biennale teatro 2011
anagoor fortuny
13 ottobre h13, Teatro Fondamenta Nuove
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anagoor: scheda |
ideazione Simone Derai, Moreno Callegari, Marco Menegoni con Anna Bragagnolo, Pierantonio Bragagnolo, Moreno Callegari, Marco Menegoni coreografia Anna Bragagnolo, Simone Derai, Moreno Callegari, Pierantonio Bragagnolo ideazione scene e costumi Simone Derai, Moreno Callegari, Marco Menegoni progettazione e realizzazione Simone Derai, Serena Bussolaro, Mauro Parolini, Silvia Bragagnolo, Sabrina Pozzobon materiale fotografico Archivio fotografico Fortuny, Gallerie dell’Accademia Venezia, Ernst Friedrich video Simone Derai, Marco Menegoni musiche Marco Menegoni, Paola Dallan arrangiamento e canti Paola Dallan, Emanuela Guizzon arrangiamento per organo Anna Furlan regia Simone Derai produzione Anagoor in coproduzione con Città di Venezia / Teatro Fondamenta Nuove, Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto in collaborazione con Museo Fortuny e Fondazione Musei Civici Veneziani, Contemporanea Festival / Teatro Metastasio Stabile della Toscana con il Patrocinio di Regione del Veneto si ringrazia Fortuny spa, Pallucco srl con il supporto di Apap Network Culture, Programme of European Union Anagoor fa parte del progetto Fies Factory / Anagoor durata 60’ |
25/30 |
Piango l’opaco caso del mio Paese e accetto regole giuste o non giuste che siano.
Davanti a un drappo damascato stanno figure che emergono da un indefinito sotto. Sembrano sulla soglia di un’iniziazione, di un viaggio, di un’indagine. Mutano abito/pelle, sembrano lavarsi, comunque si purificano. La voce fuori campo evoca contrapposizioni tra giustizia e arroganza della Legge e necessità di lasciare famiglia/Chiesa/ordine costituito, impegnandosi in una rivolta e in un cambiamento di stato. Rivoltisi verso una luce-guida, i tre vengono poi realmente guidati da una figura femminile coperta d’oro, mentre loro appaiono ora come incappucciati, intenti a mostrare volti sfigurati su un monitor. L’atrocity exhibition segue l’apertura di un retro, replica di possibile sala di palazzo veneziano. Pannelli laterali e su parete di fondo richiamano arazzi e quadri. Due video accostati poi separati mostrano immagini del crollo del campanile in Piazza San Marco, anno 1903, e teste mutilate di statue antiche. I tre ora sono ora rispettivamente nero/verde/oro, hanno deposto a terra un sudario-mummia (vuoto) e si apprestano a coprire con pittura gli occhi delle teste mutilate. Il lavoro di Anagoor, che si fa ragionamento su Venezia come precario oggetto d’arte, chiama in scena un Altro che sta e prospera fuori campo: i ministeri della Cultura, l’ignavia dei politici e il loro disprezzo verso ciò che non ha e non porta consistenze materiali, heideggerianamente inattingibile, irriducibile a ogni volgare traduzione e tradimento. In due parole: l’Arte e il Bello, che nella specifica declinazione della compagnia di Castelfranco Veneto aderisce a un’idea di preservazione del gesto neoclassico. FORTUNY è il frutto di un cut and paste di esperimenti, confluiti poi in una sorta di prova generale in situ, cioè a Palazzo Fortuny, messa in scena la scorsa primavera. Ci troviamo, quindi, di fronte a un assemblaggio di parti, ancora parzialmente trattenute nella loro embrionalità, di cui la facies mostrata a Biennale Teatro è solo una versione fra tante. Un drappo (di) damascato veneziano annuncia la presenza di Mariano Fortuny a Teatro Fondamenta Nuove e ci guida attraverso la lettura dello spettacolo. Facciamo un passo già decisivo nel cuore del ragionamento testuale, perché il damascato venne prodotto nella nostra città dopo le prime importazioni dalla Siria a partire dal XII° e XIII° secolo, nonostante sia di origine cinese (quindi ancora Venezia, Marco Polo etc). C’è una ragione se ci soffermiamo più sui moschettoni che cuciono il drappo o sul velo dorato stesovi sopra piuttosto che sugli attori. Ci prae-occupiamo della cura con cui deve essere trattato quel manufatto damascato quasi più degli umani. Il damascato rappresenta la città e la sua storia e noi ne valutiamo subito la consistenza materiale. è di Venezia come manufatto che si tratta e del suo valore, come equivalenza con qualcosa di materiale. La presenza dell’ORO, poi, non attiene solo alla qualità cromatica della pittura o alla sua valenza estetica, ma soprattutto al peso-valore (ancora: materiale) dell’Arte. Oggi esso è ridotto a impercettibile lamina depositata sul tessuto. A nulla, quasi a un disvalore. FORTUNY era un maestro nel pensare e e realizzare tessuti, ma qui andiamo oltre, fino all’oro di Bisanzio e a un’arte che arricchì, con la trascendenza della Luce, un manufatto-città che era già luce, era già città-Luce oltre che città-Acqua. La Venezia di Anagoor, però, è còlta al culmine della sua ricchezza e potenza, nel momento in cui si attua un cortocircuito tra “oro come valore spirituale ed estetico” e “oro come solo valore materiale”. La messa in scena è complessa e articolata, anche se forse, esponendo la propria natura di work in progress in(de)finito, rischia di rimanere ripiegata su se stessa, in un continuo rimando tra segni e codici che, appena letti o interpretati, tornano a cambiare collocazione rispetto al quadro tematico d’insieme. |
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biennale teatro 2011
anagoor
10 ottobre > 16
ottobre 2011
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