
Non-Selfish Fetish
La
declinazione gay-fetish di HAROLD & MAUDE manca completamente il bersaglio e
da sguardo intenso sulla cancellazione della Terza Età dal contesto sociale
si trasforma in goffo meccanismo trita-generi. Dopo aver attraversato
melanconicamente i luoghi filmici di Gregg Araki e Larry Clark, ma senza le
intuizioni cromatiche del primo e lo scandaglio foto-sociologico del
secondo, Bruce LaBruce lancia i due protagonisti, il diciottenne efebo
attonito Lake e il suo fidanzato 83enne Melvin(!), sulle strade di un
imbarazzante road-movie dove anche l’asfalto trasuda political-correctness.
Insieme a THE SACRAMENT, UNDER THE SKIN e L’ARBITRO, il film più irritante
della Mostra contiene già nel titolo la disonestà estetica del regista: se
mai una presa di posizione dev’esserci, non può che condensarsi ed esaurirsi
nella trascuratezza con la quale vengono gestiti gli anziani nelle case di
ricovero nordamericane, ovvero dell’ orbe terracqueo. Stratificarci sopra
l’ipotesi di uno sfruttamento sessuale indotto da sovradosaggi di famaci
-
gherontosFILIA
- è a dir poco
improbabile,laddove non grottesco. L’imberbe Lake è ovviamente l’eccezione
angelica: si fa assumere nell’ospizio per poter ritrarre i suoi soggetti
mentre dormono.
è
un poeta, un esteta, un
animo sensibile, capace di passare dall’estemporaneo sex-act -
con uno dei ricoverati
- tenuto miracolosamente
fuori campo, agli amorevoli lavaggi praticati sul corpo resistente
dell’ ottuagenario di colore che poi amerà. Ammiccando qua e là (va citato
anche Van Sant,per inquadrare meglio l’ambito stilistico), LaBruce non va da
nessuna parte,inciampando tra movimentate scene familiari con madre
prevedibilmente bitchy e still lives immacolate nella casa di riposo.
è proprio la regia che fa
acqua da tutte le parti:distratta dalla coppia assunta come unico
perno-narrativo,condanna il film a un tragitto e una fine prevedibili. Lake
vuole salvare almeno Melvin dal vuoto affettivo e dall’ incuria dell’
Istituzione:lo spunto sarebbe bastato per pensare,ad esempio,ad innestarvi
una teoria d’incontri collaterali lungo il viaggio,mentre ci viene
mostrato solo un dimenticabilissimo episodio da bar. Costretto nella camicia
di forza di preconcetti estetici e di altra natura (il razzismo al contrario
per il quale anche la fidanzata di Lake è programmaticamente ebete,ma viene
salvata in corner in quanto “attivista”), LaBruce di fatto non dirige, non
orchestra, ma monta disordinatamente un puzzle para-impressionistico da
filmmaker privo di malizia tecnica.17/30
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