66.ma mostra del cinema LE INTERVISTE 2009 Venezia, 02/12 settembre 2009
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Samuel MAOZ e Yoav DONAT regista e attore protagonista di lebanon |
KINEMATRIX Con questo film Lei ha cercato di svuotare la memoria dal dolore che si è tenuto dentro per venticinque anni. è riuscito ad esorcizzare questo dolore usando il film come terapia?
Samuel Maoz Si tratta più che altro di un fattore temporale. Il tempo ha permesso che mi distaccassi dai terribili ricordi di questa esperienza. Ho scritto la sceneggiatura del film venticinque anni dopo l’episodio di quella infelice mattina che aprì la Guerra in Libano. Mi ero già cimentato prima con il contenuto, ma ogni volta che iniziavo a scrivere, l’odore della carne umana carbonizzata riaffiorava nelle mie narici e mi impediva di continuare. Sapevo che quell’odore evocava scene indistinte che avevo sepolto nel profondo della mia mente e dopo anni di trauma passivo e di violenti attacchi di rabbia, avevo imparato a identificare quel momento e a sfuggirvi in tempo. Nel 2007 sentivo che non avevo più nulla da perdere ed ero disposto a correre dei rischi. Avevo toccato il fondo e avevo deciso di raschiarlo. Mentre ricordavo, pur volendo fuggire dall’odore che come al solito si manifestava, misi a fuoco delle scene fino ad allora indistinte, e provai conforto ed euforia. Un po’ alla volta mi esercitai a ricordare. L’odore e le scene erano scomparse dalla mia memoria. Restava solo una vaga progressione di eventi difficili, spaventosi e particolarmente lontani. Dopo circa una settimana, mi resi conto di essere diventato emotivamente distaccato. Il ragazzo dei miei ricordi non ero più io. Provavo dolore per lui, ma era un dolore sordo, il dolore di uno sceneggiatore affezionato a un personaggio di cui sta scrivendo. L’esperienza di scrittura è stata come un elettroshock per me. Mi sono interamente dedicato al mio progetto e lui in cambio mi ha riabilitato.
I quattro soldati nel film, sembrano non pensare alla guerra di per sé, sembrano quasi persi in altri pensieri, come se fossero solo personaggi di un qualche sadico video game che agiscono su input esterni.
SM Durante l’addestramento, nelle esercitazioni dell’esercito, spari a botti ripieni di gasolio, il risultato è qualcosa simile ai fuochi d’artificio. Quindi la sensazione è proprio quella di giocare in un grandissimo parco di divertimenti, ma per adulti. Anche se io non sono assolutamente pratico di videogame, il sistema è quello.
Essendo riuscito a liberare la memoria da questi ricordi, riesce a vedere il suo film come uno spettatore esterno?
SM Questo è uno dei grandi dilemmi di ogni regista! Non riuscire a vedere il proprio lavoro come uno del pubblico. Ma sono sicuramente più distaccato nei confronti della figura di Shmulik.
Spesso si dice che il film non sia valido come terapia, ma abbiamo visto che si è rivelato efficace sia nel suo caso che in quello di Ari Folman in Walzer con Bashir. Ha mai discusso di questo film con Ari Folman?
SM Ogni tanto ci vediamo, ma non siamo amici nel vero senso del termine. Non abbiamo discusso dei nostri lavori perché si sono svolti contemporaneamente. Spesso mi viene chiesto da dove è arrivata l’idea per questo film. Ma in realtà l’idea era su come fare il film. Ma è stato un bisogno, un bisogno di scaricare, di esporre al mondo i fatti nudi e crudi, spogliati di tutto l’eroismo che solitamente avvolge le cronache di guerra. Ed è stato probabilmente anche un bisogno di perdonare me stesso. Non si tratta tanto di perdono quanto di un sollievo, perché la gente capisca la situazione, capisca che si tratta di un’analisi della mia anima che ho portato avanti per 25 anni, cercando di capire chi era quel ragazzino di vent’anni, di chi erano le dita di colui che ha premuto il grilletto.
Come mai ha aspettato così a lungo per questo film, visto che la guerra di cui tratta risale a 26 anni fa?
SM Semplicemente perché avevo bisogno di tempo per assimilare e interpretare l’accaduto come regista. Volevo non essere emotivamente troppo legato alla storia e per farlo avevo bisogno di prendere le distanze, di vedere le cose non solo come qualcuno che conosce ogni singola scena perchè c’è stato. I fatti del film, per esempio, alcuni sono realmente accaduti, altri no. La sensazione non è personale sul contesto documentaristico, ma più sul piano emotivo. Lo scopo degli avvenimenti è di fornire la base alla storia, la storia di quattro personaggi, dei quattro soldati all’interno del carro armato. Gli eventi sono i sintomi, non delle problematiche di per sé. La selezione degli eventi, l’ordine della loro comparsa, la compressione di tempi e intensità e soprattutto la combinazione di iperrealismo e surrealismo, inconscio e subconscio sono tutti un prodotto della mia profonda e dolorosa memoria, che ha attraversato un processo molto calcolato, per poter guidare il pubblico attraverso un viaggio di coscienza.
