Chiamato a raccogliere il timone dopo la
sfortunata, ma tutt'altro che fallimentare, esperienza di De Hadeln, Marco
Muller ha cercato di proseguire (per quanto possibile in un contesto
politicamente e logisticamente spinosissimo come quello veneziano) la linea
che contraddistinse le “sue” edizioni di Rotterdam e Locarno (che diresse in
precedenza).
Asia sì (e Cina soprattutto), come è noto, ma non solo: l'occhio vigile
verso i nuovi nomi è rivolto a tutti gli angoli del globo, che sia
l'Argentina di Pablo Trapero o il Ciad di
Daratt del giovane Haroun, a
molto altro. E si fa ben presto tendenza felicemente programmatica,
contagiante non ultimo le retrospettive, le “storie segrete” (spesso
importate da sue precedenti esperienze a Rotterdam, Pesaro etc.) del cinema
non solo italiano ma soprattutto cinese, giapponese, russo eccetera...
La scommessa era difficile, eppure Muller ha saputo rischiare, ha saputo
sfruttare bene il suo mandato, non per inforcare le cavalcate mediatiche
tipo Festa di Roma, ma per ricercare pazientemente anno dopo anno la formula
del Festival Perfetto. E se il collega/rivale cannense Fremaux ha faticato
parecchio per arrivarci (con l'egregia edizione 2007), dopo anni
irrimediabilmente di transizione come il 2003 o il 2006, il più navigato
Muller (oltre a strappargli clamorosamente di mano INLAND EMPIRE) ha
passato un paio di anni a tastare il terreno, tra genialate (il lancio di
German Jr.), sperimentazioni (la sezione “Orizzonti” a quasi esclusivo
carattere documentario nel 2005), veniali maldestrezze (Herzog nella sezione
minore...) e la piacevole abitudine del film inserito a sorpresa in extremis
(tutti capolavori, da Ferro 3
a Takeshis a
Still
life). Il risultato
è l'edizione 2006, che lancia nell'orbita del cinema mondiale un cineasta
giovane e già grandissimo, che da tempo attendeva la consacrazione, e alla
fine di un festival di eccelso valore: una selezione addirittura migliore di
quella di Cannes appena trascorsa, pochissimo prona (come invece ahimé
accade spesso al Lido) a piegarsi all'inevitabilità di selezionare il
trombone di turno (tipo la Von Trotta) e abilissima a tracciare una precisa,
valida cartografia del cinema mondiale, con tutto il meglio o quasi che si
poteva sperare. Senza contare la lodevole, esplicita, chiara (e doverosa)
difesa degli Straub-Huillet, attaccati gratuitamente da alcuni imbecilli
dopo la loro conferenza stampa in absentia. E tutto questo avviene nell'anno
giusto per sfoderare la strategia vincente: l'anno di Roma, del festival
veltroniano e della sua grancassa pronta a esplodere e a ridisegnare il
panorama festivaliero italiano. Era necessaria una risposta: Venezia ha
puntato sulla qualità, lasciando (quasi tutto) il glam e i lustrini
mediatici alla Festa capitolina. E ha vinto.
Insomma: l'esperienza veneziana di Muller appare in sicura e spavalda
crescita. Le carte da giocare, pertanto, sembra dovranno essere ancora
molte, e dunque ci si augura che la sua possa davvero essere, nel quadro
diacronico generale del Festival, una di quelle direzioni-chiave per
longevità del mandato e qualità dell'offerta, destinate a segnarne la
storia.
