61ma mostra del cinema di venezia

di Gabriele FRANCIONI
CONSIDERAZIONE n. 1: Festival/ Sismografo

I piccoli, indispensabili festival del cinema, sono come sensibili sismografi deputati a registrare gli impercettibili cambiamenti, i minimi assestamenti di società e culture in evoluzione. Venezia e Cannes hanno invece il compito di restituirci anche la trascrizione dettagliata degli eventi “macroscopici”, una volta che questi siano stati letti e reinterpretati da quella forma d’arte.
L’occasione si ripete con scadenza annuale, ma può accadere che alcune edizioni debbano recuperare il tempo perduto, presentandosi a mo’ di summa di un decennio caratterizzato da mutamenti epocali: è forse il caso di VENEZIA 2004.



CONSIDERAZIONE n. 2: Direttore multietnico

In un mondo tutt’altro che globalizzato e dove, anzi, il potere destabilizzante della “Rete” e i flussi migratori completano il processo di decentramento e di moltiplicazione della produzione di cultura, MARCO MULLER rappresenta la sintesi perfetta di tali dinamiche.
Lui stesso summa vivente di etnie diverse, poliglotta e sinologo, protagonista di numerose e illuminate esperienze, dalla direzione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro (1986/ 89, dopo il tirocinio “alternativo” con Lino Micciché), al Festival di Rotterdam (1989/ 91), sino al fondamentale ciclo di Locarno (1991/ 2000) e ai recenti successi come produttore (Fabrica e l’Oscar a NO MAN’S LAND; Downtown Pictures, premiata per FANGO), propone una riorganizzazione della mostra veneziana che è specchio fedele e multiverso dei tempi e, insieme, riassunto di un trentennio di sperimentazione e innovazione personali.

 

Dal lavoro “canagliesco” con Micciché discende direttamente lo sdoganamento dei “Kings of the Bs” (definizione del co-curatore Marco Giusti, anche lui autosdoganatosi rispetto al periodo “stra-colto” passato al fianco di Ghezzi); da Pesaro, Rotterdam e Locarno l’apertura totale al Far East, conosciuto e capito come pochi al mondo, tant’è vero che si spazia da Hou Hsiao Hsien a Miike a Johnny To; dalla rassegna ticinese deriva invece lo sguardo rivolto alla officina cormaniana, già celebrata nella memorabile retrospettiva del 1999 (Dante e Demme provengono da lì e non è un caso che il primo avrà una sua “notte cult” inserita tra i nuovi “cormaniani”, Quentin Tarantino in primis). E poi la Claire Denis Pardo d’oro nel ’96 con NENETTE E BONI e l’inedita presenza di un film svizzero, “Tout un hiver sans feu”, di Greg Zglinski.
Ancora più importante il lavoro svolto (in soli tre/ quattro mesi!) per arrivare ad avere nuove sezioni, che di fatto sostituiscono i “Nuovi territori” delle precedenti edizioni.
Anche se Muller dichiara di voler lasciare a Torino-Rotterdam-Locarno il compito di raccontare storie e formati non convenzionali, di fatto istituzionalizza una piccola fetta di “light revolution” da nuovo millennio creando gli spazi ufficiali dedicati al CINEMA DIGITALE e al DIGITALE AFRICANO, non rinunciando a CORTO-CORTISSIMO e (re)inventando nientemeno che LA SETTIMANA DELLA CRITICA e le GIORNATE DEGLI AUTORI. Il che dimostra ancora una volta che uno sguardo realmente ecumenico si rivela tale nei fatti e non nelle patetiche dichiarazioni d’intenti ascoltate mille volte nel passato.
Senza dimenticare HEIMAT 3, la presenza non secondaria del cinema d’animazione (anche in concorso) e DONNIE DARKO: momenti di cinema-vita, “biologico”, ininterrotto/ infinito, quanto può essere infinito o non-finito Donnie Darko che torna diverso dalla prima versione.



