
Una questione di metodo
Non intendiamo entrare nel dettaglio
di questo film, che apre inaspettatamente la Mostra del Cinema come evento
singolo, richiamando un pubblico numerosissimo schierato sulle tribune
della Sala Perla, neanche fosse la tifoseria di qualche grande squadra.
Sembra quasi che le “Venice Days”, presosi l’onere dell’apertura, in una
giornata di lampi e tuoni, abbiano scelto l’opzione nazionalpopolare allo
scopo di raccogliere una vasta audience, piuttosto che privilegiare la
VENEZIA SALVA di Serena Nono, prodotto più elitario e ricco, che
avremmo gradito maggiormente per un’infinita serie di ragioni, se non altro
per tener sveglia la popolazione sulla propria amatissima città. Se il vero
opening movie tratta di “gravity”, con
L’arbitro abbiamo un oggetto
in caduta libera. Trattiamo solo il metodo, incluse le modalità di
presentazione, cercando di evitare il film in sé.
Il cinema italiano non vuole affrontare alla radice la propria eterna crisi,
ma preferisce mettersi in un angolo e attendere la venuta di
successivi messia in grado di trascinare il sistema con 1-film-1 all’anno
e chi s’è visto s’è visto. Dopo i vaghissimi accenni di “rinascita” di fine
Anni Ottanta –un paio di nomi: Salani e Marco Risi- a metà anni Novanta un
Verdone o un Pieraccioni, insieme al canonico cinepanettone, sembravano
poter bastare, da soli, per far partire il meccanismo di redistribuzione
interno alle produzioni del singolo studio e garantire l’uscita di tanti
piccoli lavori intesi a mo’ di palestra per ipotetici nuovi Autori. Mentre
il downloading incombeva, non vennero ipotizzate vie alternative: il
metodo resse qualche anno, poi fu il momento dell’autoflagellazione e
dello scaricabarile, che finiva per trovare la propria giustificazione,
appunto, nella malvagità del web. Ora non esistono più i film-locomotiva o,
perlomeno, non si è trovata in casa l’alternativa a quelli, cedendo di
schianto all’attacco portato - durante l’intera stagione - dall’animazione
americana, prima, quindi dalle teenager-saghe e infine dal
3D. Paradossalmente ciò ha portato a un prevedibile crollo degli
incassi e al collasso del sistema (quando si è iniziato a parlare di
chiusura degli studi di Cinecittà, come in un domino), ma anche al
rafforzarsi e consolidarsi di alcuni Autori-roccia, Autori-Salvatori
(Sorrentino e Garrone, contrapposti a quelli anziani che però non fanno più
cassetta, ovvero Bellocchio e Bertolucci). Mentre l’ipertrofia catodica
diventava patologia vera e propria, capace però di risucchiare intere
schiere di registi e attori che hanno nel frattempo letteralmente abdicato
in massa - in favore di nessun giovane, sia chiaro - e si sono lasciati la
settima arte alle spalle PER SEMPRE, il cinema italiano è stato sganciato da
tutto, abbandonato, alla deriva come l’isolotto di Kusturiça in UNDERGROUND.
Oggi i giovani vanno a studiare all’estero e tornano in patria, sempre
malvisti o guardati con sospetto, con degnissimi esordi - corti o medio
metraggi - che debuttano in piccole rassegne come il “Ca’ Foscari Short Film
Festival”, salvo i loro film battere bandiera straniera, da cui le stimmate
del tradimento culturale. Se questi piccoli eroi costituiscono un
insieme, c’è un sottoinsieme (i cortometraggi d’animazione)
assolutamente oscurato dalla visione, non pervenuto, eppure vitalissimo, che
gode di altrettanto disinteresse da parte dei media. Inutile nasconderselo:
o fai improvvisamente e miracolosamente cassetta o puoi cambiare mestiere,
prima di finire (dentro) al macello (televisivo).
In quest’ottica stagnante, pigra e attendista, tutti si predispongono,
alcuni ormai nell’autunno della propria esistenza, all’epifania dell’Eletto: che sia Paolo Zucca? Possiamo sperare che centrifugare una
dozzina di generi, virandoli poi in un innecessario bianco e nero
simil-Ciprìemaresco e speziando il tutto con pepe tarantiniano, serva a
creare le premesse per l’avvento del messia del cinema italico? Possibile
che mettere insieme Accorsi e la Cucciari non basti? E poi,insomma,parliamo
di calcio,la panacea di tutti i mali, la divinità pagana immutabile, l’Entità in nome della quale sacrificare paghette/ stipendi/ mensilità pur di
non perdersi le partite del weekend, possibilmente in HD. Possibile che
neanche il Dio-Calcio e i suoi officianti, Arbitro e Giocatori compiano il
miracolo? La risposta è scontata. Il giorno dopo abbiamo sentito, in zona sala
Pasinetti, un cinefilo sui trenta aggredire un possibile collega mentre
analizzava L’arbitro via
cellulare: “Ma tu non ti rendi conto… Questo finalmente è un film girato
benissimo, sai cosa vuol dire finalmente una fotografia giusta, addirittura
dei grandangoli e le luci erano perfette… E poi dei ralenti bellissimi, tipo
quelli con Accorsi che danza in stile fascista… Zocca è un genio, è il
nostro Tarantino e tu non capisci un c…..!”.N/G
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