63ma mostra del cinema di venezia

I DON'T WANT TO SLEEP ALONE

di Tsai Ming-Liang

 

inTERVISTA A Tsai Ming-Liang

 

di Marco GROSOLI

KMX Come mai, dopo tanti film metropolitani a Taiwan, ha deciso di ritornare in Malesia, la sua nazione di origine?

TML Ho vissuto in Malesia fino all'età di 21 anni. Sono tornato a Kuala Lumpur nel 1999 e ci sono stato un anno. Ho trovato un paese profondamente cambiato, ma ho trovato alcuni spunti per una sceneggiatura. è in quell'anno, infatti, che ho cominciato a pensare a questo film.

Nel film è evidente che tra questi spunti c'è anche un contesto sociale particolare, quello dell'ambiente "sommerso" degli immigrati. Può dirci qualcosa sulla scelta di occuparsi di questo aspetto?
Mi ha colpito molto, in questa folta comunità di immigrati della capitale, il senso della solidarietà. Tutti i miei film si incentrano sulla solitudine, ma in questo ho voluto anche provare a mostrare questa forma molto autentica di solidarietà, di gente che non ha niente che prova a aiutasi alla meglio l'una con l'altra. L'immigrazione mi interessa anche come ricerca di identità da parte di qualcuno che l'identità ha dovuto perderla, e l'intreccio di questo tema con quello della solitudine. Più in generale, in Malesia a fronte di difficoltà economiche reali ho trovato un ambiente molto più umano e "caldo" di quanto mi aspettassi.

Come viene accolto il suo lavoro in Malesia?
I miei film in Malesia sono sempre stati tutti censurati. Forse I don't want to sleep alone verrà accolto meglio, perché obiettivamente le storie ambientate a Taiwan ricevono molto meno interesse di quelle ambientate in patria.

Che ruolo ha avuto il Leone d'oro ricevuto 12 anni fa per Vive l'amour per lo sviluppo della sua carriera successiva?
Ha avuto un'importanza decisiva. Il modello di Hollywood, che venga dall'America o da Hong Kong o dalla Corea, è sempre saldamente egemone, ma grazie a quel premio per me è stato ed è molto più facile trovare i soldi per poter fare dei film. I miei film piacciono o non piacciono, io sono così - è vero comunque che piano piano, film dopo film, mi piacerebbe poter arrivare davvero alla gente, coinvolgerla, pur senza vendermi. Mi sembra in ogni caso sbagliato fare film per compiacere il pubblico di proposito.

Come definirebbe in generale il suo metodo di lavoro? E quale cinema del passato ha maggiormente ispirato il suo?
Mi piace costruire le mie scene in modo da far cogliere il punto allo spettatore non a un livello di superficie ma inconscio. Purtroppo però il pubblico è sempre meno abituato a questo tipo di approccio. Amo molto gli autori europei di prima degli anni 70, perché sanno davvero cos'è il cinema e sono veramente capaci di lavorare nel modo che appena spiegato.

Ancora una volta, nel suo cinema trova un'importanza decisiva la malattia: in questo caso c'è la pestilenza dovuta ai parassiti, e poi il ragazzo in coma.
Sì, la malattia è parte integrante della vita. In questo film diventa quasi un bisogno di ricercare qualcosa, una spinta verso il desiderio.

C'è un lavoro sulle immagini come al solito molto poetico.
Sì, in questo caso c'è anche uno studio sul colore del tutto particolare. Volevo soprattutto sottolineare l'importanza delle mani: le mani della madre, ad esempio, sono sì molto amorevoli ma anche opprimenti.

 

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04:09:2006

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