
Romance failed
Ripensando a un passaggio del “Viaggio nel cinema americano” di Martin
Scorsese (“You shoot one for them and one for yourself”), che
sintetizza al meglio il corretto rapporto tra regista e
studios/produttori, viene da pensare che Patrice Leconte stia
tranquillamente attraversando la fase “for them”:
Une Promesse è difatti
pellicola assolutamente priva d’ispirazione,l’esatto opposto di ciò che
promette il pressbook –“film incalzante,intenso e sensuale”- e
impossibile da attribuire allo stesso autore cui si deve LA RAGAZZA SUL
PONTE.
Nella Germania del 1912,squassata fuori campo da un antisemitismo latente e
dal sentimento nazionale che porteranno in pochi anni alla formazione della
“Ultima Thule” hitleriana e alla nascita del partito nazionalsocialista (ne
abbiamo un assaggio solo visivo nel finale), l’anziano proprietario di
un’acciaieria coinvolta nella produzione di armi riesce a ritagliarsi un
personalissimo buen retiro nella ricchissima abitazione di campagna,
programmando gli ultimi anni di vita con meticolosa precisione.
Sceglie attentamente colui che sarà il suo successore: un umile ma ostinato
e intelligente impiegato,presto promosso a segretario personale e
letteralmente trascinato via dai ritmi e dalle tentazioni urbane, in
modo da potersi occupare in situ degli affari di famiglia complessivamente
intesi. Deve anche abbandonare il misero appartamento dove vive insieme alla
giovane compagna, danno collaterale di scarsa rilevanza narrativa.
L’ unico spunto interessante, ovvero la contrapposizione tra dinamismo e
frenesia della città del popolo e blandi ritmi borghesi, tra
esterni multicolore e interni ostinatamente grigi, viene presto abbandonato.
E’ inutile accennare ai banchieri di Francoforte e alle miniere in Messico,
ovvero alla vita vera che si sviluppa oltre i confini di quell’ enclave
fatta da e per pochi, se non si ha l’intenzione di trarne spunti visivi,
fosse anche solo per negarne l’esistenza o sottolinearne l’ innecessarietà
narrativa. Leconte vuole a tutti i costi rimanere fedele al testo di
Stefan Zweig, scegliendo di non tagliare quello che non serve e che,
quindi, finisce con l’ appesantire il film (insostenibili i voice-over da
soap-opera). Lento,algido e privo di pathos, UNE PROMESSE è, appunto, la
promessa che si trascina per quasi due ore, di qualcosa che ci smuova dalle
sabbie mobili in cui ci ha conficcato sadicamente il povero Leconte,in balia
di imperativi categorici dettati dalla produzione.
La
bellezza di Rebecca Hall, troppo contemporanea per questi ruoli, fa a
pugni coi tratti geometricamente antichi di uno spiritato Richard Madden,
che s’impegna a fondo pur di risultare credibile, mentre a dominare la scena
è, prevedibilmente, lo sguardo sornione di un Alan Rickman passepartout,
che biascica le proprie battute, si ammala, s’ingelosisce e muore con
ironica (e menefreghista) nonchalance.
La
storia è drammaticamente scontata: il ragazzotto s’innamora in un attimo
della moglie del padrone e spinge un po’ troppo sull’acceleratore dei
sensi,fraintendendo i segnali provenienti da quella. Rickman coglie al volo
l’opportunità messicana –le miniere richiedono un nuovo amministratore- per
allontanare il neo-factotum e assicurarsi una moglie fedele per quel poco
che gli resta.
I
voice-over aumentano, la noia pure e quando crediamo che, morto il vecchio
industriale, il ritorno in Germania dell’ ex-segretario personale del
defunto segni un’ agognata transizione e approdo verso quella “sensualità”
tanto annunciata, il film si blocca ancora nella palude della fedeltà al
testo.
I due amanti
virtuali, che si sono scambiati lettere mai recapitate a causa dell’ embargo
bellico, diventano reali solo per il misero bacio finale, che sfuma, pure
quello, in una dissolvenza che annuncia i titoli di coda.
Attendiamo un pronto riscatto dal regista transalpino.17/30
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