INJU, LA BETE DANS L’OMBRE

di Barbet Schroeder

 Francia/Giappone, 105'

 

VENEZIA 65. LEONE SPECIALE

 

di Marco GROSOLI

 

26/30

 

Barbet Schroeder è innanzitutto un grandissimo uomo di cinema. Uno che ha fatto respirare e vivere la Nouvelle Vague (Eric Rohmer per primo, di cui è stato produttore storico) anche dopo il suo boom, cioè quando la partita diventava impegnativa. Ecco, appunto: quando si tratta di imprese spericolate e immodeste (come realizzare l’immenso La vergine dei sicari) Schroeder è un grande. Quando si schernisce e fa il modesto, come in molti suoi film girati in America, è modesto davvero.
Anche il suo Alex Fayard è un finto modesto. È un giallista bestseller in Francia, che però scopiazza e edulcora un suo collega giapponese, Shundei Oe, che nessuno sa chi è o come sia fatto, a parte un suo autoritratto che ha voluto porre in una sua quarta di copertina. Fayard, inevitabilmente, va in Giappone per tentare di conoscere il suo mentore letterario. Che fin da subito sembra essere molto potente, molto pericoloso e molto geloso del suo anonimato. Una donna, ovviamente, ci si mette di mezzo.
In Giappone ci va anche Schroeder, spesso peraltro transfuga (e non solo in America) sin dall’inizio della sua carriera quarant’anni fa. Porta per mano lo spettatore depurando e spazzolando la trama e i suoi nodi a suon di flashback e spiegazioni. Fino a, prevedibilmente, spiazzarlo completamente nel finale. Quando, in una maniera che ovviamente non si può rivelare, polverizza le illusioni di Fayard di capirci qualcosa, palesandolo al centro di una subdola messinscena (dello stesso Oe, ovviamente), manipolato da un manipolatore occulto che, suprema ironia, è sempre stato lì accanto a lui, sotto ai suoi occhi.
La tutto sommato facile ambiguità in cui ci spinge Schroeder è quella di srotolarci davanti il più ovvio dei gialli, per poi cancellare la sua stessa ovvietà, la nostra (e sua) presunzione di conoscere anticipatamente e accademicamente le regole del gioco). Per questo il film si apre con il finale di una pellicola grandguignol nipponica (un adattamento tratto da Oe, naturalmente) che Fayard mostra agli studenti di un’aula universitaria, con (suo) polpettone critico al seguito. Possiamo pure (noi come Fayard come Schroeder) illuderci di identificare l’autore e identificare il lettore, di identificare un genere e le sue caratteristiche – insomma di dare un nome e una proprietà alle immagini troppo naif che scorrono su uno schermo. Il problema è che, come Fayard, ci immaginiamo sempre troppo tardi di essere dentro quelle immagini, e smarriti nel loro complotto invisibile. Nell’ultima inquadratura, perciò, dopo la scomparsa sia dell’autore che del lettore (e soprattutto di Fayard, lettore di Oe e autore da lui “derivato”), rimane solo il libro, sul tavolo, chiuso nel suo sinistro anonimato.

 

29:08:2008

INJU, LA BETE DANS L’OMBRE

di Barbet Schroeder

VENEZIA 65. IN CONCORSO