la biennale di venezia 2008
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“Soyons réalistes, demandons l’impossible!”
Seguendo Slavoj Zizek, il 1968 “è” ancora qua, nascosto negli spazi interstiziali delle coscienze assopite dei seguaci di un “liberismo edonista e permissivo”, passepartout più comportamentale che ideologico per second o third lives dove siamo solo “vuoti e astratti soggetti cartesiani” (*) che credono di comunicare, ma si scambiano dati. Questo “2068” in cui viviamo si riconosce in antagonismi concentrati su pochi temi (catastrofi ecologiche, biogenetica, nuovi apartheid), che vedremo raccontati alla Mostra. Nell’epoca di “Fox News”, cioè di una realtà catodica portata al livello di pura fiction, è quindi il cinema che si fa carico di raccontare la verità, mentre l’immenso territorio internettiano è allo stesso tempo un pulviscolo di democrazia e contraffazioni wikipediane. Eppure, nonostante il ruolo di rinnovata potenza espressiva, la downloadabilità dei film indebolisce il cinema come evento collettivo e mezzo di comunicazione di massa (non di mero specchio riflettente quegli astratti soggetti cartesiani in cerca di un “pieno”, vedi gioventù bullizzata a spasso tra Youtube e Ponte Milvio).
(*) Da “Chiediamo l’impossibile”, in “Internazionale” n. 745, 23-29 maggio 2008
Film, non cinema
Seguendo Goffredo Fofi (**), possiamo allora confermare: niente più cinema, solo tanti film. Non “è un caso che esso continui a essere un mezzo di comunicazione davvero di massa soltanto in India e in altri paesi con una stragrande maggioranza della popolazione” - Bangalore permettendo - “poverissima quando non analfabeta”. Per ridurre la questione ai minimi termini, diremo che l’onanismo derivante dal download compulsivo e acritico rinchiude lo spettatore in un’immensa camera obscura dove il dialogos col vicino di posto è sostituito da istantanee e asettiche archiviazioni. La fine del dia/logos la troviamo ovunque, anche nella second life narrata in GOMORRA, dove l’insostenibilità visiva di un’umanità, appunto, silente (dov’è finita la chiacchiera eduardiana? sul cellulare, forse), che grugnisce esigenze fisiologiche prima di morire - meglio: prima di “essere terminata”, come una funzione qualsiasi - lascia campo al (non) documentarismo spostato sul paesaggio-personaggio, sul territorio, sui nuovi bianchi deserti campani contaminati.
GOMORRA, di portata epocale, è testo esemplare sul silenzio delle nuove generazioni, che archiviano tutto, idee/parole/sensazioni, come dati obsoleti sostituiti da un’istintualità che intreccia “fisiologico” e “tecnologico”, in un singulto istantaneo che produce momentanea soddisfazione o morte. Come detto, muore il dialogo, in termini generali ed estendibili all’intera cultura occidentale, ma qui (GOMORRA) muore il logos. Se non può più essere il cinema condiviso a smuovere le coscienze, singoli film lo possono ancora fare. Piccole e circoscritte rivoluzioni estetiche (INLAND EMPIRE), etiche (GOMORRA) o “miste” (REDACTED).
(**) Da “Tanti film, niente più cinema”, dalla rivista “Il Ponte”, primavera 2008
Non-downloadable art
Ci sono arti favorite dalla non-downloadabilità, dalla necessità di muovere corpi verso luoghi: la danza, il teatro, la musica sub specie di concerto. Le aree della creatività non sviluppantesi in partenza in funzione di una qualche digitalizzazione scaricabile,sembrano porsi come paradossalmente più aperte verso nuove avanguardie e sperimentazioni. Kinematrix sta tentando in questi giorni di portare al Lido il “Live Cinema” di Peter Greenaway, che scompone e ricompone diversamente a ogni performance il suo TULSE LUPER CASE, interagendo, realmente, con la fisicità di spettatori seduti o in movimento. Vj anomalo, il regista di ZED AND TWO NAUGHTS è da sempre vicino alle arti visive, come d’altronde il baconiano Lynch. Come Matthew Barney è artista visivo che non può prescindere dal cinema. Altri Vj-Dj, come Paul D. Miller/Dj Spooky (che sarà alla Biennale Cinema 2009 con il remix di ONE PLUS ONE di J.L.Godard, su progetto di Kinematrix) producono remix live di opere come BIRTH OF A NATION o i KINOPRAVDA di Dziga Vertov. Nulla di ciò lo scaricherete mai dalla Rete!
