biennale arte

illuminazioni 2011

 

come un grande viaggio

 

di Amy FERULLO

Il 4 giugno si è aperta la 54. Esposizione Internazionale d’Arte la Biennale di Venezia intitolata ILUMInazioni. Le partecipazioni nazionali sono salite a 89 dalle 77 del 2009. Le nazioni che quest’anno fanno il loro ingresso sono Andorra, Arabia Saudita, Bangladesh, Haiti, mentre quelle che vi partecipano dopo una lunga assenza sono India, Congo, Iraq, Zimbawe, Sudafrica, Costa Rica e Cuba.

Potremmo considerare la Biennale di Venezia come un grande viaggio in cui si intrecciano opere artistiche e lavoro di curatori dando vita ad un continuo movimento che ci presenta l’arte nella sua evoluzione. Lo scopo principale è quello di individuare, e a volte addirittura scovare, gli artisti che meglio rappresentano la contemporaneità. In questo tipo di esposizione, però, non sono solo le opere che devono essere considerate, ma la struttura stessa e il modus operandi rivestono fondamentale importanza. Da ciò scaturisce la forma data alla mostra dal quale dipende la possibilità di ottenere la stima del mondo. La Biennale esiste da centosedici anni ma è dal 1999 che alla struttura in padiglioni nazionali si affianca la mostra. La mostra della Biennale è fondata su alcuni pilastri: i padiglioni dei paesi partecipanti, la mostra internazionale della Mostra della Biennale, gli spazi per realizzare la grande mostra del curatore della Biennale, gli eventi collaterali, la città di Venezia e la cura del pubblico. Il titolo “ILLUMInazioni” dato alla Biennale di quest’anno mette in risalto il suo incentrarsi sulla luce, elemento da sempre legato all’arte, e che richiama i temi dell’Illuminismo. Il finto suffisso ”nazioni” amplia la portata semantica del titolo,e si riferisce alla struttura della biennale con i suoi padiglioni nazionali. Secondo la curatrice, Bice Curiger, in ciò potrebbe esserci una contraddizione, la Biennale si caratterizza per la sua internazionalità, ma al contempo è visibile uno sforzo di protezione delle frontiere nazionali. C’è da osservare che oggi gli artisti non si sentono più legati alle realtà nazionali e l’arte fa riferimento a “nuove comunità”. Per questo anche a molti altri critici la struttura della Biennale risulta anacronistica, come fa notare la Curiger, e in un certo senso è come se si volesse celebrare la contemporaneità mantenendo uno sfondo storico autoritario.  Probabilmente quello che si richiede alla Biennale è un maggiore riferimento alla dinamicità, la quale permetterebbe di esemplificare meglio l’evoluzione artistica. Si sentiva quindi il bisogno di introdurre proprio a tale scopo, dei nuovi elementi. Una novità è costituita dai Parapadiglioni. La loro costruzione è stata voluta dal direttore della Biennale Bice Curiger in persona e a tal fine sono stati incaricati quattro artisti: Song Dong, Monika Sonowska, Oscar Tuazon e Franz West, che hanno creato quattro grandi strutture. La loro dimensione è consistente e si caratterizzano per la loro natura scultoreo-architettonica. I parapadiglioni possono ospitare opere di altri artisti dando vita a condensazioni e intrecci artistici più complessi. Non si tratta di una “aggiunta”, le opere non sono poste semplicemente una accanto all’altra. Lo scopo dei Parapadiglioni, pur mantenendo un riferimento alla struttura dei padiglioni nazionali, è piuttosto quello di dinamizzare la Mostra e dare anche nuovo impulso a reciproci scambi e collaborazioni tra gli artisti. Nei Parapadiglioni le opere sono ospitate e non semplicemente contenute.

