
MICHAEL MANN
Kinematrix:
Nel suo film pare che Los Angeles svolga un ruolo ben più importante
rispetto a quello di mero setting per la vicenda, quasi fosse un personaggio
agente. Pensa che un film come
Collateral sarebbe stato possibile se ambientato altrove? Da dove
nasce la sua volontà di descrivere Los Angeles?
Michael Mann: Volevo
che i posti parlassero, che il pubblico entrasse in contatto con
l’ambientazione della storia. Hai ragione, non mi interessava creare solo
uno scenario per il film; volevo che il pubblico percepisse Los Angeles come
un’entità viva. E’ una città per lo più non rappresentata nei film, di
solito se ne vedono poche aree, io volevo mostrarla in tutti i suoi aspetti.
Mi interessava mettermi alla prova con Los Angeles, provare a “plasmarla”
per renderla il più simile possibile al luogo perfetto in cui ambientare
COLLATERAL. Per questo ho usato il digitale e l’alta definizione, per
rendere al meglio quella luce sottile e debole che L.A. emana di notte, che
con macchine normali non avrei potuto catturare. Volevo avere la possibilità
di lavorare con la luce naturale ed è una cosa che solo il digitale poteva
permettermi.
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Non credo che i miei personaggi siano personaggi “hard boiled”. Mi
interessano le reazioni delle persone in circostanze critiche e mi
interessano i personaggi in crisi, in conflitto con loro stesso o con gli
altri. Mi attraggono le crisi, anche quelle che si generano tra le persone;
nel caso di COLLATERAL, la mia sfida era quella di riuscire a proiettare il
pubblico all’interno della crisi che si crea tra due personaggi. Volevo
rappresentare un’esperienza che cambia la vita ai miei personaggi. Tutto ciò
che sono Max e Vincent collassa di colpo.
Mi piace ambientare i film di notte, perchè il buio è più espressivo. A
livello visuale, la notte distrae meno lo spettatore e mi permette di creare
una certa atmosfera. Rimosse le variabili visive, rimangono la storia,
l’intreccio ed il rapporto tra i personaggi.
Il personaggio di Vincent era perfettamente formato nella mia mente molto
prima che realizzassi il film. Aveva un curriculum, un passato, delle
esperienze che in COLLATERAL non hanno spazio, ma che mi sono servite per
spiegare a Tom che cosa volevo da lui. Ho scelto Tom perchè è in grado di
rappresentare meglio di chiunque altro le fratture che si creano in Vincent
parallelamente allo scorrere della storia. Vincent non è una macchina da
guerra senza sentimenti e credo che Tom abbia reso questo aspetto
perfettamente.
Non dico agli attori come reagire, voglio che siano spontanei. Creo per loro
una situazione in cui abbiano la possibilità di mostrare reazioni vere che
siano anche funzionali alla storia.
Max, il tassista, si trova a doversi rapportare con Vincent, perchè sa che
sarà l’unico modo di salvarsi la vita. I due ingaggiano un duello verbale. E
la cosa migliore di Vincent è che aggredisce Max con quella stessa ironia
sottile ma aggressiva che servirà poi al personaggio di Jamie in altre
situazioni. In questo senso i due si completano, imparano l’uno dall’altro.
Non mi piacciono i cattivi stereotipati o i personaggi monodimensionali.
Cerco sempre di creare persone vere, che hanno in loro bene e male. Vincent
si rende colpevole di cose orribili, e la responsabilità è interamente sua,
ma non credo che si tratti di un cattivo a tutto tondo, altrimenti sarebbe
un personaggio noioso.

JADA PINKETT SMITH
Kinematrix:
Il tuo ruolo nel film è quello di una donna minacciata, in pericolo. Pensi
che per poter svolgere la professione di attore sia necessario essere
persone particolarmente stabili ed equilibrate, in modo da non confondere i
piani di realtà e finzione nei casi in cui si interpreta un ruolo da
vittima?
Jada Pinkett Smith:
Credo sia un problema di metodo. Alcuni per interpretare la propria parte si
rifanno al proprio vissuto precedente, ma con Michael Mann abbiamo lavorato
in modo diverso. Lui ci ha chiesto di affrontare i personaggi come se
fossero persone vere, con un passato ed un futuro che non si esauriscono
nell’arco della narrazione. In questo modo non ho dovuto pensare ad eventi
che hanno visto me, Jada, come vittima, ma piuttosto ho immaginato il
passato del mio personaggio. L’ambiente che generalmente si crea sui set non
è particolarmente adatto a stimolare l’attore a fingere paura o
inquietudine; la distinzione tra reale e non reale è sempre molto chiara in
noi perchè i tempi tecnici, l’interazione con la crew ed altri fattori
rendono la concentrazione piuttosto difficile. E’ molto complesso il
processo che ci porta ad essere vigili ed attenti alla realtà circostante ma
contemporaneamente calati nel personaggio.
Kinematrix:
Hai lavorato in due dei tre episodi della saga di
Matrix, calandoti in un
universo fantastico, mentre ora ti trovi a lavorare in un film di premesse
realistiche e contemporanee. In che modo cambia il tuo approccio dovendo
recitare in queste due situazioni opposte?
J.P.Smith: La difficoltà principale con film come THE MATRIX
è che ti trovi a lavorare con moltissimi effetti speciali che compromettono
la fluidità della scena. Recitare di fronte ad un blue screen, dovendo
immaginare dove si trovano gli oggetti con cui interagisci non è affatto
facile.
Kinematrix:
Quindi non ci sono differenze per quanto riguarda la recitazione in sé?
