64.ma mostra internazionale d'arte cinematografica |
|
INTERVISTA A OLIVIER LOUSTAU, BOURAOUIA MARZOUK e HENRI RODRIGUEZ protagonisti di "LA GRAINE ET LE MULET" di Abdellatif Kéchiche
|
![]() |
Avevamo inserito il film di Abdellatif Kéchiche, sin da luglio, tra i probabilissimi vincitori di uno dei premi principali, insieme al caleidoscopico tradimento testuale di I’M NOT THERE, che però ha parzialmente deluso le enormi, insostenibili aspettative, e REDACTED. Siamo stati, evidentemente, buoni profeti. Il dinamico stile rap di Kechiche, ormai un’icona per la generazione “X” degli emigrati maghrebini, ha conquistato critica e pubblico con la stessa semplicità dello splendido LA SCHIVATA, rispetto al quale amplia il campo d’analisi generazionale, attraversando trasversalmente gli intrecci relazionali tra adulti e adolescenti, all’interno di nuclei familiari allargati. Kinematrix ha incontrato il cast del film: ecco il resoconto.
(la schivata e tutta colpa di voltaire su KMX)
Intervista con: OLIVIER LOUSTAU (Jose) - OLO BOURAOUIA MARZOUK (Souad) - BOM HENRI RODRIGUEZ (Henri) - HER
KINEMATRIX: Cosa avete provato alla proiezione pubblica del film, durante la quale si sono avute tre interruzioni con applausi a scena aperta, e terminata con un quarto d’ora d’inaspettato trionfo e relativa ovazione collettiva? BOM: è stata un’enorme emozione! Non ho pianto, ma sono rimasta colpita io stessa per le emozioni che provavo, vedendo il film nel montaggio definitivo per la prima volta, in particolar modo durante il pianto/sfogo di quella che nel film è la moglie di mio figlio, che la tradisce. Io ho il ruolo della vera mamma, che vive e agisce solo per la pace della famiglia. L’apoteosi di ciò è quando il padre muore, mettendo involontariamente in atto il sacrificio che aveva già pianificato: la famiglia, in crisi, deve continuare, deve rinascere grazie al nuovo lavoro del ristorante sulla barca. I figli, d’ora in avanti, saranno sicuramente più responsabili. Il padre stringe un patto (segreto) per il futuro, mentre la prima moglie, cioè io, fa il couscous, cioè, simbolicamente, mescola il grano, i componenti della famiglia in un unico insieme finalmente compatto.
Lei sembra molto coinvolta nella parte, quasi fosse ancora la prima moglie di Slimane… Cosa pensa, a questo proposito, della scena in cui Latifa, la seconda moglie e sua avversaria, se ne va dalla barca dopo che sua figlia Rym (interpretata dalla splendida Hafsia Herzi) ha iniziato a intrattenere gli invitati spazientiti con una sensualissima danza del ventre? BOM: Secondo me, andandosene, Latifa esprime la propria sconfitta, si sente superata, scavalcata dal mio personaggio (Souad)… (Noi abbiamo sinceramente pensato l’opposto! N.d.r.)…
Cosa pensate del fatto che tutta la filmografia di Abdellatif Kechiche esprime una critica dall’interno del mondo arabo, una profonda autoanalisi, senza soffermarsi troppo sugli scontri culturali e razziali nei confronti dei francesi? OLO: Per me Abdel è come un jazzman, un continuo improvvisatore, che include nel film e in ciò che riprende anche ciò che non era previsto ma che è dotato di vitalità propria. Lui continua a girare, per lui non è mai abbastanza. Sembra non mandare messaggi diretti e duri, ma alla fine della storia, simile a una fiaba, tu ritrovi elementi profondi che non sono politici in maniera diretta, ma più poetica. Suo padre era un grande poeta, quindi Abdel ha lo stesso modo indiretto di esprimersi.
Olivier Loustau
Nella direzione degli attori, quindi, vi lascia libertà, accetta contributi di sorta o è tutto molto scritto? HER: Un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Abdel è molto legato al testo (si veda Marivaux ne LA SCHIVATA, N.d.R.), ma comunque ci mette sempre un po’ di libertà e improvvisazione. A un certo punto, però, chiede proprio di andare, partire e noi non sentiamo mai la presenza della m.d.p. OLO: A differenza di quello che si potrebbe pensare, Abdel prova tantissimo e pretende decine e decine di rehearsals, proprio per fare in modo che alla fine l’estrema confidenza col testo permetta all’attore, nel recitarlo, di lasciar andare l’emozione. Gli attori, in LA GRAINE ET LE MULET, sono così naturali che, come voleva Kéchiche, sembrano sempre improvvisare. Però, come dicevo, i ciak possono essere anche 50 o 60!