 

 

Ogni Parapadiglione rappresenta delle peculiarità già dalle quali comincia a palesarsi l’elemento di dinamicità. Ai giardini, annidato tra due padiglioni nazionali, si trova il Parapadiglione di dello statunitense Oscar Tuazon. Si tratta di una struttura in cemento armato, che nel suo insieme ricorda quella di un tempio abbandonato, che ospita le opere del Basco Asier Mendizabal e della norvegese Ida Ekblad, creando così la possibilità di un nuovo incontro artistico. Durante i giorni della vernice tale struttura è stata utilizzata dal ballerino  Nils Bech per una performance ballata e cantata. Nella sua danza si è appoggiato alle pareti della struttura progettate da Tuazon in maniera particolare, servendosi di essa per esprimere le sue capacità, seguendo in parte le linee oblique del cemento del Parapadiglione. Questa performance non avrebbe avuto lo stesso effetto se fosse stata accanto a delle pareti “verticali”. In ciò si è dato vita ad un particolare intreccio artistico in cui, in un certo senso, l’arte utilizza l’arte. All’Arsenale si trova il Parapadiglione di Franz West che si presenta come una ricostruzione privatissima, la sua cucina di Vienna sulle pareti della quale hanno posto anche le opere collezionate dei suoi amici. Da ciò l’elenco degli artisti presenti alla biennale risulta ampliato. L’interno della struttura, essendo “rivoltata” si presenta ricoperta di pannelli decorativi, esposti dall’artista indiana Dayanita Singh e accordati con delle immagini in una istallazione nella quale scorrono delle diapositive. Anche in questo caso viene a crearsi una dinamicità tra gli autori delle opere. Altra dimensione privata è riscontrabile nel parapadiglione di Song Dong, situato all’inizio delle Corderie dell’ Arsenale. Esso è costituito nella parte inferiore da cento ante di armadio provenienti da Pekino, e si presenta anche una ricostruzione della casa dei genitori dell’artista. In esso si incontrano le opere del francese Cyprien Gaillard, di Yto Barrada, della californiana Frances Stark e di Asier Mendizabal, alcuni suggestivamente visibili attraverso le ante.

 

 

All’interno del Palazzo delle Esposizioni ai Giardini della Biennale è situato il Parapadiglione della polacca Monika Sosnowska. A colpire è innanzitutto la sua particolare struttura a stella. Sembra quasi esserci una sfida sulla percezione del razionale. La stessa artista ha dichiarato il suo intento di voler fissare il “momento in cui lo spazio architettonico inizia ad assumere le caratteristiche dello spazio mentale”. Ci sono spazi in cui gli ambienti sembrano restringersi a tal punto da non poter essere percorsi. L’ispirazione sembra essere stata trovata a partire dai fallimenti architettonici delle linee rette del modernismo. Questo Parapadiglione è ricco di “cose che stridono”. Innanzitutto si deve osservare che le pareti interne sono rivestite da carta da parati ed elettrodomestici, mentre quelle esterne, sono nude, grezze. Anche il senso di intimità originato dalla struttura è in contrasto con l’istallazione dell’inglese Haroon Mirza e del fotografo David Goldblatt, invitato dalla Curiger. Questo senso di opposizione è particolarmente significativo perché dà modo agli artisti di sperimentare nuove comunità e palesano l’esistenza di molteplici voci e punti di vista. A questo punto ci rimarrebbe da verificare se, ed eventualmente fino a che punto, l’introduzione dei Parapiglia – Parapadiglioni, come ironicamente chiamati da alcuni giornalisti, ha risposto alle critiche di arretratezza e anacronismo. Come sostiene la Curiger, è innegabile, l’introduzione dei Parapadiglioni che si inseriscono tra i padiglioni storici della Biennale, costituiscono un’importante elemento di novità, capace di integrarsi e dinamizzare l’esposizione. C’è però da dire che la struttura dell’arsenale e dei padiglioni è rimasta fondamentalmente immutata, anche se quest’anno ci sono state tra le nuove scelte espositive, alcune che hanno determinato a mio parere delle situazioni importanti nel tanto criticato “susseguirsi” delle opere all’arsenale, come ad esempio le statue di cera di Urs Fischer, ed il video lungo un giorno di Christian Marclay. Da ciò risulta, sostanzialmente, che il processo di dinamizzazione proposto si è rivelato tutt’altro che fallimentare. Probabilmente la stessa struttura dello spazio espositivo permette la comparsa solo di alcune novità che si concretizzano talvolta in importanti innovazioni che però non possono essere in grado di modificare sostanzialmente la natura della prima Esposizione Internazionale d’Arte.

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biennale arte 2011

illuminazioni

04 giugno > 27 novembre