Da parte del regista era quindi come raccontare la storia di qualcun’altro, di un alter-ego. Come è stato essere nel ruolo dell’alter-ego del regista stesso?
Yoav Donat Shmulik, il personaggio che incarna l’alter-ego del regista, prova dolore, ma non nel modo in cui uno prova il proprio dolore, in un cero senso nel modo in cui sente il dolore di qualcun altro. Questo perché il personaggio di Shmulik è solo un ragazzino di vent’anni che si trova coinvolto in tutto questo, ma ora, assumendo il punto di vista di Shmulik da adulto, può riattraversare i fatti e metabolizzarll.
SM Naturalmente c’è una relazione fortissima tra il regista e il suo personaggio, ma non volevo esservi troppo attaccato. Il punto è che durante la guerra chiunque è guidato dai tuoi istiniti più basilari, l’istinto di sopravvivenza, come una droga che ti annebbia la mente. E questo è qualcosa che va aldilà della soggettività di Shmulik. In una questione di vita e di morte, di pericolo di vita, non aspettarti di reagire secondo leggi etico morali con cui sei cresciuto o in cui credi. Ma dall’altro lato non puoi fuggire dalle tue memorie personali, non puoi reprimere gli eventi finchè non li offuschi completamente, li puoi distorcere, anche se riesci a spiegarti e addirittura a capire che quel che hai fatto lo hai fatto perchè non avevi altra scelta, ma rimarrai comunque bloccato in queste emozioni. Questo principio di istintività, è l’unica cosa che rende la guerra “completa” e la sposta da un piano di pura ambizione politica a qualcosa che accade realmente. La guerra non può avere luogo senza un punto fondamentale, che è l’uccidere. Questo è l’elemento grezzo di cui è fatta la guerra: paradossalmente la guerra necessita di morti per non morire. Un soldato è una persona normale, che sa distinguere il bene dal male. Una persona normale non uccide, poichè non è normale uccidere. La guerra invece deve creare una formula che ti forzi a uccidere, e questa formula è drammaticamente semplice: prendi un soldato, lo metti in una situazione di pericolo estremo per la sua sopravvivenza, e lui ucciderà. Non ci sarà un codice di valori o morale tale da impedirgli di farlo: ucciderà. Ucciderà ma non lo dimenticherà, e la memoria di ciò lo perseguiterà per sempre.La cosa drammatica è che quando ti trovi di fronte a migliaia di persone, ognuna delle quali uccide o ha ucciso, la memoria personale e soggettiva diventa nazionale, creando una società sofferente. La guerra ti pone di fronte al terribile dilemma dello stato di sopravvivenza di fronte alla tua stessa morte. è una situazione in cui si crea conflitto tra gli istinti più basilari, quello di sopravvivenza, Quando sei in pericolo di vita o di morte, di fronte alla sopravvivenza anche la morale non è corretta, perché DEALING con la moralità in guerra è ridicolo. La guerra impone situazini in cui devi prendere delle decisioni, sia che tua stia badando a te stesso e proteggere la tua stessa vita o la tua morale. Se decidi di essere morale potresti morire, è molto semplice. In una situazione di guerra sei guidato dai tuoi istinti più naturali, la sopravvivenza, e la morale agisce proprio contro a questi istinti, quindi diventa impossibile seguirla! Non hai scelta, se segui la morale finisci per morire. La morale spesso agisce contro la propria esitenza.Lo spirito di sopravvivenza, è innato. Puoi vivere una vita intera senza renderti conto di averlo, ma poi quando viene fuori è più forte di qualsiasi altra cosa. Persino i sensii vengono modificati, perché senti il bisogno di mangiare ma non ne senti gusto. Hai bisogno di usare i sensi, ma solo per la funzione intrinseca che hanno, non c’è spazio per una percezione soggetiva. Quando ritorni dalla guerra, e questo istinto torna a nascondersi, cammini per strada e sai che nessuno ti sta dando la caccia, ti senti protetto. Più di una volta mi sono chiesto ha reso la guerra in Libano la nostra Vietnam, che cosa la rende diversa dalle altre guerre. Possiamo vedere che negli anni Sessanta, la guerra manteneva, se possiamo dire, le regole del gioco: a destra un esercito e a sinistra un altro, ogni esercito ha le sue uniformi e quindi è facile distinguerli l’uno dall’altro e attribuirli ad un loro quadro territoriale. Non sto dicendo che questo sia una situazione meno orribile, ma per lo meno questo schema ti da una base più chiara. In Libano queste “regole di guerra” non esistevano e la guerra aveva luogo all’interno dei quartieri, non si riusciva a distinguere tra civili e soldati. Era praticamente una guerriglia. La direzione generale era che fosse per la maggior parte una guerriglia, ma da una direzione generale passò ad esserlo a 360°: la sensazione è che si perse il controllo della cosa. I carriarmati non erano contemplati in una zona urbana: sono pensati per combattere contro altri carriarmati, non contro gli uomini.
