biennale teatro 2011
Troubleyn / Jan Fabre PROMETHEUS LANDSCAPE II
ideazione, regia,
scenografia Jan Fabre 11 ottobre h19, Teatro Piccolo Arsenale
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Troubleyn / Jan Fabre: scheda |
testi di Jeroen Olyslaegers (I am the all-giver da Prometheus Bound di Eschilo), di Jan Fabre (We need heroes now) con Kurt Vandendriessche (Prometheus), Ivana Jozic (Prologo, Bia, Athena), Gilles Polet (Prologo), Cédric Charron (Kratos, Dyonisos), Kasper Vandenberghe (Hephaestus), Lawrence Goldhuber (Epimetheus), Annabelle Chambon (Io), Katarina Bistrovic-Darvaš (Hermes, Oceanus), Katarzyna Makuch (Pandora), Vittoria De Ferrari musica Dag Taeldeman assistenza e drammaturgia Miet Martens luci Jan Dekeyser costumi Andrea Kränzlin coordinamento tecnico tour Arne Lievens suono e video Tom Buys tecnica Bern Van Deun produzione Troubleyn/Jan Fabre (Antwerp, Belgium) con il supporto del Governo Fiammingo in coproduzione con Peak Performances@Montclair State University (Montclair, USA), Théâtre de la Ville (Paris, France), Malta Festival (Poznan, Poland), Tanzhaus NRW (Düsseldorf, Germany), Zagreb Youth Theatre (Zagreb, Croatia), Exodos Ljubljana (Ljubljana, Slovenia) e in coproduzione con La Biennale di Venezia (Venice, Italy), Bitef Theatre Belgrade (Belgrade, Serbia) nell’ambito del Progetto ENPARTS – European Network of Performing Arts con il supporto del Programma Cultura della Commissione Europea |
27/30 |
C’è del marcio in Belgio. (Everything is politics, but politics is ugly)
Il titano Prometeo, silente dopo aver donato il fuoco agli umani contro il volere di Zeus, è intrappolato leonardescamente in una tela di ragno a forma di croce di sant’andrea, posta davanti alle fiamme solari a mo’di crux in circulo: parlerà solo alla fine, dal suo trono patibolare piatto disposto su corde che lo martirizzano, tirandolo per i quattro arti come un condannato veneziano giustiziato in Piazza, ma in posizione verticale. La scena è stata rivelata dopo un prologo deputato alla consueta - per Fabre - dichiarazione anti-freudiana, che dice anche: a) abbiamo bisogno, nonostante tutto, nonostante una dozzina di dubbiose autointerrogazioni, di un EROE attuale, di un Prometeo-2 capace di far buon uso del potere conferitogli dal fuoco e di resistere all’ira divina, alla disordinata vendetta dei poteri invisibili; b) dobbiamo tornare, per salvarci, al corpo con organi, alla carnalità brutale e imperfetta, quindi fragile, che in quanto tale è la sola a preservare un grado di purezza scalfito dall’autoriflessività tormentosa della psicanalisi. Il cervello è prima di tutto un organo, dominante e ambiguo, ma pur sempre parte della nostra instabile corporeità. Cos’è rimasto di Eschilo in Fabre? Niente e tutto. Qui siamo nel PROMETEO INCATENATO, quindi fuori dai temi legati alla liberazione del titano e alla riconciliazione con Giove, cioè indipendenti dagli altri due capitoli della trilogia. Nulla, perché il testo è prevedibilmente sempre tradito e sostituito da proclami, monologhi, cogitazioni, che hanno la funzione di far aumentare la temperatura emotiva del caos scenico; tutto, perché la peculiarità del testo eschileo (per una volta Zeus è il nemico) è fedelmente ripresa. Lo spettatore coglie pienamente l’affinità elettiva tra il Popolo, cui si presume appartenga la vittima, e Prometeo stesso, indifferente al continuo supplizio. L’artista fiammingo opera anch’egli secondo modalità resistenziali, anche se col pieno sostegno d’istituzioni ed enti, poiché metaforizza tutto e non esita a riferire il suo messaggio politicizzato al Belgio contemporaneo. Ecco allora che, con tali premesse, assistiamo al caos organizzato in cui le entrate di Potere e Forza o quelle delle Oceanine hanno tutte una connotazione visiva assai marcata. Da una parte l’iconografia soldatesca di corpi in movimento, dall’altra figure femminili uscite dal PORTIERE DI NOTTE con correzioni ulteriormente sado-maso. Il coro lancia proclami, le attrici cavalcano nude la bestia