la biennale di venezia 2008
beauty- biennale danza

BONACHELA DANCE COMPANY

Venezia, 15 giugno

 

di Caterina ROSSATO

Collegamenti rapidi:

 

- Bonachela Dance Company

SQUARE MAP OF Q4

Rafael Bonachela

Nero. Proiezioni pixelate frantumano i corpi dei danzatori immobili, appena comparsi sulla scena spoglia.


Tre uomini e tre donne: indossano costumi bianchi aderenti, dal taglio asimmetrico, essenziale.
Nessuna scenografia: solo il disegno di uno schema bianco per terra, che individua delle zone evocative, legate ai ricordi, alla storia e all’interpretazione dei danzatori; una sorta di mappa, come suggerisce il titolo dello spettacolo, ma di cui non abbiamo la legenda, di cui non possiamo condividere le indicazioni.

Ai lati del palco sono disposte sei sagome rettangolari di colore rosso, rispettivamente tre per ogni lato, che contengono i proiettori di immagini e di luce: segno che le strutture necessarie all’ interazione con le tecnologie non sentono alcun bisogno di essere celate, anzi, vengono poste sullo stesso piano dei danzatori.

Il silenzio lascia il posto ai suoni minimali della musica digitale, che a loro volta vengono sostituiti da rumori graffianti, interrotti dal suono sinuoso di un violino, da una composizione dissonante per pianoforte, dal canto degli uccelli, da una voce lirica che penetra dove la luce, la scena e lo sguardo non hanno accesso.

C’è un ritmo dei fenomeni di luce, un ritmo dei movimenti del corpo, un ritmo sonoro: c’è l’eco di un’armonia lontana ma mai assente, sempre nuova, che non si ripete, non torna mai uguale. Nessuna cadenza regolare, nessun battere ritmico scontato ma non per questo privo di logica: lo dimostrano le lampadine disposte sopra la scena come se fossero la tastiera di uno strumento, che si illuminano seguendo uno schema ben preciso. Ciò che si dispiega dinnanzi ai nostri occhi è qualcosa che segue un ritmo diverso dal nostro, che si svolge in una temporalità parallela. In questa commistione di luce, suono, movimento e coreografia dominano leggi intime, legate a qualcosa che possiamo condividere solo in apparenza, ma che non ci è dato comprendere fino in fondo: è un viaggio nella dimensione personale del ricordo, dell’infanzia, del segreto.

I corpi si fanno strada attraverso la luce, la luce diventa un fascio rosso in mezzo alla scena, i movimenti diventano concitati, veloci, convulsi, e subito la luce torna bianca, i movimenti lenti, i danzatori si schiacciano sul pavimento, o forse sono proprio le luci che, disegnando delle griglie sulla scena, li spingono verso il basso. Arriva il suono forte del temporale, e poi il violino, e poi la voce lirica, suadente, di donna, che accompagna un passo a due: i corpi all’inizio non si toccano, ma è la musica che dice, che parla prima del contatto che deve venire.

Gli stessi corpi sembrano perdere matericità venendo utilizzati come schermi mobili per la proiezione di immagini scomposte e frammentate: compaiono volti di donne e di uomini sulla pelle in movimento, compaiono fotografie in bianco e nero sui corpi che stanno agendo in diretta. Passato e presente si mescolano sui soggetti con una raffinatezza che non ha bisogno di indizi e nemmeno di precisazioni.

è un continuo domandarsi cosa viene prima: la musica, la coreografia o le luci? Sono le luci che inseguono i corpi in diretta o sono i corpi che ricorrono le luci, che da queste si fanno appiattire al suolo? Sono i movimenti lenti del corpo che danno il “la” all’entrata del violino o è la musica penetrante che rende i movimenti più languidi?
Sono i corpi che misurano lo spazio? O è proprio quest’ultimo che modella i corpi, che suggerisce loro le direzioni, che li obbliga ad un percorso?
Cosa vedono gli occhi dei ballerini dal corpo frantumato in immagini, pixel e luci che li trapassano come laser? E cosa si vede dalla platea?
Quale ritmo crea questa commistione di eventi? E quale ritmo sentono nella loro testa i danzatori?

In mezzo a tante domande lo spettatore si trova dapprima trascinato in sequenze di tensione progressiva, con un ritmo sincopato sul quale sembra impossibile sintonizzarsi, e successivamente invitato alla vista di arabeschi di passi e di prese dalla delicatezza sublime.

Ad un tratto lo spettacolo sembra essere terminato: i danzatori escono, si alzano le luci in sala, scende il silenzio, solo le lampadine sopra il palco continuano la loro musica silenziosa, fatta di luci pulsanti, dalla combinazione puntuale ma segreta. Pochi minuti per riprendere fiato e le luci calano di nuovo, ci si trova immersi nel suono dell’acqua, poi nel dialogo con il violoncello, nel grido delle linee e delle traiettorie disegnate dalle luci, si crea una sovrapposizione di livelli che si intrecciano tra loro con una precisione minuziosamente calcolata: inizia il passo a due maschile.

Non si ha l’impressione che sia ricominciato qualcosa di nuovo, ma piuttosto che la linea temporale si stia riavvolgendo su se stessa seguendo la scia del ricordo, della memoria, di qualcosa che ancora non è stato detto, non si è riusciti ad esprimere, o non si conosce: che appartiene ad un disegno esclusivamente intimo.

Si ripresenta qualcosa di già visto, viene ripetuto un frammento, come se fosse un ricordo involontario, che riaffiora dall’inconscio. E di nuovo i corpi vengono performati dalla luce, trapassati dal suono, il volume si fa alto, quasi assordante e all’improvviso torna il violoncello, le luci tagliano la scena come lame: ogni passaggio è calcolato con una precisione impeccabile.

Tutto è essenziale: la ricchezza dello spettacolo è racchiusa nell’eleganza attenta e raffinata con cui tutti i frammenti di suono, luce, colore e coreografia vengono intrecciati e contrapposti tra loro in un unico fluire inarrestabile.

Tornano i pixel dell’inizio, i due corpi rimasti sulla scena si allontanano.

Un ultimo suono. Nero.

 

la biennale di venezia 2008
beauty- biennale danza

BONACHELA DANCE COMPANY

Venezia, 15 giugno