Con Flight of the arrow. Just having in sight
and...far afar, Petraskevics propone una scrittura musicale introversa e
minuziosa, attentissima nelle indicazioni dinamiche e gestuali, che dovranno
essere interpretate dando prova di notevoli capacità tecniche ed espressive.
Le prime note si librano nella sala con una delicatezza ultraterrena che ne
trasforma radicalmente l’atmosfera facendo specchiare il pubblico in uno
spazio sinceramente intimo. Un canto sopraffino e tagliente sembra volersi
insinuare in ogni possibile moto dell’animo, coglierne ogni possibile
sfumatura, passando da un pianissimo appena percepibile ad un forte
penetrante, avido di scavare, di farsi strada.
La stessa sensibilità per la gradazione sonora è evidente con Il suono e
il suo doppio, di Claudio Ambrosini che richiede all’esecutore prodezze
virtuosistiche dal sapore tutt’altro che d’altri tempi: ricordano i ritmi
frenetici del quotidiano, ma anche gli scorci poetici che è possibile
intravedere in questa realtà, quando ci si ferma, si affina lo sguardo, si
tendono le orecchie.
Con Serenata per un satellite, opera di Bruno Maderna del 1969 che
Ambrosini riadatta nel 1985 per cinque strumenti, la scrittura musicale si
trasforma in un arabesco di linee sonore, timbriche e dinamiche che si
intrecciano, si inseguono, si allontanano e si fondono incredibilmente tra
loro. Marimba, clarinetto, oboe, flauto e violino sembrano ricalcare i suoni
l’uno dell’altro, farsi da eco a vicenda, insinuarsi in contrappunto sul
motivo dell’altro per poi trasformarsi in una cosa sola. La sonorità
d’insieme modula come se si trattasse di uno strumento solo. Si ha
l’impressione di un’opera continuamente in divenire: che si pare, si chiude
e ritorna ogni volta con una sfumatura nuova.
Il secondo tempo del concerto è interamente dedicato a Vortex Temporum:
brano per pianoforte e cinque strumenti di Gerard Grisey che si sviluppa
intorno alla variazione temporale di una formula di arpeggio estrapolata da
Daphnis et Chloé di Ravel.
Differenti flussi temporali sembrano attorcigliarsi tra loro assumendo un
andamento vorticoso, fatto di rallentandi e accelerandi, che arriva a
dilatare e comprimere la struttura stessa dell’opera. A questo mischiarsi di
piani temporali corrisponde una corrispondenza di livelli sonori, di
sfumature dinamiche che si rincorrono e si ricalcano tra loro. Al pianoforte
Aldo Orvieto vola da una parte all’altra della tastiera, si alza in piedi,
blocca con una mano le corde del pianoforte che corrispondono ai tasti che
sta suonando con l’altra: incredibile, strepitoso.
Un brano variegato e complesso, che non manca di compattezza, né di
coerenza. |