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A poco più di un mese dall’inizio della 64^
mostra del cinema di Venezia, la folla cinefila e non è già pronta a
cimentarsi nelle proposte festivaliere di questa nuova edizione presedieduta
ancora una volta da Marco Müller. Il direttore della mostra, giunto al suo
quarto mandato, si è sempre distinto per la ventata di innovazione,
originalità e anticonformismo data alla manifestazione cinematografica più
importante (e risonante) d’Italia. Sembra ieri quando alla 61^ edizione
presentava orgogliosamente un programma singolare in cui, assieme alla
sessantina di film in selezione ufficiale (inaugurati dalla proiezione di
Terminal di Spielberg), figuravano anche sezioni nuove di zecca, la “Venezia
Orizzonti” (che andava a sostituire la più classica”Controcorrente”) e la
“Venezia Mezzanotte” riabilitata e finalizzata a promuovere i film più
spettacolari. Senza dimenticare la famosa Venezia Cinema Digitale che, con
la solita lungimiranza, aveva previsto la sempre più massiccia pregnanza
delle nuove tecnologie e la loro applicazione al medium cinematografico. Ma
questo è fondamentale per chi si è sempre occupato di cinema indipendente, o
meglio per chi nasce come esperto di cinema orientale (Müller parla circa 8
lingue tra cui cinese e giapponese) e i film oltre che guardarli li produce
per giunta.
E questo era solo l’inizio. Stavolta Müller si è
spinto oltre. Più volte il direttore aveva ribadito la necessità di portare
la mostra ai giovani, per stimolarli ad una fruizione più consapevole , non
condannandoli alla visione esclusiva di opere di “autori consolidati”
(spesso boriosi, perché negarlo), ma piuttosto accettando le loro più
bizzarre passioni, il gusto giovanilista da un lato e la coscienza artistica
dall’altro. E sembra che ci sia davvero riuscito. Quest’anno più che mai.
Basta guardare il programma e i suoi ospiti.
Se negli anni passati avevamo visto registi
sconosciuti in Italia (Jia Zhangke, Kon Satoshi, l’autore del bellissimo
Tokyo Godfathers, Miyazaki figlio
et alii), ospitato la Hollywood
indipendente (Joe Dante, John Carpenter, Brian De Palma) oltre che premiato
col leone d’oro un regista sempre bistrattato e snobbato come David Lynch,
quest’anno Müller (in coppia ancora con Croff, non dimentichiamolo), premia
Tim Burton, porta ancora Tarantino (per la seconda volta) e spinge il pedale
dell’acceleratore sempre in una direzione innovativa e mai scontata. E
questo è più che positivo per quanti come noi amano il cinema ma non
vogliono assuefare l’occhio alle solite immagini, e soprattutto non
permettono al cinema di chiudersi nella gabbia asettica dell’autoreferenzialità
fine a se stessa.
Nella giuria di quest’anno due nomi nostrani:
Emanuele Crialese (premiato l’anno scorso per
NuovoMondo), e Ferzan Ozpetek
(Le fate ignoranti). Il presidente di giuria Zhang Yimou sarà seguito da
altri nomi importanti quali Jane Campion neozelandese già vincitrice per tre
volte della Mostra (con Un Angelo alla mia tavola nel ’90,
Ritratto di Signora nel ’96 e
Holy Smoke nel ’99), Alejandro Gonzales Inarritu che
quest’anno ha già impressionato le platee con
Babel. E per ultimo Paul
Verhoeven.
Anche per questa volta dunque la verve acuta e
avanguardista di Müller è stata confermata con la presenza di Burton, cui
sarà consegnato il Leone d’Oro alla carriera, Bertolucci, quello d’argento,
senza dimenticare una sezione dedicata al western all’italiana il cui
padrino sarà Quentin Tarantino.
A proposito di Tarantino, protagonista sia del
dibattito intorno a Grindhouse (uscito mutilato in Italia, e probabilmente
per questo giudicato erroneamente incompleto o peggio senza senso) sia della
diatriba riguardo l’affermazione infelice riguardo il cinema italiano
contemporaneo (giudicato privo di gusto e noioso), sarebbe curioso se Müller
stesso intercedesse con lui per un secondo parere sul nostro cinema. Insomma
sarebbe positivo dare una seconda chance sia alla nostra produzione che a
Quentin stesso.
