child of god
di James Franco
Scott Haze, Tim Blake, Nelson Jim Parrack

 

VENEZIA 70
Stati Uniti, 104'

 

Il mago di Oz.James Dean.Il Feto Astrale di Space Odissey.Zelig.Judy Garland.Orson Welles.Jayne Mansfield.


James Franco è un mix di tutto ciò o,più semplicemente,rappresenta “The Child of God”,l’Eletto Trasversale (E.T.) e non pura operazione di marketing,come sembrerebbe.E’ altro,forse l’Unità Postgender che raccoglie pansessualmente ogni identità alla ricerca di sintesi.Certamente un buon ambasciatore della Hollywood democratica,quella che gli consente raptus creativi in sequenza,salvo imporgli remake in serie per bilanciare la libertà appena concessa.Il problema di base è che NON è un regista.Attore molto bravo dotato d’ intelligenza attiva e multiforme,nel senso di concavità,di vuoto,come contenitore che aspetta di essere riempito dai pieni dei testi altrui e dalle altrui interpretazioni,J. Franco fa cinema compulsivo e cannibale,quasi dovesse stuprare la materia trattata,piuttosto che impregnarla del proprio seme,rovinarla,piuttosto che migliorarla.Insomma,JF è nella vita il doppio di Lester Ballard,il protagonista di CHILD OF GOD,che si appropria misteriosamente delle vite degli altri –qui il cadavere di una ragazza curato come feticcio- come facevano gli altrettanto vuoti Ed Gein e Ted Bundy.J.F. s’impossessa anche dei corpi dei film dei libri altrui (Sal Mineo,Allen Ginsberg,”Cruising”,Faulkner,Corman Mc Carthy…),maltrattandoli per cavarne il peggio.Scava,attraversa strati/livelli di senso,pagine e trova solo oro nero,perché non brilla di luce costruttiva,ma di spenta negatività ottundente.Insomma,il buon sangue misto ebreo-svedese e portoghese si presenta come Attila-Nosferatu del cinema incapace d’ inventare alcunché.
CHILD OF GOD è l’esame di laurea per una scuola di cinema,statico e pedante come pochi,dove la combinazione tra creatività altrui –le invenzioni maccartiane/l’interpretazione di Scott Haze/le musiche alla DELIVERANCE- e ideuzze sparse,tipo didascalie scritte in MEGAfont,dovrebbe bastare a dirlo “autore”.Non c’è un’inquadratura che respiri,non una riga di dialogo concepita col cuore,ma percorsi tortuosamente lineari per arrivare solo a raccontare il Male
.
A osservarlo da lontano,Franco appare come il massimo catalizzatore generazionale degli anni Dieci e come colui che è nelle grazie di tutti (o costoro lo sono nelle sue). Non ci stupiremmo se il suo prossimo passo fosse il remake di CITIZEN KANE. Nulla sembra essergli negato,in particolar modo i diritti d’autore grazie ai quali entra ed esce da testi prima inaccessibili ad altri,come AS I LAY DYING,addirittura di William Faulkner,da cui il suo precedente lavoro. Urge chiarire che cotanto talento autopromozionale non va sempre di pari passo con un adeguato controllo del testo filmico,che chiede altri tempi,altra sedimentazione. Iperbolicamente,J.F. è il Kubrick di oggi,in grado di produrre magie al box office e chiedere in cambio la possibilità di svariare a 360°,salvo che SAL Mineo non è Lyndon Barry. Troppo serrati i tempi di produzione delle pellicole di cui è regista,ritagliati negli interstizi di un calendario folle.
C
hild of God prosegue ostinatamente le veloci investigazioni identitarie che J.F. porta avanti da alcuni anni. Ormai esplorato il limite metatestuale in INTERIOR.LEATHER BAR,l’autore torna all’adattamento di un libro.   Emasculation:è la premessa del testo di Corman Mc Carthy,autore anche di NO COUNTRY FOR OLD MEN. Partiti da un’idea d’indebolimento del tratto maschile,si va in apnea nei vuoti identitari di Lester Ballard. The Road,altro testo mccarthiano,descriveva lo scenario che CHILD OF GOD sembra generare con vigore. Idealmente,il continuum discorsivo percorre le strade di un universo mondo ridotto all’osso,depopulato. Suttree (1973) viveva anch’esso di segregazioni e solitudini,ma in un contesto dialogico e di confronto.
Insomma,la limpida unitarietà mostrata icasticamente nell’arco temporale infinito
(da Mc Carthy) attraversato dai personaggi dei suoi libri,diventa collezione di frammenti e,coerentemente,prepara la scena –del mondo,dei mondi- a progressive sparizioni.Di corpi,di parole.Prima di tali sparizioni,però,Franco deve abitare tutti i mondi e tutti i corpi e dire tutte le parole,come in HOWL,posseduto dall’esigenza di colonizzare universi espressivi per lasciarli,a seconda dei casi,indeboliti o depauperati.La sua è un’attitudine barbarica,conquistatrice,ma connotata dall’ammirazione a distanza della Letteratura e del Cinema e non da una sua reale profonda comprensione.Forse trattasi di apprendistato di alto livello,da parte di qualcuno che è penetrato in questo mondo dal retro (la recitazione),ma nient’affatto in punta di piedi.
CHILD OF GOD è un ritorno violento alle ambientazioni cupe di INTERIOR LEATHER BAR,stavolta open door,laddove quello era un semplice divagare sulle demascolinizzazioni friedkiniane e questa un’immersione a piene mani nell’ american psychosis:Lester Ballard,il protagonista,va al fondo di se stesso,scava letteralmente buchi nel terreno e li scopa,si muove tra serial killing e necrofilia perché il suo corpo non gli basta più,non è adatto al vivere.
Il film non c’è,solo un urlo disperato senza redenzione. 25/30