistato frontalmente, non compare granché, sommerso com'è dal
montaggio veloce, dagli effetti di grafica digitale e dall'uso di materiali
di repertorio, tutto quanto “centrifugato” ben bene in modo da tenere sempre
alta l'attenzione dello spettatore. Morris insomma aderisce senza remore a
quell'implacabile macchina mediatica che, negli Stati Uniti più che da
qualunque altra parte, si mostra omologa alla gestione comunicativa da parte
del potere politico. Sulla scorta di qualcuna tra le migliaia di note
operative con cui negli anni il potente repubblicano ha inondato il
dipartimento della Difesa sotto la propria egida, Morris dà a Rumsfeld il
modo di fargli ripetere (senza mai incalzarlo davvero) le versioni ufficiali
che negli anni ha promulgato riguardo a Vietnam, Iraq, Abu Ghraib e
quant'altro. In questo senso, sarebbe vano ricercare novità “di contenuto”
in questo documentario. Si tratta piuttosto di un corpo a corpo tra due
retoriche di alto livello: quella di Morris, e quella di Rumsfeld.
È il secondo a vincere: a levare ogni dubbio basta qualche scampolo delle
conferenze stampa degli anni caldi della guerra al terrorismo, e quel suo
modo di dribblare furtivamente le proprie stesse contraddizioni. Ma l'agone
produce scintille - tanto più che Rumsfeld, maestro assoluto della Parola,
ammette il suo disagio al cospetto dell'Immagine (in questo caso, le
testimonianze di Abu Ghraib). Troppo impegnato a confezionare un prodotto di
lusso avvincente e liscio come l'olio, Morris si accorge solo a tratti di
questa vulnerabilità (l'Immagine come fianco scoperto del maestro della
Parola), ma qualche colpo lo assesta. In alcuni momenti, infatti,
The Unknown Known riesce ad
elevarsi dalla sua vocazione di infotainment di alto bordo, e a scavarsi
qualche piega di sovversione del formato politico-mediatico a cui aderisce.
Sono quei momenti in cui, ad esempio, attaccandosi al corpo di Rumsfeld per
alcuni secondi prima o dopo il proferimento della solita “versione
ufficiale”, Morris riesce a cogliere “l'altra faccia del verbo”, la
dimensione di esistenza della parola, che ne esce confutata senza bisogno
che sia falsa, ma solo perché parziale, alienata dall'apparenza, la quale in
qualche modo ha sempre ragione, perché è lei il vero “unknown known”, la
cosa nota che non si conosce. In questi momenti, in queste pieghe, Morris
riesce a convincerci che “c'è vita al di là dell'infotainment”. Ed è lì, in
quei margini, il valore del suo lavoro – per il resto irrimediabilmente
vicino, per natura, al proprio diabolico oggetto: la retorica
mediatico-politica. Perché quando Morris chiede a Rumsfeld “come mai ha
accettato di sottoporsi a questa intervista?”, e lui ribatte “non lo so”, la
risposta noi la sappiamo: al richiamo del mimetismo, all'incontro con
“l'altro se stesso”, chi vive di comunicazione non può sottrarsi. 26/30 |