Come si è preparato per il film? Come si è esercitato all’esperienza claustrofobica di essere sotto attacco all’interno di un carro armato assieme ad altri tre soldati?
SM Invece di tentare di spiegare le sensazioni che avrebbero dovuto provare, ho preferito lavorare sull’esperienza sensoriale, creando la condizione mentale adatta. Ho lasciato ognuno degli attori soli all’interno in un container buio piccolo e caldissimo. Invece di spiegare l’esperienza claustrofobica, ho preferito fargliela provare in prima persona. Dopo un po’ che erano rinchiusi, iniziavamo a battere sulle pareti di metallo. Hanno passato dei momenti spaventosi, simili ad un improvviso attacco aereo. Il tutto risultava molto simile all’esperienza in un carro armato.
YD è stato veramente frustrante. Era molto caldo, ti viene sonno, e quando pensi che ti addormenterai, arriva l’attacco. Sul set (all’interno del carro armato) eravamo in quattro ragazzi: in un luogo così piccolo e scomodo finisci col picchiare la testa da qualche parte, ti fai male anche fisicamente, oltre che stare male psicologicamente. Dopo qualche ora sei stanco e quindi a rimetterci è proprio il tuo corpo. Naturalmente lo stato emotivo è diverso dall’esperienza reale, ma a livello fisico, ti mette molto alla prova.
è mai più ritornato in quella zona della battaglia? In Libano?
SM Sì ed è stata un’esperienza molto difficile: Verso la fine del mio servizio militare. Vi hanno accompagnato nuovi soldati per mostrare loro il campo di battaglia. In quell’occasione sono stato hanno invitato, dicendomi che se avessi accettato avrei potuto terminare il servizio con due settimane di anticipo. Quando arrivai, l’ufficiale mi presentò ai giovani soldati, lodandomi di fronte a loro, raccontando che lì avevo combattuto la prima battaglia della guerra. Poi guardando in giro, scorsi sul terreno dei frammenti di ossa, mi sentii male e chiesi di andarmene subito. Così l’ufficiale si scusò, giustificando che avevo avuto una brutta esperienza e pregando di essere comprensivi nei miei confronti.
Quale crede che sarà il responso di questo film in Israele?
SM Abbiamo fatto un test-screening, in una zona a destra. Molti naturalmente sono usciti, ma la maggior parte è rimasta fino alla fine e oltre, a parlare con me per ore, sostenendo che era ora di affrontare l’argomento e di smetterla di nascondere la polvere sotto il tappeto. Al momento sto lavorando a due progetti, ho già due trame in mente, ma non ho ancora finito col tema guerra. C’è un altro episodio di quella guerra che mi sta a cuore, e riguarda un compagno del mio gruppo di nome Shaha, che è stato ucciso. Un ufficiale venne e comunicò la morte di Shaha ai suoi genitori. Naturalmente rimasero scioccati, ma dopo circa sei ore, qualcuno nell’esercito si accorse che c’era stato un errore, e che l’uomo che era stato ucciso, aveva lo stesso nome ma non era quel Shaha.Così comunicarono la notizia ai genitori e il padre dopo un secondo shock, pretese che suo figlio fosse assolutamente riportato a casa immediatamente senza alcuna discussione. Così l’esercito prese alla lettera la sua richiesta, rintracciarono il figlio in un plotone a Beirut e eseguirono l’ordine di riportarlo a Tel Aviv.Fu caricato sul primo mezzo possibile, ma lungo la strada, furono attaccati e il soldato morì. Credo che questo sia un altro valido esempio di quanto il caos prenda il sopravvento durante la guerra. Questo è uno dei progetti a cui stavo pensando. Ma dall’altro lato avevo anche in mente di dedicarmi a qualcos’altro, ad una black comedy magari, ma sento anche che dovrei fare qualcosa di diverso e più divertente.
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66.ma mostra le interviste 2009 Venezia, 02/12 settembre 2009
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