
Presentato in concorso nella sezione Orizzonti, STILL LIFE è senz'altro tra
i (pochi) film rivelazione di questa Mostra, dove ha ricevuto un'accoglienza
strepitosa, con standing ovation e ben otto minuti di applausi, interrotti
solo dall'uscita del regista dalla sala per la troppa commozione.
Scritto, diretto e prodotto da Uberto Pasolini, nato a Roma ma trapiantato
in Inghilterra, nipote di Luchino Visconti ed apprezzato produttore (FULL
MONTY e PALOOKAVILLE), il film nasce dalla curiosità del suo autore per un
mestiere poco noto, ovvero organizzare il funerale di persone che muoiono
senza lasciare nessuno dietro di sé. Protagonista nella South London dei
nostri giorni è John, un impiegato del Comune incaricato di trovare il
parente più prossimo di coloro che sono morti in solitudine, lavoro che egli
svolge con estrema cura e meticolosità, tanto da averne fatto il centro
assoluto della sua vita. Dalla cerimonia delle esequie, per cui scrive il
discorso, alla scelta delle musiche, John è una specie di becchino in
cravatta e ventiquattrore la cui dedizione per i suoi 'clienti'- passatemi
il termine- va ben oltre l'orario d'ufficio. L'obiettivo, infatti, è
ricostruire le vite spezzate degli altri, i loro amori, abitudini, glorie e
fallimenti in una sorta di timeline arricchita da splendidi album
fotografici gelosamente custoditi nella sua abitazione privata. Quando il
reparto viene ridimensionato a causa della crisi economica, John supplica il
capo di concedergli qualche giorno in più per assicurare una sepoltura
dignitosa a Billy Stoke, il vicino di casa mai frequentato e morto solo come
un cane. L'incontro con Kelly, la figlia 'segreta' dell'uomo, lo porterà a
compiere un viaggio liberatorio e gli permetterà di iniziare ad aprirsi alla
vita. Nonostante il tema della morte e della solitudine, il film resta
sempre in perfetto equilibrio tra commedia brillante e dramma, rivelando la
capacità di affrontare un argomento non proprio di appeal per il grande
pubblico in maniera delicata e poetica. Anche se agli antipodi della
protagonista ribelle e dalla vita sbandata di Miele,
anche John - interpretato dal noto caratterista
inglese Eddie Marsan - è un personaggio estremo,
un angelo della morte e figura 'ponte' tra la realtà visibile e l'aldilà,
tra il mondo dei vivi e quello dei fantasmi. Siamo insomma in un mondo
sempre più indifferente alla morte, è il monito lanciato dal cinema, che in
questo caso riconquista il suo ruolo di strumento privilegiato per
riflettere sulla società, nella fattispecie quella occidentale, indagando
quello che può essere considerato a tuttoggi il suo più grande tabu.
28/30 |