CONSIDERAZIONE n. 3: EXPLO(A)DING.

Sguardo ecumenico, ovvero la “globalità” che accettiamo. E che include il controfestival organizzato dalle indyreti del Web (ospite Naomi Klein) e dal movimento antagonista. Si parlerà la stessa lingua, a GLOBAL BEACH e in sala, considerando anche nomi e storie portate al Lido dagli Stati Uniti: Glazer, Araki, Demme, Gabel, Jost, Lee, Mann, Robbins, Solondz, tutti, o quasi, potenzialmente anti-Bush e capaci di dar forma ad immagini e testi “eversivi”, come THE MANCHURIAN CANDIDATE, premio anticipato come miglior “dottor Stranamore” del decennio.

Venezia è ora sufficientemente all’avanguardia per non poter permettersi di tornare indietro. Procederà, semmai, in avanti, seguendo la strada francese tracciata con la magnifica palma a Michael Moore, evento epocale della cui portata qualcuno vuole far finta di non accorgersi, che segue gli Oscar allo stesso Moore ed Errol Morris (BOWLING A COLUMBINE, THE FOG OF WAR, ovvero l’eterna storia dell’America ostaggio dei costruttori d’armi, da Kennedy a Ground Zero).
Docu-renaissance, “agonismo” digitale, web-culture: la rivoluzione parte dai formati e trascina tematiche e stili di regia.
La Mostra di Muller non resta ferma al palo e recita la sua parte.



La Rivoluzione Leggera è ancora in fase embrionale, segnata dai tipici eccessi di tutti gli inizi e da prese di posizione non sempre condivisibili (l’integralismo alla rovescia di Dogme-95, tradito a più riprese dal danese che non sa stare nell’ombra).
In ogni caso, considerate le potenzialità ancora inespresse di Internet (non mero downloading, ma carriere che nascono sul Web, festival on-line, autopromozione da parte di registi e operatori in erba), non si può negare che il futuro debba essere roseo.
L’apporto, a latere, di microcamere e dvd/ divx, fa sì che chiunque possa pensare e realizzare cinema domestico, poi democraticamente riproducibile: da lì si torna alla pellicola e a varie forme di distribuzione.



Se in altri periodi e contesti storici le macro-rivoluzioni artistiche seguivano eventi bellici a grande scala (Neorealismo/ Seconda Guerra Mondiale, ma anche New Hollywood/Vietnam) e si esprimevano sul piano della ricerca quasi esclusivamente stilistica e di contenuti, oggi si procede a partire da questo rinnovamento delle tecnologie, dei supporti, dei formati. In attesa di sviluppi verso maggiori profondità.
Anche se ciò non viene sufficientemente riconosciuto, il cinema sta veramente cambiando, anche se ha iniziato “dai bordi” e non dal centro del campo di battaglia.
E mentre gli Stati Uniti perennemente governati dai petrolieri mettono in scena infinite repliche del “Texas vs Iraqi Massacre”, le culture e le sensibilità dei “giusti” del mondo distolgono lo sguardo da tale scempio e lo rivolgono verso il monitor di un computer, che sta montando in Avid il loro cortometraggio quotidiano.

CONSIDERAZIONE n. 4: OPEN/ CLOSED.

