l'arbitro
di Paolo Zucca
Stefano Accorsi, Geppi Cucciari

 

GDA: Eventi Speciali
Italia, 104'

 

Una questione di metodo

Non intendiamo entrare nel dettaglio di questo film, che apre inaspettatamente la Mostra del Cinema come evento singolo, richiamando un pubblico numerosissimo schierato sulle tribune della Sala Perla, neanche fosse la tifoseria di qualche grande squadra. Sembra quasi che le “Venice Days”, presosi l’onere dell’apertura, in una giornata di lampi e tuoni, abbiano scelto l’opzione nazionalpopolare allo scopo di raccogliere una vasta audience, piuttosto che privilegiare la VENEZIA SALVA di Serena Nono, prodotto più elitario e ricco, che avremmo gradito maggiormente per un’infinita serie di ragioni, se non altro per tener sveglia la popolazione sulla propria amatissima città. Se il vero opening movie tratta di “gravity”, con L’arbitro abbiamo un oggetto in caduta libera. Trattiamo solo il metodo, incluse le modalità di presentazione, cercando di evitare il film in sé.
Il cinema italiano non vuole affrontare alla radice la propria eterna crisi, ma preferisce mettersi in un angolo e attendere la venuta di successivi messia in grado di trascinare il sistema con 1-film-1 all’anno e chi s’è visto s’è visto. Dopo i vaghissimi accenni di “rinascita” di fine Anni Ottanta –un paio di nomi: Salani e Marco Risi- a metà anni Novanta un Verdone o un Pieraccioni, insieme al canonico cinepanettone, sembravano poter bastare, da soli, per far partire il meccanismo di redistribuzione interno alle produzioni del singolo studio e garantire l’uscita di tanti piccoli lavori intesi a mo’ di palestra per ipotetici nuovi Autori. Mentre il downloading incombeva, non vennero ipotizzate vie alternative: il metodo resse qualche anno, poi fu il momento dell’autoflagellazione e dello scaricabarile, che finiva per trovare la propria giustificazione, appunto, nella malvagità del web. Ora non esistono più i film-locomotiva o, perlomeno, non si è trovata in casa l’alternativa a quelli, cedendo di schianto all’attacco portato - durante l’intera stagione -  dall’animazione americana, prima, quindi dalle teenager-saghe e infine dal 3D. Paradossalmente ciò ha portato a un prevedibile crollo degli incassi e al collasso del sistema (quando si è iniziato a parlare di chiusura degli studi di Cinecittà, come in un domino), ma anche al rafforzarsi e consolidarsi di alcuni Autori-roccia, Autori-Salvatori (Sorrentino e Garrone, contrapposti a quelli anziani che però non fanno più cassetta, ovvero Bellocchio e Bertolucci). Mentre l’ipertrofia catodica diventava patologia vera e propria, capace però di risucchiare intere schiere di registi e attori che hanno nel frattempo letteralmente abdicato in massa - in favore di nessun giovane, sia chiaro - e si sono lasciati la settima arte alle spalle PER SEMPRE, il cinema italiano è stato sganciato da tutto, abbandonato, alla deriva come l’isolotto di Kusturiça in UNDERGROUND.
Oggi i giovani vanno a studiare all’estero e tornano in patria, sempre malvisti o guardati con sospetto, con degnissimi esordi - corti o medio metraggi - che debuttano in piccole rassegne come il “Ca’ Foscari Short Film Festival”, salvo i loro film battere bandiera straniera, da cui le stimmate del tradimento culturale. Se questi piccoli eroi costituiscono un insieme, c’è un sottoinsieme (i cortometraggi d’animazione) assolutamente oscurato dalla visione, non pervenuto, eppure vitalissimo, che gode di altrettanto disinteresse da parte dei media. Inutile nasconderselo: o fai improvvisamente e miracolosamente cassetta o puoi cambiare mestiere, prima di finire (dentro) al macello (televisivo).
In quest’ottica stagnante, pigra e attendista, tutti si predispongono, alcuni ormai nell’autunno della propria esistenza, all’epifania dell’Eletto: che sia Paolo Zucca? Possiamo sperare che centrifugare una dozzina di generi, virandoli poi in un innecessario bianco e nero simil-Ciprìemaresco e speziando il tutto con pepe tarantiniano, serva a creare le premesse per l’avvento del messia del cinema italico? Possibile che mettere insieme Accorsi e la Cucciari non basti? E poi,insomma,parliamo di calcio,la panacea di tutti i mali, la divinità pagana immutabile, l’Entità in nome della quale sacrificare paghette/ stipendi/ mensilità pur di non perdersi le partite del weekend, possibilmente in HD. Possibile che neanche il Dio-Calcio e i suoi officianti, Arbitro e Giocatori compiano il miracolo? La risposta è scontata. Il giorno dopo abbiamo sentito, in zona sala Pasinetti, un cinefilo sui trenta aggredire un possibile collega mentre analizzava L’arbitro via cellulare: “Ma tu non ti rendi conto… Questo finalmente è un film girato benissimo, sai cosa vuol dire finalmente una fotografia giusta, addirittura dei grandangoli e le luci erano perfette… E poi dei ralenti bellissimi, tipo quelli con Accorsi che danza in stile fascista… Zocca è un genio, è il nostro Tarantino e tu non capisci un c…..!”.
N/G