|
un triste bilancio commento ai premi |
|
![]() |
|
Triste bilancio per Venezia 67. La valutazione tra le premesse e i risultati della Mostra mi delude. Il 29 luglio, in conferenza stampa al Westin Excelsior di Roma, il presidente della Biennale Paolo Baratta e il direttore artistico Marco Mueller annunciano subito la nuova linea di sobrietà vale a dire un budget ridotto che quest’anno ammonta a 12 milioni di euro. “La crisi ci ha dato una mano”, sdrammatizza Baratta, perché oltre alla sforbiciata di risorse, la riduzione di costi e spazi, il ridimensionamento del glamour, le crisi inducono cambiamenti e richiedono decisioni nuove. Venezia 67 vuole quindi reinventarsi e rinnovarsi scommettendo sia su film da 5’ sia da 200’, con i grandi registi che si adattano a lavori più corti, accostando i nomi importanti agli artisti emergenti e rafforzando la sua natura di laboratorio dei diversi linguaggi artistici soprattutto attraverso la svolta di “Orizzonti”, sezione creata nel 2004 e da sempre dedicata alle nuove tendenze del cinema mondiale, che quest’anno accoglie tutti i “fuori formato”, cortometraggi compresi. La presenza di ben 41 opere italiane di cui quattro tra le 23 in “Concorso” - LA PECORA NERA di Ascanio Celestini, LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI di Saverio Costanzo, NOI CREDEVAMO di Mario Martone e LA PASSIONE di Carlo Mazzacurati - è registrata da Mueller come “un fermento nel cinema italiano che andava trascritto”. Invece, a conti fatti, solo 20 SIGARETTE di Aureliano Amadei nella sezione “Controcampo Italiano” si porta a casa un premio mentre il verdetto tarantiniano mi appare viziato, narcisistico e ingrato: il Leone d’Oro a Sofia Coppola per SOMEWHERE, il Leone d’Argento per la miglior regia e il Premio Osella per la sceneggiatura ad Alex de la Iglesia per BALADA TRISTE DE TROMPETA e un appioppato premio speciale, il Leone d’Oro per l’Insieme dell’Opera, a Monte Hellman per ROAD TO NOWHERE. Oltre a una giuria palesemente spaccata in due e al familismo di un Tarantino pure volgare, mancava l’intervento del neocineasta ministro Bondi, peraltro assente sia a Cannes sia a Venezia, che ha tutta l’intenzione, scatenando le reazioni degli addetti ai lavori, alcune a mio avviso sin troppo morbide, di mettere becco anche nella scelta dei giurati visto che dei 12 milioni di euro stanziati, 7 provengono dalle casse statali. Ovvero dalle casse degli italiani, ma questo passaggio al ministro Bondi e al resto della banda sfugge o fa finta di sfuggire. La Biennale, in quanto laboratorio dell’Arte, “lo spirito del tempo” lo deve esprimere in Libertà. Se “una mostra si deve sempre domandare a cosa serve perché la sua utilità deve essere sempre riconoscibile”, così Baratta e Mueller dichiaravano a luglio, dove sta finendo la sua anima indipendente, il patrimonio più importante da salvaguardare? |
|