biennale teatro 2011

 

sportivo teatral

el box

drammaturgia e regia Ricardo Bartís

 

12 ottobre h19, Teatro alle Tese

 

di Anna TRIVELLATO

sportivo teatral: scheda

con Mirta Bogdasarian (María Amelia), Pablo Caramelo (Aníbal), Adrián Fondari (Tatú), Andrés Irusta (ballerino), Matías Scarvaci (Dr. Otamendi), Mariana de la Mata (Noemí), Jazmín Antar (Delia) costumi César Taibo scene Isabel Gual musica Manuel Llosa assistente Mariela Castro Balboa assistente alla regia Mariano González produzione Sportivo Teatral

22/30

Apparentemente è come essere entrati nell’intimità della vita di qualcuno, di nascosto e in silenzio, mentre questo non si accorge di niente. Lo spettatore scruta, osserva, cerca di capire qualcosa dello spettacolo, mentre un quartetto “sgangherato” crea una musica di sottofondo che, francamente, è la sola che anima il tutto. Sembra una vera e propria violazione della privacy. Il palcoscenico si percepisce da subito: entri e ti siedi aspettando di vedere cosa ha voluto creare per noi, questa volta, Ricardo Bartìs. Si tratta di una specie di strappo di un momento di esistenza, uno di quelli che vorresti che la vita non ci riservasse mai: quando sei depresso, cinico, infelice e scorbutico. Ammettendo che gli attori siano riusciti bene in questo intento (apparivano, in fatti, svogliati e senza animo artistico), lo spettacolo è da considerarsi sicuramente di livello inferiore a molti altri che si sono susseguiti in questa settimana d’arte scenica. Il palco, colorato, invitante, che sembra un disegno perfetto dai colori allegri e brillanti, è catastroficamente usato come palestra, dove una donna sulla cinquantina, in procinto di avere un misto tra attacco cardiaco ed esasperazione (Mirta Bogdasarian), e con un marito, che fatica a reggersi in piedi e dal carattere pessimista (Pablo Caramelo), tenta invano di creare una ridicola scenetta. In aggiunta a loro, c’erano altri attori che sono serviti solo a “tappare” i buchi nello spazio scenico. Il risultato è senza dubbio scarso. Non capisci le intenzioni e non afferri quello che poteva essere una rappresentazione, certamente semplice, ma anche piacevole. Quando, nell’intento del regista c’è la voglia di mostrare una passione per uno sport, quale la box, che nell’America Latina di un tempo era uno stimolo di ricerca di grandezza e di via d’uscita da un mondo perfido e buio, EL BOX sembra stia prendendo in giro i saldi valori di queste persone, che in un modo o nell’altro hanno cercato di migliorare la loro vita. Ad un certo punto è stato come se si fosse perso l’ordine compositivo delle cose: tutti parlavano sopra tutti e le traduzioni in italiano, proiettate sul muro, andavano troppo lente rispetto alle voci. In sostanza si rimane delusi da spettacoli come questi perché, all’inizio, ognuno si fa delle aspettative e quando queste non vengono esaudite, un sentimento di pena e fastidio rimbomba nell’aria. L’ambientazione è l’unico punto a favore di questa scenetta; sinceramente non mi viene neanche più da chiamarlo spettacolo, e neppure recita, vista l’inesistenza totale di quest’ultima. Anzi, avrebbe recitato molto meglio un novellino alle prime armi nel mondo teatrale . C’era molto disordine e, alla fine, si è trattato solo di un grande e assordante caos.

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10 ottobre > 16 ottobre 2011