Cinema in tempo di guerra, dunque. Che fa saltare schemi e, in futuro, sistemi di produzione; viene caricato sul pc portatile e poi diffuso tramite la Rete (EXPLO(A)DING CINEMA).
Cinema che trasmette “leggerezza” ed è un prodotto aperto, in evoluzione, antitetico rispetto a quello più tradizionalmente inteso. I territori sono ancora distanti, ma leggerezza e apertura stanno lentamente passando anche sul campo avverso.
Niente decisa acquisizione di tecnologie e condivisione d’intenti programmatici da parte delle grandi produzioni, ma piccoli segnali di cedimento e fascinazione. Possiamo dire che BLAIR WITCH PROJECT sia stato il punto di partenza e OPEN WATER uno degli esiti “crossover”, digitale “et” industria: basta che ci sia un riscontro in termini d’incasso.
Anche la qualità della vita media del film post-post-moderno (sala – dvd – cavo o satellite) subisce scarti o garantisce impreviste moltiplicazioni di tempi: invece che far morire l’opera, tale sequenza la fa rinascere a distanza di decenni. Tanti piccoli o grandi film-zombie pronti a ripopolare il nostro immaginario, carichi del nuovo sangue digitalizzato.
Aperto------------Non Finito---------------------Infinito.
Il cinema si muove. Movies move.




KINEMATRIX vuole raccontare la Mostra quasi fosse una Fiera di Materiali Erranti, anche solo per il fatto di transitare al festival senza una forma filmica definitiva. Oggetti sensibili alle reazioni del pubblico (e non solo…), pronti per essere rimodellati.
Abbiamo pensato di suddividere le pellicole scelte da Marco Muller proprio partendo da un criterio che tenesse conto della contrapposizione: Film Infiniti, Inconclusi, Leggeri, Aperti, versus, o solo “di-versi da” Prodotti Chiusi, non dialoganti.
Non si parla solo, o forse proprio non tanto di formati, ma di idee veicolate attraverso opere che esprimano la vitalità dell’Opera Aperta teorizzata decenni orsono.
Rientrano in categoria lavori diversissimi tra loro, ove la matrice comune va rintracciata:

- nel testo mai concluso, sul quale il regista torna più volte;
- nel film che segue il tempo biologico o quello dell’avanzare della Storia;
- nell’essere work in progress;
- nel rappresentare l’attività di registi forse immortali/ infiniti;
- nell’essere re-make di qualcos’altro, in un altro stato delle cose;
- nel rientrare in una filmografia che scavalca l’esistenza reale del regista, lasciandolo indietro perché troppo velocemente moltiplicantesi;
- nel raccontare senza tesi pre-dimostrate;
- nel dire del movimento, del Viaggio, della Fuga;
- nel proporre temi e stili anomali, devianti.



L’Autore che è realmente tale solo nell’attimo in cui, partoritala, esce dall’opera e si ferma a guardarla “vivere”.

CONSIDERAZIONE n. 5: Dasein?

Heidegger sosteneva che la Cosa è inattingibile, oggetto silente che si sottrae alle tecniche (di calcolo, di controllo, di sfruttamento) dell’uomo. La Ybris di guerra, che di esse è sintesi, non raggiungerà mai lo scopo del reale “possesso”.
Il cinema del movimento – EASY RIDER, STRADA A DOPPIA CORSIA, BADLANDS, ma anche TAXI DRIVER, dove l’utopia-sixties della mobilità si chiude in un disperato andirivieni tutto urbano – reagiva alla guerra abbandonando l’idea di dominio sull’altro e su se stessi. I chopper di Peter Fonda e Dennis Hopper disegnavano una geografia di spostamenti fisici assai simile ai deragliamenti della mente virtuale impegnata nell’esperienza lisergica (lasciarsi andare, viaggiare); i corpi si gettavano nel sesso e nella natura, che ritornerà in forma di estasi acquatica nella SOTTILE LINEA ROSSA di Malick.



Nei SEMINARI DI ZOLLIKON (Ed. Guida, 1991), Eugenio Mazzarella ci fa intravvedere il senso del nostro discorso:
“(…) L’uomo sta “aperto” di fronte a oggetti e natura che in silenzio ci parlano (“la cosa mi rivolge la parola”) e chiedono di essere lasciati vivere. Il compito dell’uomo – il Dasein heideggeriano, l’essere nell’essere presente o la LIBERTA’ - è “capacità” di rispondere alla sua posizione di originaria APERTURA, che è POSSIBILITA’ “.