60. mostra internazionale di arte cinematografica

LA MIA VENEZIA 60

di V. DI MICHELE

“Ecco la mia Venezia ‘60”
Non ha dubbi, Moritz De Hadeln, sul futuro della sua Venezia.
Un rilancio grandioso, che metta a tacere le critiche piovute su una passata edizione davvero fragile, una ristrutturazione interna, e (Vivaddio, avrebbe commentato la nobiltà di spada simbolista) il ritorno dell’oligarchia.
Perché De Hadeln coltiva il gusto (di stile ateniese) della sacralità élitaria dell’evento. Dieci anni di dittatura berlinese per regalare al festival più social-democratico d’Europa almeno una passerella non è poco, se dietro i paraventi c’è (come, indiscutibilmente è stato, con buona pace dei detrattori) l’ascesa all’Olimpo Cinematografico.
Quello che il direttore (ormai per eccellenza) ha imparato in tanti anni è che l’art pour l’art, banale a dirsi, fa male all’arte. Un cartello di lavori in corso preannunci grandi cambiamenti: arriva un mercato, quello che rende Cannes, più del tappeto rosso, un momento fondamentale, che ha salvato Berlino dalla notte dei cristalli (rotti) di un avviato declino.
Obiettivo riposizionamento, per lui che ha capito che la democrazia distrugge gli imperi, porte aperte agli americani, stars e starlettes, buoni film e movimento di denaro, screenings per l’industry e una patina glamour che, in una manifestazione di livello, non dovrebbe mancare mai.
Il programma è scintillante, va ammesso. Mancano alcuni titoli annunciati, Bergman, Wong Kar-Wai, Antonioni, Weir, Tarantino, Rivette, Altman, per indugi, ritardi, indisposizioni, tornano (in forze) alcuni autori votati alla sola (o quasi) distribuzione festivaliera, presenzialisti come Raoul Ruiz, nepotisti come l’ennesima Makhmalbaf (Hana).
Il totale, fra sottraendi ed addendi, è ben più che dignitoso, tale che gettare un’ombra sulla Cannes passata - la Venezia dei tempi d’oro, della Fabbrica dell’Immagine che si celebra nella retrospettiva di quest’anno, torna ai fasti degli anni ’50 e ’60 - compatibilmente con i tagli, la crisi economica, culturale e morale dell’Italietta del 2003.
Cambiano gli orari delle proiezioni, film più brevi, tempi più umani, per godere dei giardini, delle pagode, dei vip club che rifioriscono per gli incontri e gli eventi collaterali— un festival meno sagra e più matrimonio: questo è il buffet, lì per le foto, un brindisi agli sposi.
Se funzionerà, come l’apparato lascia presagire, lo sapremo fra meno di un mese.
Se (come speriamo), e quando, potremo dire, con un sorriso sospeso fra orgoglio patriottico ed anarchico disdegno, “Moritz de Hadeln ha avuto ragione”.

 

31.07.2003

 

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