Z32

di Avi Mograb

 Israele/Francia, 81'

 

VENEZIA 65. ORIZZONTI

 

di Marco GROSOLI

 

28/30

 

Un giovane ex-soldato israeliano si racconta davanti alla cinepresa di Avi Mograbi. Racconta di quando lui e altri commilitoni compirono una rappresaglia, di fatto insensata, ai danni due poliziotti palestinesi. Ma più di questo, racconta di quanto lì per lì fu eccitante farlo, e di quanto adesso, invece, la vede diversamente, sinceramente pentito.

Avi Mograbi (nonostante la moglie sia contraria all'impresa di intervistare il giovane nel loro salotto), lo filma accontentando la sua richiesta di oscurargli il volto (teme evidentemente vendette da parte dei famigliari delle sue vittime), e interpola lintervista in modo singolare e significativo. Da una parte con discussioni, dolci e aspre al tempo stesso, tra l'ex-soldato e la sua ragazza (che fa fatica a capire le sue ragioni, e il suo punto di vista sulla vicenda). Dall'altra con intermezzi musical in cui Mograbi stesso (nel suo salotto, non meno campo di battaglia del luogo del passato scontro a fuoco, poi puntualmente visitato e sovrimpresso appunto con le immagini del salotto di Mograbi) spiega cantando le ragioni di una scelta problematica come quella di dare voce a chi è così evidentemente dalla parte del torto.
Mograbi coglie in pieno la posta etica in gioco. Rifiutare il politicamente corretto, e concedere a chi si sporca le mani la seconda chance del perdono.
Perciò, solidarizza con l'ex-soldato non semplicemente illustrandone le ragioni da fuori (che sarebbe un altro modo per ghettizzarlo), ma sporcandosi le mani anche lui, ovvero scegliendo un punto di vista sugli eventi (l'orchestrina cantante nel suo salotto) clamorosamente inadeguato e gratuito rispetto ai tragici eventi di cui si racconta. Al godimento osceno sul campo di battaglia, confessato con coraggio dal giovane, sarebbe troppo facile rispondere con una condanna dall'esterno: l'unica risposta onesta è un'analoga oscenità, rappresentata in questo caso dal godimento che è il musical, abbracciato da Mograbi con tutto l'imbarazzo del caso.
Scontata l'irrecuperabilità ovvia, fatale e metafisica dell'evento in questione, attraverso il sopralluogo di regista e intervistato sullo spiazzo ora calmo e vuoto in cui ci fu la mattanza, è ancora più chiaro di quanto non dovrebbe già essere che l'unica solidarietà possibile è quella tra colpevoli. E quindi, l'unica cosa da rifuggire come la peste è la fuga dalle proprie responsabilità, senza che però questo significhi esibire muscolarmente la propria forza di assumerle. Perciò Mograbi imbastisce una complessa dialettica sulla nebulosa grigia di pixel digitali con cui oscura per proteggerlo il volto del suo interlocutore. Dapprima, vediamo solo un alone grigio sulla sua faccia, e niente sotto. Dopo un po', vediamo l'alone grigio con ritagliati buchi da cui traspaiono occhi e bocca. E poi, vediamo la sua faccia apparentemente scoperta, trasparente: la sua. E invece no. Portandosi la mano alla bocca per fumare, ci rivela che sul suo volto cè un'altra maschera digitale color carne , e quindi ingannevole. Troppo comodo l'anonimato, e troppo impossibile rivelare il proprio vero volto, soprattutto in casi come questi in cui l'intimità del soggetto in questione (cioè il suo vero volto) è evidentemente e completamente lacerata (le lunghe discussioni con la ragazza stanno proprio a dirci questo). Urge una via di mezzo che incarni tutta la problematicità della questione: e Mograbi, che è troppo intelligente per non sapere che un documentario è innanzitutto questione di effetti speciali, la trova nell'intervento digitale. Con cui, ancora una volta, si sporca le mani, perché solo sporcandosi le mani è possibile una qualche forma di solidarietà.
 

29:08:2008

Z32

di Avi Mograb

VENEZIA 65. ORIZZONTI