
Il mago di Oz.James Dean.Il Feto
Astrale di Space Odissey.Zelig.Judy Garland.Orson Welles.Jayne Mansfield.
James Franco è un mix di tutto ciò o,più semplicemente,rappresenta “The
Child of God”,l’Eletto Trasversale (E.T.) e non pura operazione di
marketing,come sembrerebbe.E’ altro,forse l’Unità Postgender che
raccoglie pansessualmente ogni identità alla ricerca di sintesi.Certamente
un buon ambasciatore della Hollywood democratica,quella che gli consente
raptus creativi in sequenza,salvo imporgli remake in serie per bilanciare la
libertà appena concessa.Il problema di base è che NON è un regista.Attore
molto bravo dotato d’ intelligenza attiva e multiforme,nel senso di
concavità,di vuoto,come contenitore che aspetta di essere riempito dai
pieni dei testi altrui e dalle altrui interpretazioni,J. Franco fa
cinema compulsivo e cannibale,quasi dovesse stuprare la materia
trattata,piuttosto che impregnarla del proprio seme,rovinarla,piuttosto che
migliorarla.Insomma,JF è nella vita il doppio di Lester Ballard,il
protagonista di CHILD OF GOD,che si appropria misteriosamente delle vite
degli altri –qui il cadavere di una ragazza curato come feticcio- come
facevano gli altrettanto vuoti Ed Gein e Ted Bundy.J.F. s’impossessa anche
dei corpi dei film dei libri altrui (Sal Mineo,Allen
Ginsberg,”Cruising”,Faulkner,Corman Mc Carthy…),maltrattandoli per cavarne
il peggio.Scava,attraversa strati/livelli di senso,pagine e trova solo oro
nero,perché non brilla di luce costruttiva,ma di spenta negatività
ottundente.Insomma,il buon sangue misto ebreo-svedese e portoghese si
presenta come Attila-Nosferatu del cinema incapace d’ inventare alcunché.
CHILD OF GOD è l’esame di laurea per una scuola di cinema,statico e pedante
come pochi,dove la combinazione tra creatività altrui –le invenzioni
maccartiane/l’interpretazione di Scott Haze/le musiche alla DELIVERANCE- e
ideuzze sparse,tipo didascalie scritte in MEGAfont,dovrebbe bastare a dirlo
“autore”.Non c’è un’inquadratura che respiri,non una riga di dialogo
concepita col cuore,ma percorsi tortuosamente lineari per arrivare solo a
raccontare il Male.
A
osservarlo da lontano,Franco appare come il massimo catalizzatore
generazionale degli anni Dieci e come colui che è nelle grazie di tutti (o
costoro lo sono nelle sue). Non ci stupiremmo se il suo prossimo
passo fosse il remake di CITIZEN KANE. Nulla sembra essergli
negato,in particolar modo i diritti d’autore grazie ai quali entra ed esce
da testi prima inaccessibili ad altri,come AS I LAY DYING,addirittura di
William Faulkner,da cui il suo precedente lavoro. Urge chiarire che
cotanto talento autopromozionale non va sempre di pari passo con un adeguato
controllo del testo filmico,che chiede altri tempi,altra sedimentazione.
Iperbolicamente,J.F. è il Kubrick di oggi,in grado di produrre magie al
box office e chiedere in cambio la possibilità di svariare a 360°,salvo che
SAL Mineo non è Lyndon Barry. Troppo serrati i tempi di produzione
delle pellicole di cui è regista,ritagliati negli interstizi di un
calendario folle.
Child
of God
prosegue ostinatamente le veloci investigazioni identitarie che J.F. porta
avanti da alcuni anni. Ormai esplorato il limite metatestuale in
INTERIOR.LEATHER BAR,l’autore torna all’adattamento di un libro.
Emasculation:è la premessa del testo di Corman Mc Carthy,autore
anche di NO COUNTRY FOR OLD MEN. Partiti da un’idea d’indebolimento del
tratto maschile,si va in apnea nei vuoti identitari di Lester Ballard.
The Road,altro testo mccarthiano,descriveva lo scenario che CHILD
OF GOD sembra generare con vigore. Idealmente,il continuum discorsivo
percorre le strade di un universo mondo ridotto all’osso,depopulato.
Suttree (1973) viveva anch’esso di segregazioni e solitudini,ma in
un contesto dialogico e di confronto.
Insomma,la limpida unitarietà mostrata icasticamente nell’arco temporale
infinito
(da Mc Carthy) attraversato dai personaggi dei suoi libri,diventa collezione
di frammenti e,coerentemente,prepara la scena –del mondo,dei mondi- a
progressive sparizioni.Di corpi,di parole.Prima di tali
sparizioni,però,Franco deve abitare tutti i mondi e tutti i corpi e dire
tutte le parole,come in HOWL,posseduto dall’esigenza di colonizzare universi
espressivi per lasciarli,a seconda dei casi,indeboliti o depauperati.La sua
è un’attitudine barbarica,conquistatrice,ma connotata dall’ammirazione a
distanza della Letteratura e del Cinema e non da una sua reale profonda
comprensione.Forse trattasi di apprendistato di alto livello,da parte di
qualcuno che è penetrato in questo mondo dal retro (la
recitazione),ma nient’affatto in punta di piedi.
CHILD OF GOD è un ritorno violento alle ambientazioni cupe di INTERIOR
LEATHER BAR,stavolta open door,laddove quello era un semplice divagare sulle
demascolinizzazioni friedkiniane e questa un’immersione a piene mani nell’
american psychosis:Lester Ballard,il protagonista,va al fondo di se
stesso,scava letteralmente buchi nel terreno e li scopa,si muove tra serial
killing e necrofilia perché il suo corpo non gli basta più,non è adatto al
vivere.
Il film non c’è,solo un urlo disperato senza redenzione.
25/30 |