Anche la Biennale Danza appena conclusa, con Ismael Ivo in veste di alter-ego mulleriano, ha confermato, se ce ne fosse ancora bisogno, sia lo straordinario desiderio di fisicità performante e di “atti unici”, sia le infinite trasversalità tra le arti che possono far di nuovo scorrere il sangue nelle vene del cinema, se solo questo si predisponesse a riceverlo.
Marco Muller Reloaded
Abbiamo parlato di downloadabilità, scaricabilità: questo 2008 con un tocco di ’68 zizekian-lacaniano ha, intanto, “ricaricato” (reloaded) Marco Muller, evento inevitabile e necessario e già entrato di diritto nella storia di questa Fondazione.
In totale assenza di primavere rosse, declinate semmai in ecatombi elettorali figlie di quell’istintualità (fisio)logica cui s’accennava per GOMORRA e di un inguardabile pressing mediatico (lo smaltimento dei rifiuti, le morti sul lavoro: cose che 3 mesi fa erano colpa dell’altra amministrazione e finivano in prima pagina, oggi sono relegate altrove in quanto neutre e ineluttabili), in questo clima abbastanza apocalittico, sapere di avere ancora quattro anni mulleriani è un trionfo per chi ama veramente le arti e le libertà (perlomeno quelle creative!).
Muller Reloaded è chiaramente più di uno slogan: è la speranza che la ripetibilità del processo vada avanti ad libitum, come una garanzia, un trademark di sicurezza produttiva e propositiva come mai nella storia della Biennale Cinema.
In silenzio, oltretutto, il Direttore ha sconfitto (meglio: annientato) chi ora è nell’ombra quasi totale.
“Festa di Roma” e “Torino Film Festival” vengono confermati nel ruolo di contenitori; Venezia rimane pregna di contenuti. E meno male che il ragazzo Rondi (…) ha avuto la saggezza di riconoscerlo. Fine della storia e della competizione, se mai ce n’è stata una.
Kinematrix Reloaded
Anche Kinematrix viene ricaricata, con sempre nuovi inviati, che quest’anno seguiranno un atteggiamento o una “linea editoriale” dettati dalle premesse “teoriche” appena esposte. Il nostro team seguirà tutto, ma questa volta non prediligendo criteri geografici o tematici. Andremo, invece, alla ricerca di quei “film singoli” di cui parla Fofi, di quelle opere che, da sole, costituiscono piccole rivoluzioni etico-estetiche e, allo stesso tempo, indagheremo il cinema “d’arte” - che non significa “arty” - come vogliono definizione e statuto della Mostra (“d’arte cinematografica…”). Questo non significa che non crediamo più a cinematografie nazionali dotate di una coerenza interna e di una capacità di agire sinergicamente (un po’ un’utopia da qualche decennio) o che eviteremo i documentari: tutt’altro! Seppur fraintendendo, più d’uno ha parlato, appunto, di documentario per GOMORRA, ma quel “documentare” nell’incipit lunar-fantascientifico la prossima fine di corpi solarizzati, mera carne bruciata, è di per sè video-arte. Quell’incredibile blu del centro estetico è “bluklein”, un color cielo alla Yves Klein adattato all’oggi. Le panoramiche sulle cave-discariche, poi, a noi sembrano Land-Art, Richard Serra fatto di terra invece che di metallo.
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la biennale di venezia 2008
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