biennale teatro
40. Festival
Int. del Teatro i danzatori delle stelle
Teatro Goldoni,
martedì 24 febbraio |
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Il “problema” di questa Biennale Teatro 2009, se di problema poi effettivamente si tratta, è l’estrema discontinuità degli spettacoli, laddove le premesse teoriche potevano far pensare a una compattezza e a una sintonia cui ritenere accordati i vari lavori. Più semplicemente: il Mediterraneo è paradossalmente solo sfiorato, lambito nei lavori migliori ("Morso di Luna Nuova" e "Orlando" su tutti), perché tratti da presistenti testi di grandi autori, per quanto distantissimi nel tempo e nello spazio, che non si prefiggono in nessun modo una trattazione didascalica degli spunti contenuti nell’ idea, peraltro affascinante, del comune bacino di culture. Quando, invece, il nostro mare diventa invasivo, assistiamo ad esposizioni un po’ goffe, impacciate, meccanicamente elaborate e tradotte in forma scenica di trattatelli stesi con l’ unica intenzione di renderci edotti sulla storia di un certo popolo e sulle sue tribolazioni vissute anche “a causa” del Mediterraneo. "S’ARD" (e "Bladi Mon Pays") soffrono terribilmente di questa staticità enunciativa, di questo tono assai poco poetico e si chiudono a riccio in una forma chiusa che ha poco a che vedere con l’invenzione continua, facendo soffrire anche la recitazione degli attori, differentemente esperti e/o validi, le scenografie, le musiche. Al di là di un personalissimo interesse di chi scrive verso la storia della Sardegna, con tanto di rievocazioni di nomi di luoghi che si perdono nei meandri della memoria adolescenziale, "S’Ard" non ci ha offerto granché, finendo per ridursi a uno schema impacciato in cui la storia contemporanea (e privata) si alterna a flashback “storici” (condivisi, collettivi), che risultano, sovente, quasi imbarazzanti nel loro semplicistico e ingenuo squadernare dati-nomi-date-nozioni di una storia ricca e originalissima, altrimenti affrontabile con toni ben più chiaroscurali delle nette contrapposizioni che caratterizzano il testo e lo spettacolo. Un anziano giornalista punta il dito contro la dipendenza dell’isola dal Continente (Roma e Napoli in primis), attribuendo fallimenti che sono solo suoi a dinamiche ben più articolate e sinceramente non adatte al teatro - come il continuo riferimento alla politica romana, ai giochini di potere nella redazione di un giornale che fatalmente dipende dai voleri dei politici non residenti in Sardegna - contribuendo a confondere i piani di lettura e a rendere assai oscuro e discontinuo il racconto. Quello che proprio non funziona sono gli snodi narrativi, in cui il privato - già mesto di suo - lascia posto a siparietti con tanto di coro salmodiante, funzionali a richiamare sulla scena i Giudici e le Giudichesse e la Storia in tutta la sua potenza, salvo qui essere ridotta a bignami assai poco stimolante. Certo, è interessante comprendere l’evoluzione etimologica del nome della maggiore città isolana (Calari, poi Cagliè, quindi Cagliari) o stabilire con chiarezza il rapporto di eterna belligeranza con Roma, fin da prima di Costantino, o con gli episcopi in missione colonizzatrice e salutare con piacere la coriacea qualità dell’ indipendenza di questo popolo. Ma non sarebbe bastato un cenno vago, piuttosto che una lezioncina assai pedante? Un solo flashback significativo al posto di quelli folkloristici cui assistiamo? Dispiace dirlo, ma si rimane agganciati allo spettacolo solo per le recenti vicende elettorali (il fantasma di Soru aleggia da qualche parte, anche in riferimento al suo coinvolgimento nella proprietà del quotidiano piddino “L’Unità”, cui, volendo, si può riferire la traccia principale del racconto), i suddetti chiarimenti etimologici e alcuni momenti di buona musica etnica. |
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biennale teatro
40. Festival
Int. del Teatro i danzatori delle stelle Teatro Goldoni, martedì 24 febbraio
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