THE WIND RISES
di Hayao Miyazaki
Animazione

 

VENEZIA 70
Giappone, 126'

 

Non è il Miyazaki che ci si aspetta. Proprio per nulla. Ultima pellicola prima del ritiro annunciato, The Wind Rises sembra più un film che Miyazaki abbia realizzato per se stesso che per qualsivoglia pubblico. Oppure, può essere visto come un dialogo a distanza con il sodale Isao Takahata, ma questa è un'altra storia. Nella prima parte il bambino protagonista, Jiro, futuro progettatore di aerei, viene sballottato dai quattro elementi (acqua, terra, aria, fuoco) il cui prolungamento sarà dato dalla balda e minacciosa marcia della Tecnica. Sembrerebbe, perciò, di trovarsi in linea con il visionario ambientalismo del cineasta nipponico. Invece no. Ci troviamo piuttosto presso il suo rovescio oscuro: la Tecnica (alla quale Jiro dona la vita intera), in tutto il suo intrinseco nichilismo. Ecco: Miyazaki sembra dirci, in maniera ambiguissima, quasi pericolosa (ideologicamente) ma sincera e responsabile e quindi preziosissima, che il nichilismo della Tecnica non possiamo che abbracciarlo così com'è, e seguire fino in fondo la sua parabola autodistruttiva. Dobbiamo, insomma, legarci al vuoto che è al suo centro, riconoscendo la nostra stessa vita e i nostri stessi sforzi come un mandala pronto a essere spazzato via dallo stesso vento che la fa volare.
Il film stesso partecipa in pieno di questa fragilità. Clamorosamente antispettacolare, il racconto procede in maniera assolutamente destrutturata, disorganica, episodica, sfrangiata, scompostamente ellittica. Una sorta di
Porco Rosso strappato al Mito e restituito alle complessità dissonanti del romanzo: segnatamente, un romanzo del primo modernismo, quello risalente a quel “turn of the century” in cui la Tecnica appariva, appunto, in tutto il suo tremendo nichilismo, con la letteratura ad approcciarne l'inumana potenza votandosi eroicamente allo scacco. Non a caso, è un romanzo di quell'epoca che viene ripetutamente citato: quel "La Montagna Incantata" di Thomas Mann in cui si tentava di attraversare e sfondare il nichilismo a cui l'Europa sembra(va) condannata. Non ci si aspetti dunque il “solito” Miyazaki pieno di voli visionari. Ce ne sono, certo, ma il punto, in questa autobiografia mascherata che si scopre problematicamente abbracciata al sogno mentre si dispiega con rasoterra “realismo” cronachistico, è altrove. È nel ripercorrere e ricostruire la propria esistenza, la propria sincera ambizione di autonomia, riconoscendone quasi dandysticamente la suprema vanità. E nel processo, incrociare con sgomento una vanità ben più perturbante: quella dei capricci della Storia.29/30