biennale musica

mutanti 2011

 

michael levinas

26 settembre Ca' Giustinian, Sala delle Colonne

 

di Gabriele FRANCIONI

30/lode

La “mutazione” proposta da Francesconi viene interpretata da Michael Levinas, eccellente pianista, ma principalmente sottile ricercatore sonoro, in termini di fascinazione tipicamente fin de siècle per il timbro e l’ acustica del suono, pienamente incarnata da Gyorgy Ligeti nello studio Desordre, cuore e fulcro del programma, costruito su un pianismo convulso, articolato, di difficilissima esecuzione e concentrato sul valore della risonanza e l’ uso del pedale destro. Da un altro lato, se assumiamo Scarlatti, Schumann, Chopin e Debussy come i maggiori innovatori degli studi per pianoforte, diciamo che il debito ligetiano nei confronti dell ‘ultimo risulta chiaro nell’ intensa presentazione di Cordes à vide, mentre Arc-en-ciel e Automne à Varsovie sono una sorta di corredo ai primi due studi citati (l’insieme andando sotto il nome di Etudes pour piano Vol. I, 1985). Accostati al Beethoven estremo della Sonata in Do minore n. 32, Op. 111, 1821-22) e ai Trois études (1992, 10’) dello stesso Levinas, creano un mix “spettrale”, cromatico-timbrico e post-impressionista (nella sua lettura omogenea, non nella collocazione storica, ovviamente).

Affascinato da sempre dall’ elettronica e dalla “musique spectrale”, Michael Levinas viene chiamato da Luca Francesconi a Biennale Musica 2011 per far risuonare, tutti insieme, pianoforte, palchetto e Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian. Concentrato sul sistema anteriore del suono, prima che si disponga sul pentagramma, l’ allievo di Messiaen è uno sperimentatore del timbro, oltre e prima di essere un grande pianista. Lo ha dimostrato, lungo quasi 40 anni di attività, anche con l’ ensemble “Itineraire”, attraversando ambiti tra loro distanti e autoclassificandosi, perciò, come vero e proprio mutante nei territori della ricerca sonora. Ecco allora che gli incredibili Etudes ligetiani diventano il centro del ragionamento di Levinas e funzionano quasi da “buco nero” in cui attirare ciò che di moderno era già contenuto in particolar modo nell’ “Arietta” (II° movimento della sonata) beethoveniana e ritornerà in qualche modo nelle composizioni dello stesso Levinas. Passato il tempestoso primo tempo dell’ Op. 111, dove si affronta e si sviluppa il tema della fuga, Levinas preferisce concentrarsi sulle risonanze dell’ Arietta, in particolar modo sui suoni gravi, allungandone i tempi “all’ infinito”, quasi volesse farci apprezzare al meglio la creatività autonoma di uno strumento che è spazio concreto di azione/reazione tra corde distanti. Questo succede sia nell’ esposizione del tema -16 battute- sia nella prima (e seconda) variazione, veramente lentissime. Non a caso la durata complessiva dell’ Arietta sfiorerà i 30 minuti, ben oltre il “minimo” di 23-25 e il “massimo” di 27, il ché giustifica, tra l’altro, la scelta del compositore di evitare l’ aggiunta di un terzo movimento! Impossibile, invece, non accelerare durante la terza variazione, che salda, per così dire, 3/4 secoli di storia della musica contenuti nell’ Opera 111, trasportandoci verso i confini di un ambito sonoro addirittura prossimo alle radici danzate del ragtime. Eppure Levinas, per farci apprezzare qualche risonanza anche durante la terza variazione, non spinge troppo sull’ acceleratore (mentre continua a spingere sul pedale). Il magma, che ormai ha alternato empasses e sincopi, chiede solo di riversarsi negli studi ligetiani, proponendo, ribaltato, lo schema “lento/veloce”. Desordre, tautologicamente, propone Levinas impegnato talvolta con la sinistra solo sui tasti neri e la destra solo sui bianchi, colpendo le note secondo ritmi diversi. Ma il Ligeti degli Etudes è anche altro. Guardiamo attraverso i brani eseguiti da Levinas e troveremo tracce di Guillaume de Machaut e Nancarrow, beats tribali africani, Gesualdo, Stravinsky, Pergolesi, Rimskij-Korsakov, Ciaikovskij, musica sudamericana e jazz, teoria del caos e frattali. Ma soprattutto Debussy, trattato come scintillante studio mercuriale non privo di autoironia. Considerando anche i due Studi ligetiani “laterali”, Levinas riesce a ripensarne il rapporto tra polifonia e timbro, utilizzando e sfruttando al meglio il medium-pianoforte. In particolare, L. analizza e decostruisce la polifonia come matrice degli accordi. In Ligeti-Debussy, nello specifico, la polifonia costruisce accordi e risonanza. E’ quindi una polifonia non “orizzontale”, che procede secondo linee continue e indipendente dal contesto armonico, quanto invece qualcosa che da orizzontale diventa verticale, per così dire. Levinas definisce “circolare” questa polifonia dedotta da Debussy e traghettata fino a Ligeti, come se il circolare congiungesse orizzontale e verticale. Alcuni passaggi sia di Ligeti che dei brani dello stesso Levinas sono quasi rivestiti e circondati da una sorta di alone timbrico-armonico figlio di tale circolarità. Nelle composizioni del pianista, poi, assistiamo a un trionfo acustico-timbrico pieno di pizzicati e suoni stoppati, ribattuti e chiusi da una simmetria irregolare, aperta a successivi sviluppi. Concerto come infinita investigazione timbrica, quindi meravigliosa esperienza sonora.

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biennale musica 2011

arsenale della danza
24 settembre > 01 ottobre 2011