PUCCINI E LA FANCIULLA

di Paolo Benvenuti

 Italia, 84'

 

VENEZIA 65. FUORI CONCORSO

 

di Marco GROSOLI

 

30/30

 

Mentre Puccini componeva "La fanciulla del West", a Torre del Lago, a quanto pare non disdegnava compagnie femminile di varia specie (venendo fra l'altro tradito a sua volta), oltre che a incursioni "sanguigne" nel mondo dei bassifondi rurali. Tali licenze amorose, in realtà, anche visto il contesto storico (siamo nei primi anni del novecento) non era troppo manifestabile allo scoperto. La povera e innocente serva Doria ne fa le spese, lungo contorte spire evenemenziali che non si possono non definire melodrammatiche.

Perché, comunque lo si voglia prendere, questo è un melodramma, e anche un gran melodramma. Non solo Puccini ne è maestro (del melodramma) ma se lo ritrova tutt'intorno a lui, in un ambiente visivo cui Puccini concede una straordinaria, mozzafiato cura architettonico-pittorica. Del melodramma abbiamo davvero pressoché tutti i crismi. Abbiamo la fanciulla pura vittima del lussurioso di turno, abbiamo la vecchia strega viziosa e complottista, abbiamo i picchi drammatici molteplici anziché livellati unitariamente in direzione del crinale risoluzione/catarsi come nella tragedia, abbiamo il ruolo simbolico del paesaggio e degli spazi, abbiamo il conflitto irresolubile tra le classi socioeconomiche, abbiamo l'impossibilità fatale di esprimere conflitti relegati inesorabilmente al rimosso, al non detto. Quanto al non detto, questo è letterale: i dialoghi sono pressoché inesistenti o non udibili (perché coperti dagli stantuffi di una fabbrica o da una finestra o sono troppo lontani o altro); al loro posto, presenza massiccia (naturalmente) della musica. Non i dialoghi, o le telefonate di sceneggiatura si fanno carico della questione,
bensì il lato figurativo. Meglio: la voglia irrefrenabile di Benvenuti di fare quadri e palazzi con la macchina da presa, rende un insostituibile servizio a questa storia di incomprensioni e ambiguità, materializzandole attraverso una sensibile tensione tra la sua voglia di "fare quadro", di chiudere un intero mondo di senso nella composizione fotografica dell'inquadratura, e la necessità di ricucire con fatica (per esempio con arditi movimenti di macchina o panoramiche) questi singoli "micro-mondi" in una continuità di spazi riconoscibile come filmica. Al di là dunque dei valori immediatamente simbolici di cui si carica lo spazio (Puccini dall'alto del suo lussuoso maniero che guarda più in là giù in basso la capanna dei plebei), è proprio questa tensione irrisolta stasi-movimento, discontinuità-continuità, a dare spessore autenticamente melodrammatico a questa storiaccia di letto cui un grande uomo tenta goffamente (e vanamente) di rimediare. E a restituire carne e dolore a quello che (sulla carta) rischiava di essere "solo" un esercizio impeccabile di autosufficiente splendore visivo - nonché di puntigliosità storico-filologica magari sterile. Perché è proprio il Puccini storico (peraltro illustrato, lui come il suo ambiente, con eccellente precisione), come dicevamo prima, a non essere più "solo" storico, a sottrarsi dalla specificità del suo tempo e dei suoi spazi per essere inghiottito da quell'universo, che si illudeva di dominare, chiamato Melodramma...
 

01:09:2008

PUCCINI E LA FANCIULLA

di Paolo Benvenuti

VENEZIA 65. FUORI CONCORSO