UN LAC

di Philippe Grandrieux

Francia, 90'

 

VENEZIA 65. ORIZZONTI

 

di Marco GROSOLI

 

23/30

 

Una famiglia di spaccalegna in riva al lago, “a contatto con la natura”. Un attaccamento semi-incestuoso tra fratelli, uno straniero che arriva… Un abbozzo di trama, una regia epilettica (come del resto il protagonista) ma, ammettiamolo, di sopraffina padronanza tecnica (anche se ai confini della regia da spot). La macchina da presa si muove e traballa di continuo e convulsamente, abusa di fuori fuoco, si avvicina in maniera pressoché cutanea ai personaggi (anziché epidermica come, poniamo, Claire Denis) che quasi mai parlano, avvinghiandoli e captandone ogni vibrazione sensoriale, ogni respiro, ogni rumore. L’ottica che Grandrieux ci dà sugli eventi è spesso lacerata, resa parziale dall’essere gettati nel qui-ed-ora di uno spazio naturale, in balia degli elementi, nell’indecifrabilità dei sensi, degli stimoli percettivi. La vista naufraga nel tatto, nell’udito, nell’olfatto, manca poco e si arriva persino al gusto.
Il risultato vorrebbe trascinare nel “pastone primigenio” della sensazione senza concetto, fremente e disorientata, ma non è che freddo e respingente. “Un lac” tutto fa tranne che seguire i propri personaggi nella constatazione del loro destino edipico, del necessario distacco dall’incestuoso cordone ombelicale raggiunto nell’ultima scena. Qui nel mare magnum dell’uterina, pre-edipica sensorialità priva di inibizioni (ammesso poi che una cosa del genere esista o sia mai esistita) ci si sguazza bellamente. Il racconto, o quelle poche schegge a cui è ridotto, è solo l’appiglio minimo per poter sguazzarci dentro il più spensieratamente possibile. Agli occhi di chi scrive, in tutta franchezza, questa certosina, calcolatissima, peritissima tecnicamente spensieratezza dei sensi, incomparabile dall’abbandono di un (poniamo) Brakhage, non ha alcuna attrattiva.

 

29:08:2008

UN LAC

di Philippe Grandrieux

VENEZIA 65. ORIZZONTI