Per questo verrebbe da chiedere al direttore
intanto come giudica le dichiarazioni del regista di
Pulp Fiction a
proposito del cinema italiano, poi se sarà possibile fargli cambiare idea
anche grazie alla presenza in giuria di alcuni registi ormai acclamati quali Crialese e Ozpetek.
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To accomplish creativity. To force protest. To
program films that are ‘different’ - either by stylistic renewal or by
telling a story in a different way. Films should conquer the spirit of the
times, and reveal the artificiality of other films. In 2004, Marco Muller
told the world his plans with regard to the Venice Film Festival. Since
films are related to other cultural activities, they should in any case
criticize them. Therefore, Venice is all about showing films that offer a
gaze to the other side of the world.
Did Muller put those words into action? He did achieve a remarkable
transformation. In 2004, the prestigious Venice Filmfestival suffered from
identity crisis. Political influences tried to extinguish Venice’s power;
they forced the festival to focus on two elements: attracting big Hollywood
stars on one side and offering a platform to promote Italy’s national
product on the other side.
The strong accent put on big American films paid off. Hollywood kept on
coming, the glamour has never declined and there's nothing like a photo of a
star getting off a boat onto the Lido for that red carpet. Although several
voices claim that Muller’s focus on Hollywood shouldn’t get in the way of
quality European films, the industry does admit it’s not a problem…yet. But
since contemporary cinema was born out of the Hollywood studios, why
shouldn’t the oldest filmfestival honor the foundations of modern film?
Muller does offer us a view to the other side of the world. The oriental
world, in fact. Asian films have been a fundamental element within the
festival during the last three years. 2005 opening film Seven Swords was all
about visual effects, grandeur and epic storytelling while rewarding Still
Life the Golden Lion in 2006 represented a silent protest to censorship and
government regulations for directors in China. This year’s closing film
Bloodbrothers offers another great gaze to Asian history.
By programming "The Secret History of Italian" (2004), Asian (2005), and
Russian (2006) Cinema, Muller created a whole new must-see repertoire,
surprising and refreshing gems that definitely conquered the spirit of time.
In 2004, seats for the parallel festival of Italian B-movies were the
hottest tickets in Venice, especially among young film buffs keen to see the
spaghetti western and erotic Italian comedies that director Quentin
Tarantino said were his inspiration. The Asian and Russian films also turned
out to be a big success among young filmlovers, and this year’s The Secret
History of Spaghetti Western Cinema will definitely add up to the values
that have already been set, and again students and young critics will be
able to boost their repertoire. Attracting a younger audience is definitely
one of the festival’s main goals. A lot of accreditations are given to film
students and film club organizers, while Cannes and Berlin only focus on
stars, press and industry.
Stars and press both are attracted to the beauty of the Laguna. The industry,
however, still prefers Toronto for deal-closing over Venice. Venice seems to
have realized at last that it’s no place for a real, Cannes-like market.
Venice is still the place to be for checking out new and upcoming directors,
networking and eventually long-term business. The organization therefore has
been working on making it easier to do business without actually holding a
market Edith Grant, the industry office consultant for Venice since 2006 who
formerly worked with the Cannes Film Market has achieved some great
improvements, for example the renewed Casino's Industry Lounge with Internet
access and a bar. The Excelsior offers a new buyer’s lounge, at the pool of
course. That’s one of the great things of doing business in Venice. It all
comes down to a nice talk at the pool, the fabulous location and splendid
views. Who wants to sit in a booth anyway?
During the last three years, Marco Muller’s has definitely strengthened the
artistic and commercial position of the Venice fest. His selection (including
the 2007 line-up) reflects his curious, broad vision of the world and
cinema. By choosing conflicting films he forces the festival visitor to
constantly reflect his opinion and position within the festival. Muller’s
choice has therefore always been a surprising, but in the end clear and
transparent choice. I just hope the views to the rest of the world will not
obscure during the upcoming years!
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