La grandezza di Kéchiche è proprio questa naturalezza che, alla fine, si coglie nei suoi film… OLO: Sì… è tutto diviso in due metà circa equivalenti: metà preparazione e metà recitazione sul set… HER: C’è una scena (quella del convivium degli anziani che parlano di Slimane, N.d.R.), che nella sua naturale grandezza improvvisativa ricorda quella della partita a carte in MARIUS di Marcel Pagnol (1931)
Quali sono stati i tempi complessivi di pre-produzione e lavoro sul set? OLO: Abbiamo avuto un problema molto rilevante all’inizio, perché l’attore che avrebbe dovuto interpretare Slimane si è ammalato proprio il giorno prima delle riprese. Era il ruolo principale e ciò a costretto Abdel a rimandare tutto di due mesi, ma, per fortuna, ha trovato Habib Boufares, che era grande amico di suo padre. Il ruolo di Slimane, comunque, aveva in origine una rilevanza e una presenza ancora maggiori all’interno del film.
Cosa potete dirci sull’affabulazione di LA GRAINE? HER: Nella vita reale noi mediterranei, e siamo tunisini, algerini ed egiziani nel film, parliamo veramente tantissimo! BOM: Il couscous rappresenta proprio questo melting pot tenuto insieme, organizzato dalla figura della mamma.
Nella scena finale questo melting pot finisce con l’includere anche i francesi, dopo che li avevamo sentiti parlar male dell’iniziativa di Slimane… OLO: Sì, perché, come dice il testo, se vuoi comprare i francesi devi usare il sesso! BOM: Anche il padre, Slimane, un maghrebino, è malato di sesso e da lui posso capire i comportamenti del figlio (anche qui la pensiamo diversamente, N.d.R.)… OLO: Vedi, lei è ancora arrabbiata con Slimane! (risate) BOM: è la mia interpretazione! Anche la moglie di mio figlio, comunque, dice qualcosa del genere su Hamid e Slimane, che sarebbero uguali in questa addiction sessuale.
Bouraouia Marzouk
Il film parte dopo il vostro divorzio, per cui non vediamo tutta la vicenda tra voi, e Slimane ci appare come un uomo umile, quasi dimesso e molto sensibile nei confronti della nuova moglie… BOM: Noi diciamo che “nostra madre e nostro padre sono il nostro specchio”, per cui io continuo a sostenere la mia interpretazione negativa.
Anche se durante il banchetto della domenica qualcuno insinua che lei/la mamma sia ancora innamorata di Slimane… BOM: No, è una cosa detta dagli altri, mentre io non provo più amore, ma solo amicizia…
E sempre nel finale, mentre lei, lontana dalla cena in barca, porta il cibo a un clochard, sembra che il regista stabilisca una contrapposizione critica rispetto al modo in cui Rym sta tentando di salvare la serata (facendo la danza del ventre, N.d.R.) BOM: è un uso che abbiamo in Tunisia, di andare a portare cibo ai poveri nei giorni in cui noi ci divertiamo e banchettiamo. Per il resto, secondo me è un modo di ribadire, anche col couscous dei poveri, che solo la mamma può segnare la linea comportamentale più giusta e tenere insieme, mescolare i grani più diversi…
La madre è in qualche modo la figura più potente all’interno della famiglia maghrebina? BOM: Nella Tunisia moderna è stabilito anche dalla legge. Io stessa, nel ’68, ho lottato per i diritti e la libertà della donna, anche se la definizione del suo stato legale in Tunisia è addirittura del ’56, di un anno precedente alla promulgazione della Costituzione! Quindi la libertà della donna da noi fu definita prima della Repubblica. Io ho 57 anni, sono una donna libera e devo dire che in Tunisia la situazione è molto migliore che altrove in Maghreb. Il personaggio di Souad contiene più elementi di mia madre o mia nonna, mentre io sono, nella vita reale, molto differente da lei.
Com’è stata, in definitiva, la vostra esperienza con Abdel? OLO: Nonostante io abbia lavorato anche con Bertrand Tavernier, devo proprio dire che nessuno è come Kéchiche. Anzi, secondo me è uno dei migliori registi al mondo… (viene interrotto da BOM, N.d.R.) BOM: Per far capire quanto lo stimo, ricordo che in LA SCHIVATA c’era l’opzione di rappresentare il mondo giovanile anche filmando i ragazzi mentre giocano sempre a pallone. Tra il calcio e la cultura Kéchiche scelse la seconda, coraggiosamente, mescolando, nella parlata della banlieu, Marivaux e slang. Così indicava una soluzione per il problema delle periferie parigine: il ricorso alla cultura. OLO: Vedi, quando mi chiedevi del chiacchierare continuo dei maghrebini: l’uomo di solito è costretto a star zitto, sopraffatto dalla donna, come è capitato a me adesso !
Hotel Excelsior, Lido di Venezia, 04/09/2007
|
|