della Ribellione al sistema e la successione di quadri scenici, pur ben concepita, a volte si segnala per progressiva ripetizione di uno schema. Fabre sembra costruire ogni momento con un inizio chiaro e uno sviluppo confuso. Esposizione orale (le voci del coro) e raddoppio coreografico (marce, movimenti sincronizzati). Poi arriva la prima deriva scenica (in genere al femminile), con urla, impossessamenti del microfono per nuovi slogan, quindi una temporanea conclusione dove sembra che la Repressione abbia successo sui nuovi padroni del fuoco, salvo ribaltamento finale. Impossibile negare la forza visiva di un paio di intuizioni registiche: tra queste, l’uso della sabbia e degli estintori, massicciamente utilizzati con funzione anti-piretica, insieme a rossi secchi montati sulle teste degli attori. L’insieme produce anche un forte impatto olfattivo. Sembra possibile, poi, cogliere alcuni espliciti riferimenti filmici: il saluto romanocol braccio di richiamo, inventato da Peter Sellers sul set di DR STRANGELOVE (Kubrick); i conigli presi di peso dai RABBITS di David Lynch, qui virati verso un nero unto e combusto; le rosse asce/accette ovunque marcianti e provenienti da THE WALL di Alan Parker. We don’t need no education, sottolinea Fabre, anche se Prometeo ha il compito di segnare la strada verso l’istruzione libera, ma è ovvio che il belga parla di autocoscienza e non di istituzione scolastica. Il problema è che, se tutto questo è improvvisamente attuale in un Belgio squassato dalla destra xenofoba e da forze retrograde e integraliste, non è certo originalissimo il vocabolario fabreano, incapace di liberarsi da un immarcescibile kitsch volontario, come il baffo hitleriano, la divisa nazi-tirol con calzettoni e scarponcini e lo scolastico saluto romano. Tutto acquisterebbe forza se concentrato in poco più di un’ora, privato dell’estenuante introduzione, alleggerito nel monologo di Prometeo e trattenuto nei momenti para-improvvisativi. Ciò significherebbe, peraltro, negare uno dei tratti salienti dell’arte di Fabre, debordante da sempre, incontenibile entro limiti di sorta, meno che meno temporali. PROMETHEUS II – LANDSCAPE funziona a tratti: lo spettatore tende quindi a operare un montaggio personalizzato dell’inizio di ogni scena, dove è concentrato il meglio. Gli attacchi sono sempre di grande effetto: le luci calano improvvisamente e la musica batte ossessivamente il tempo delle entrate in scena, in genere marce. Molto meno riuscito l’uso di canzoni agganciabili al tema del fuoco o della sessualità liberata: LIGHT MY FIRE, I’M ON FIRE, FEVER, BECAUSE THE NIGHT sono assai prevedibili e usate male. Fabre dovrebbe smettere di combattere il dogmatismo con le sue contro-regole fatte di simbolismo recitativo e manifesti visivi. Inutile citare il bombardamento della Libia nell’incontro col pubblico e la stampa (Gheddafi morirà 9 giorni dopo la prima italiana del PROMETHEUS, n.d.r) se poi ci si autoproclama “dittatore” nella pratica registica. L’autore della PIETAS esposta alla Scuola della Misericordia per Biennale Arte è un creatore solitario che approccia il lavoro con i performer avendo già in mente, a sua detta, un’immagine perfetta e congelata delle scene. L’interfacciamento regista- attori non produce quindi dinamiche costruttive, ma solo l’alternanza di rigidi blocchi esecutivi e anarchia interpretativa. La faziosa e ostinata contrapposizione tra il proprio metodo e quello di Ostermeier, più volte chiamato in causa nelle domande del pubblico, non ha alcun senso, visto che gli spettacoli dei due autori parlano da soli. Fabre deve, per così dire, provare a non “parlare il suo teatro”, ma a lasciarlo parlare per ciò che è: un affascinante montaggio non sequenziale di erotismo visivo in movimento - di fatto purissima Performance Art - travestito da manifesto politico. |
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biennale teatro 2011 Troubleyn / Jan Fabre
10 ottobre > 16
ottobre 2011
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