J.P.Smith: Un film come THE MATRIX non è “organico”. I
registi volevano creare un mondo a-settico, non emozionale, totalmente
logico. E in questo senso il mio personaggio si adeguava a questo tipo di
approccio. Per COLLATERAL abbiamo dovuto fare una ricerca sui nostri
personaggi molto più approfondita, perchè il loro sistema di azioni/reazioni
non era preordinato come in THE MATRIX.
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Avevo già lavorato con Michael per
Alì e devo dire che lo adoro e sono assolutamente entusiasta del suo
modo di lavorare. Di solito non ama fare molte prove; ad esempio una scena
in cui faccio una confessione a Jamie è stata girata una sola volta perché
ci interessava catturare il momento in cui sarei stata più spontanea. Fino
all’ultimo non sapevo cosa avrei detto e di conseguenza ho dovuto
improvvisare e penso che per quella sequenza particolare sia stata una buona
scelta.
Sono felice di aver interpretato una parte d’azione. Ho la reputazione di
essere una ragazza aggressiva sullo schermo e per una volta sono riuscita ad
interpretare una donna in pericolo, non direi indifesa, ma senza dubbio
vulnerabile e femminile. E’ qualcosa di diverso da quanto ho fatto prima. Mi
piacerebbe recitare in una storia d’amore, vedere se sono capace di
interpretare quel tipo di ruolo.
Ultimamente le possibilità per le attrici come me stanno migliorando. Non
esistono moltissimi grandi ruoli femminili nella produzione hollywoodiana
attuale e bisogna essere molto attenti ed attivi per afferrarne uno. Questa
è una delle ragioni per cui molte attrici stanno cominciando a lavorare
“dietro le quinte” come produttrici, sceneggiatrici o registe. E’ un gioco
duro per tutti. Anche per le grandi come Julia Roberts o Jodie Foster o per
gli attori importanti come Tom Cruise.

JAMIE FOXX
Kinematrix:
Hai avuto la possibilità di interpretare un ruolo importante con Oliver
Stone (il protagonista di ANY GIVEN SUNDAY); che differenze hai riscontrato
nel modo di lavorare di Michael Mann rispetto a quello di Stone. Si dice che
Oliver Stone sia un regista frenetico ed esigentissimo, mentre Mann sembra
avere uno stile più meditativo ed un modo di lavorare sui personaggi più
analitico...
Jamie Foxx:
Oliver Stone è una rockstar. Quando arriva sul set sprigiona un’energia
particolare e anche se non sai mai cosa accadrà sotto la sua direzione, sei
sicuro che lui ha perfettamente in mente il progetto complessivo. Quando
dici le battute, lui è lì che le recita con te. Michael Mann è ossessionato
dai dettagli, è capace di ripetere una scena intera se un capello non era al
proprio posto mentre dicevi la battuta. Con Oliver è stato molto più
difficile, perchè ero più giovane e lui pretendeva moltissimo dagli attori.
Kinematrix:
In COLLATERAL sei spesso ripreso in primissimo piano o addirittura in
close-up; pensi che questa particolare situazione abbia condizionato il tuo
modo di recitare nel film? Come ti sentivi ad essere tanto vicino alla
macchina da presa?
J.Foxx: Si
arriva ad un punto in cui la presenza della macchina da presa viene rimossa
dalla tua mente. La concentrazione è talmente alta che la camera sparisce e
non importa quanto è vicina.
Kinematrix:
Come giudichi Max come uomo? Pensi che in qualche modo ti assomigli?
J. Foxx: In
qualche modo è simile a me. E’ uno che non vuole problemi per sè e per gli
altri ed in qualche modo mi riconosco in questo tipo di approccio alla vita.
E’ uno che si prende cura delle persone che gli stanno vicino. Ciò che ci
rende differenti è l’incapacità di Max di prendere grandi decisioni
riguardanti la propria vita; ho fatto spesso scelte decisive e non me ne
sono mai pentito, mentre Max non sarebbe in grado di farlo.
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Mi è già successo di avere pistole puntate addosso ed è da questo tipo di
esperienza che ho ricavato la mia interpretazione di Max. Nei film tutti
tentano di disarmare il nemico, ma nella vita vera non è mai così, si perde
il controllo in una situazione del genere. E’ una cosa che mi è successa a
Beverly Hills non molto tempo fa. Eravamo in una zona ricca e un tipo si è
alzato la maglietta e mi ha fatto vedere che aveva una pistola sotto.
E’ necessario andare ad L.A. per realizzare qualsiasi cosa in questo
ambiente. Io sono nato in Kentucky e dico sempre che ero ad ottocento miglia
dalla mia vita e da quello che volevo fare.
Michael Mann mi ha imposto di fare alcune prove di guida con un Taxi su una
pista, in modo che mi abituassi alla sensibilità del mezzo ed alla guida
sportiva.
Mi definisco “The Inspiration”, perchè prendo spesso decisioni repentine. E’
stato così anche per la recitazione; quando ero un ragazzo volevo a tutti i
costi imitare Bill Cosby ed andare in TV. Era un’urgenza che sentivo dentro
e che non sono riuscito a far emergere fino a quando non ho cominciato la
mia carriera di comico nei quartieri più malfamati della mia zona. Ho sempre
avuto un’ammirazione fortissima per Denzel Washington, è sempre stato una
fonte ispirazione per me.
L’ho già detto diverse volte a Mr. Mann. Mi piacerebbe recitare in un remake
cinematografico di Miami Vice.
Voglio la macchina, i vestiti, l’atmosfera di Miami Vice. Ho pronto anche
l’idea per il trailer, lo farei anche gratis.
Venezia, 03.09.04 |