At Berkeley
di Frederik Wiseman
Documentario

 

FUORI CONCORSO
 Stati Uniti, 244'

 

Il Grande Fratello va all’università

In uno strepitoso film in cui Wiseman va fuori campo e si allontana a distanza infinita dalla macchina da presa, lasciata sola davanti al crescere del tempo, si concentra la materia densa di un documentario dedicato a ciò che rimane, negli anni Dieci, dello spirito dei Sixties e Seventies. I college americani hanno nel frattempo raffreddato la materia della protesta e congelato i ruoli delle parti in causa: i giovani arrabbiati hanno pre-definito un limite alle loro azioni e si ritirano in buon ordine appena realizzano di creare ostacolo allo studio dei colleghi raccolti nella biblioteca dove fanno assemblea. I docenti e lo staff, civilissimi e inamovibili soldatini del sistema, per quanto ragionevolmente flessibili sugli aspetti pratici meno importanti della vicenda in divenire (unico residuo della tradizione tollerante di Berkeley), non hanno mai uno scatto d’ira e sembrano prevedere l’esito degli eventi. Non è una scelta casuale, quindi, quella di azzerare l’estetica da handycam e di evitare un’ esagitazione stilistica prevedibile e scontata per un documentario politico. Sembra quasi di assistere a un “Grande Fratello all’ Università”, laconico e dotato di pathos scritto in sede di sceneggiatura. Trattandosi di Realtà, però, deduciamo che tale è lo status quo in una delle più importanti istituzioni scolastiche mondiali, che ha sì sdoganato i diritti civili delle minoranze, ma adesso si riduce ad assorbire come una spugna, o un blob, ogni eccesso, ogni fuoriuscita dalla norma(lità). Le innumerevoli telefonate dello staff che coordina e riscrive, con piccole o grandi bugie, il racconto della protesta, sembrano opera di uno screenwriter robotico, tanto si assomigliano e sembrano coordinate da un unico cervello omni-sovrintendente. è giusto che Wiseman si azzeri: c’è chi ha già scritto i fatti, la fine dei quali è nota, nulla evolve e una m.d.p. fissa è scelta coerente e azzeccata.
Molto più interessanti le riunioni a porte chiuse sulla gestione del budget universitario o, all’opposto, i talks sull’ emarginazione razziale strisciante tra gli studenti e gli alumni in visita (un tic tipicamente americano). Sono i luoghi filmici della cattiveria, del cinico realismo del corpo docente, che gelidamente rileva l’efficienza o l’incapacità di un collega, eventualmente rimosso dalla gestione dei fondi per la ricerca,  o decide i tagli alla stessa. Sono anche i luoghi dell’ anodina analisi sociologica sui criteri di formazione dei gruppi di studio studenteschi, dove il colore della pelle sembra incredibilmente e imprevedibilmente tornare a orientare le scelte di bianchi/ neri/ gialli. Il black è ancora quello con minor voglia d’impegnarsi e i gialli cominciano a ritagliarsi lo spazio per una mini-elite ben definita.
Il regista è forse interdetto come lo siamo noi e decide di muovere appena la m.d.p. in brevissimi segmenti di umanità condivisa: i dialoghi tra una ricercatrice appassionata impegnata al microscopio e la professoressa  empaticamente partecipe o le lectiones tenute da figure esterne, come quando un ex-membro dello staff di Clinton arringa la folla composta con aneddoti e dettagli forniti ad uso dei futuri congress-men demorepublicans.

Questo è, peraltro, lo stile consolidato di Wiseman, che ci ha fatto amare il CRAZY HORSE appena pochi mesi fa, riuscendo a elidere ogni tautologia tra modalità di regia e oggetto ripreso: i luoghi (università/locale notturno) parlano più attraverso i silenzi e il realismo cronologico delle riprese che per interposta interpretazione soggettiva o emotiva. Wiseman possiede questa incredibile capacità di rendere nobile e apprezzabile il più piccolo dettaglio (meglio: la democratica parata di tutti i dettagli) di qualunque attività umana che si dipani di fronte ai nostri occhi. La meticolosità del fare e del ragionare, anche lentissimamente, secondo le variabili ma inattaccabili logiche della ratio di ogni pratica, finisce col rendere degno “tutto”, dallo striptease performato con stile, all’allenamento pugilistico, alla infinite dinamiche nate in un contesto di campus universitario. Tutto semplicemente “è” perché così deve essere, forse senza via di scampo o senza possibilità alcuna di essere diversamente
.30/30