the canyons
di Paul Schrader
Lindsay Lohan, James Deen

 

FUORI CONCORSO
Stati Uniti, 99'

 

Cos'ha da fare oggigiorno un povero teologo, in un mondo così sprovvisto di Sacro? Paul Schrader se l'è chiesto fin dal primo film, e non ha mai avuto dubbi su dove cercare la risposta: nel porno.
Ancora prima che uscisse, questo The Canyons tratto da Brett Easton Ellis imponeva all'attenzione mediatica domande prettamente teologiche, del tipo “è più pornografico impiegare una star del porno come James Deen in uno dei ruoli principali, o un'ex star allo sbando come Lindsay Lohan, con la stessa spietatezza amorosa di un George Cukor che usava negli anni Settanta una Katharine Hepburn a fine carriera, vecchissima e con il Parkinson?”. Ora che lo si può vedere, The Canyons conferma che solo del sesso degli angeli si può parlare, perché è l'unica specie di sesso possibile.
Lo chiarisce la scena dell'orgia, intreccio assai meno di corpi che di luci, e meno di luci che di fantasmi immateriali, proiezioni, ossessioni di controllo.
Coppia giovane, bella e ricchissima, Tara e Christian (produttore) incrociano Gina (collaboratrice di Christian) e Ryan (aspirante attore). Ryan e Tara erano innamorati, ma il basso tenore di vita di Ryan spinse Tara a fuggire, e a cercare l'agio materiale. La cosa però fatica a restarsene relegata nel passato: inizia così un infernale incrocio di pedinamenti, sospetti, manipolazioni incrociate.
Ad incrociarsi, tuttavia, non sono mai corpi, ma specchi. Tutto è valore raggrumato in feticcio visibile, superficie che riflette lo sguardo: per questo Schrader “ruba” la sintassi dei primi piani e degli sguardi in macchina della prima scena (l'incontro tra i 4) nientemeno che a Ozu, maestro insuperabile nel fingere di costruire una profondità per rimanere invece all'infinito incrocio delle superfici. Niente corpi qui: il corpo è solo l'illusione prodotta dall'incrociarsi degli specchi. L'intero film, nel suo complesso, non è che la paziente, diligente, millimetrica eliminazione di qualsiasi cosa non si adatti al trionfo della superficie (Hollywood, appunto, sgargiante set di The Canyons): nella fattispecie, l'amore. L'”epurazione” va a segno, ma rimane scoperta innanzi alla beffa suprema, parente stretta di quell'altra beffa per cui ogni controllore/regista si scopre sempre e solo attore (l'unico vero controllore/regista, per l'appunto, è quello lassù, quello che non compare mai): il sintomo, il segnale di una profondità (sessuale o amorosa che sia) che verrebbe sacrificata all'altare della superficie, si scopre anch'esso superficie e nient'altro che superficie. Sarebbe un martirio, se le frecce avessero un corpo da trapassare. Ma non ce l'hanno: egli si manifesta solo per spaeculum, et SINE aenigmate.
30/30