biennale danza

ARSENALE DELLA DANZA 2011

 

pororoca

Lia Rodrigues Companhia de Danças (Brasile)

12 maggio ore 20.00

 

di Gabriele FRANCIONI

pororoca: scheda

Coreografia Lia Rodrigues
in collaborazione con i danzatori Amália Lima, Ana Paula Kamozaki, Lidia Larangeira, Calixto Neto, Leonardo Nunes, Thais Galliac, Jamil Cardoso, Gabriele Nascimento, Paula de Paula, Bruna Thimotheo, Francisco Cavalcanti e con la collaborazione di Allyson Amaral, Clarissa Rego, Carolina Campos, Volmir Cordeiro, Priscilla Maia

26/30

“Já virou uma pororoca
Essa paixão no meu peito
Ta arrebentando tudo
Arrasando o meu mundo
Feito um rio que sai do leito
Já virou uma pororoca…”

(José Divino Neves e Luiz Felizardo)

 

“Pororoca” è una definizione spesso presente nelle composizioni poetiche o nella cultura musicale popolare brasiliana, intraducibile in quanto non di matrice portoghese, bensì amazzone (minoranza nativa “Tupi”).

La creazione di Lia Rodrigues intende ridefinire in un contesto di danza contemporanea, comunque ricca di codici, le sempre aperte possibilità di un sistema di segni coreografici nuovi e, appunto, intraducibili.

Il termine usato dagli indigeni per descrivere il rumore prodotto dall’incontro tra Rio delle Amazzoni e le onde dell’Oceano - o dai “Rio Negro e Solimoes” per tracciare la traiettoria di un sentimento vorticoso (“…uma pororoca/essa paixao no meu peito”) - rimanda quindi a una rotazione che si chiude su se stessa, generando un intreccio.

 

L’immagine dell’“onda” è esattamente quella che viene prodotta dagli 11 ballerini della compagnia all’inizio dello spettacolo, dopo un lungo minuto di sospensione silenziosa, in cui li vediamo  fermi all’estremità sinistra del palco, raccolti quasi fossero la versione non compressa di una scultura di César, e “impastati” dalla materia, (per ora) inerme, composta da oggetti di quotidianità varia, vestiti, etc.

Successivamente al lancio improvviso, inatteso e visivamente assai efficace della materia da sinistra a destra - si forma realmente un’alta ruota cromatica che ricade a terra, suggerendo nuovi posizionamenti ai danzatori - “Pororoca” diventa un continuo, entelechico gesto fisico da seguire con attenzione analitica o dal quale lasciarsi trasportare senza interrogazioni.

Ovvio che ci sia dell’altro oltre a questo “kaos” catartico: innanzitutto le lunghe fasi di dinamiche al suolo (rari i salti) si susseguono in modo da essere interrotte a intervalli regolari da precisi momenti statici, scultorei, durante i quali le individualità corporee si fondono in un’unica immagine  zoomorfa (ragno/tarantola) abbandonata dagli spot dell’illuminazione, quindi evocativa, o in lunghe stringhe umane congelate che si estendono oltre il limite del fronte scena, arrivando fino a noi.

Sono i momenti migliori della coreografia, perché sostanziano l’apparente casualità del resto, sistemandolo entro una griglia semantica che va anche oltre. 

Ad esempio: potremmo trovarci davanti ad una collettiva messa in scena della creatività di una favela - i fisici dei ballerini non sono e non devono essere perfetti, asciutti, da accademia di danza di città - che scende dalle colline di Rio de Janeiro (doppio del Rio das Amazonas) e invade i luoghi simbolici dell’altissima borghesia “branca” - Ipanema, Barra da Tijuca, Copacabana, Leblon- fino a infrangersi contro la rigenerante primordialità dell’oceano. L’inversione di senso dei danzatori-animali della foresta che cavalcano, e comandano, gli umani piegati a quattro zampe (coppie di ballerini), riproducendo il verso di uccelli e o il ruggito di un leao, potrebbe ricordarci le infinite possibilità di rivolta del non-sistema della favelas contro l’organizzata ricchezza carioca.

Lia Rodrigues è un’attivista, dopotutto, oltre che coreografa: difficile immaginarsi qualcuno più lontano dalla gratuità del segno e del gesto.

Oppure potremmo trovarci di fronte a una dinamica ribaltata: le nuove generazioni delle favelas prendono la strada della foresta, che è a un passo, liberandosi da ciò che le assimila ai coetanei dei quartieri di Rio (i vestiti: verso la fine alcuni di loro reclamano varie forme di nudità), riconquistando così la facies zoomorfa di fiere ferite pronte ad attaccare la città.

Il pubblico può trovare qualche difficoltà nel seguire il flusso dei corpi, nel tentativo di aggrapparsi a  passi conosciuti (appena accennati e subito destrutturati), a gesti codificati, a duetti…

Non è ovviamente questa la corretta via interpretativa - se ce n’è una - o l’approccio migliore: è un lavoro che va molto a terra, lavora di contatto/i, evita le pose classiche, cresce attraverso la destrutturazione.

 “Pororoca”, semmai, dovrebbe moltiplicare i momenti statici, non tanto per fissare forzatamente delle figurazioni poste a mo’ di àncora o punto di riferimento per il pubblico, quanto per dettare delle pause sentite come necessarie all’interno della costruzione coreografica, del suo ritmo (il rischio è l’eccessiva durata delle fasi intermedie).

Forse, però, potrebbero bastare, a commento di “Pororoca”, le parole della stessa Rodrigues:“Our simplest movement towards new paths, towards our dreams, takes us one step nearer to fulfilment.” 

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biennale danza 2011

arsenale della danza
11 maggio > 25 giugno 2010