Vegas: Based on a True Story

di Amir Naderi

 Stati Uniti, 102'

 

VENEZIA 65. IN CONCORSO

 

di Marco GROSOLI

 

30/e lode

 

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Una famiglia che vive ai margini perifierici e desertici di Las Vegas, lui dipendente dal gioco, lei riuscita efficacemente a smettere attaccandosi per sostituzione alla cura affettuosa dell'orticello coi pomodori. Un giorno, ricevono la visita di un militare che vuole comprargli la povera ma onesta casupola prefabbricata (un tempo, dice, appartenuta a sua madre) a un prezzo a dir poco esorbitante. La madre, radicata al territorio si oppone. Allora il militare si rivela per quel che è: un avventuriero che cerca sotto casa sua un tesoro nascosto, che secondo fonti certe starebbe proprio lì. La madre continua a opporsi. Poi però è lei stessa a trovare nel giardino un indizio che potrebbe, forse, dare ragione allo sconosciuto. È l'inizio della lucidissima follia che trascinerà la famiglia intera in una quieta e quadrata catastrofe.
Il precedentemente intoccabile giardino, insieme agli ancora più intoccabili fiorellini, viene a poco a poco, con rigida gradualità, letteralmente sventrato dall'avida furia dei coniugi decisi a tutti i costi a trovare il malloppo. La rovina della famigliola è assoluta, implacabile. E non si ferma nemmeno quando gli viene detto che sono vittima di un reality in cui la gente scommette su fino a che punto altra gente (ignara) è disposta ad arrivare per soldi. Loro continuano, si separano, continuano. Una se ne va, l'altro rimane nella casupola ormai fatiscente. E il figlioletto, timida speranza tra questi due fuochi, se ne sta perfettamente sulla soglia. Anche e soprattutto alla fine, oscilla tra la casa (?) e l'"autoesilio" da un'amichetta coetanea presso la quale salva e conserva alcuni dei pochi oggetti scampati alla devastazione.

Un nomade autentico, insomma. Né sedentario, né perennemente in viaggio, ma un po' l'uno e un po' l'altro. Incollocabile, come incollocabile è sempre stato l'immenso Amir Naderi. Che infatti firma con questo VEGAS la sintesi dei suoi due periodi in cui la sua filmografia (sempre inconfondibilmente segnata dall'ossessione) è divisa: l'uno iraniano (i suoi esordi) dominato dalla pulizia delle traiettorie nel deserto, l'altro americano (dagli anni 90 in poi) dominato dagli incroci infernali dei mille vettori che attraversano la metropoli. Qui abbiamo un'isola di pace, un "fortino" quasi, in un'interzona che non è né la Las Vegas delle mille luci (in cui non si entra mai, ma viene solo rimirata da lontano) né il deserto selvaggio. E quest'isola di pace viene sventrata attimo dopo attimo, in maniera tanto tranquilla e distaccata quanto implacabile ed inesorabile, dall'ossessione.

Un'ossessione (il denaro) che con estrema leggibilità e immediatezza permette al discorso di allargarsi a una fulminante parabola sull'America intera: un'utopia schiettamente territoriale (il fazzoletto di terra su cui crescere una famiglia, fortino western prima, villetta suburbana poi) che viene polverizzata precisamente da ciò che ne ha reso possibile l'insediamento, cioè il capitalismo, implacabile macchina che fagocita tutto e tutti nel vortice, autoalimentantesi e impossibile da soddisfare stabilmente, del circolo produzione/consumo. Fino appunto (la beffa del reality) al nostro postcapitalismo, con la speculazione virtuale (borsistica) su un capitale ormai completamente immateriale e autoreferenziale (nel film, le scommesse su fino a che punto la gente arriva per scommessa).
Il miracolo di Naderi è quello di far passare tutto ciò nel modo più cristallino e geometrico possibile. La sua regia afferra un rigore a dir poco matematico, una scienza esatta delle coordinate dello spazio dentro cui avviene, istante dopo istante, la catastrofe. Con distaccata impassibilità, con impressionante essenzialità e precisione formale, Naderi traccia lucidissimamente la china rovinosa intrapresa dai protagonisti. La sua messa in scena sa perfettamente che tracciare un territorio e innescare un'entropia senza fine non sono valori opposti (laddove i coniugi protagonisti si accapigliavano proprio su questa falsa opposizione: conservare il giardino o scavarlo per trovare i soldi): ogni volta che Naderi muove la macchina per perimetrare un pezzo di spazio (da collegare virtualmente con quelli che precedono e seguono) lo fa proprio nell'alveo tellurico dell'entropia, della catastrofe inesorabile che segue passo passo. Insomma: la forma del film è la cristallizzazione "utopica" di quella contraddizione che scuote e sconvolge i personaggi del film. Ossessivo non meno dei suoi personaggi (che si guarda bene dal deridere), Naderi rilancia il moribondo "sogno americano" oltre la sua fine. Una fine che non finisce mai di finire e dunque di rinnovarsi perennemente, come le campanelle della casa dei personaggi si sentono nel film anche molto dopo che la casa stessa è stata completamente divelta.
È chiaro: solo un esule può raccontare davvero l'America. Ma solo l'esule Naderi può inghiottirla tutta, l'America, facendone una capillare questione di spazio.
 

04:09:2008

Vegas: Based on a True Story

di Amir Naderi

VENEZIA 65. IN CONCORSO