GerONTOPHILIA
di Bruce La Bruce
Pier Gabriel Lajoie, Walter Borden

 

GDA: Selezione Ufficiale
Canada, 85'

 

Non-Selfish Fetish

La declinazione gay-fetish di HAROLD & MAUDE manca completamente il bersaglio e da sguardo intenso sulla cancellazione della Terza Età dal contesto sociale si trasforma in goffo meccanismo trita-generi. Dopo aver attraversato melanconicamente i luoghi filmici di Gregg Araki e Larry Clark, ma senza le intuizioni cromatiche del primo e lo scandaglio foto-sociologico del secondo, Bruce LaBruce lancia i due protagonisti, il diciottenne efebo attonito Lake e il suo fidanzato 83enne Melvin(!), sulle strade di un imbarazzante road-movie dove anche l’asfalto trasuda political-correctness. Insieme a THE SACRAMENT, UNDER THE SKIN e L’ARBITRO, il film più irritante della Mostra contiene già nel titolo la disonestà estetica del regista: se mai una presa di posizione dev’esserci, non può che condensarsi ed esaurirsi nella trascuratezza con la quale vengono gestiti gli anziani nelle case di ricovero nordamericane, ovvero dell’ orbe terracqueo. Stratificarci sopra l’ipotesi di uno sfruttamento sessuale indotto da sovradosaggi di famaci - gherontosFILIA - è a dir poco improbabile,laddove non grottesco. L’imberbe Lake è ovviamente l’eccezione angelica: si fa assumere nell’ospizio per poter ritrarre i suoi soggetti mentre dormono.
è un poeta, un esteta, un animo sensibile, capace di passare dall’estemporaneo sex-act - con uno dei ricoverati - tenuto miracolosamente fuori campo, agli amorevoli lavaggi praticati sul corpo resistente dell’ ottuagenario di colore che poi amerà. Ammiccando qua e là (va citato anche Van Sant,per inquadrare meglio l’ambito stilistico), LaBruce non va da nessuna parte,inciampando tra movimentate scene familiari con madre prevedibilmente bitchy e still lives immacolate nella casa di riposo. è proprio la regia che fa acqua da tutte le parti:distratta dalla coppia assunta come unico perno-narrativo,condanna il film a un tragitto e una fine prevedibili. Lake vuole salvare almeno Melvin dal vuoto affettivo e dall’ incuria dell’ Istituzione:lo spunto sarebbe bastato per pensare,ad esempio,ad innestarvi una teoria d’incontri collaterali lungo il viaggio,mentre ci viene mostrato solo un dimenticabilissimo episodio da bar. Costretto nella camicia di forza di preconcetti estetici e di altra natura (il razzismo al contrario per il quale anche la fidanzata di Lake è programmaticamente ebete,ma viene salvata in corner in quanto “attivista”), LaBruce di fatto non dirige, non orchestra, ma monta disordinatamente un puzzle para-impressionistico da filmmaker privo di malizia tecnica.17/30