60. mostra internazionale di arte cinematografica

 

TRAVELLERS AND MAGICIANS

di Khyentse Norbu

con: Tshewang Dendup, Sonam Lhamo

Controcorrente

di Gabriele Francioni

 

Fabula delicata sulle tentazioni della modernità e della alterità da sé intesa come fuga dalla Tradizione e dal rispetto del Passato, MAGHI E VIAGGIATORI è quel Lontano Oriente che vive all’ ombra di una cultura millenaria vista come grande albero dalle fronde protettive, alternativa al meticciato culturale hongkonghese e alla deriva morale ( e politica? ) cinese.
Khyentse Norbu, figura di grande rilievo anche in ambito religioso, assistente sul set de L’ULTIMO IMPERATORE, dispensa saggezza e parsimonia visiva, dall’ alto di una meditatività raccolta ma non ostile a brevissime escursioni immaginifiche nei territori della CG, pur non doppiando il riuscitissimo esordio de LA COPPA ( 1999 ), variamente premiato. Confinata la propria arte narrativa entro lo schema asfittico del confronto sbilanciato tra exemplum vitae – la rievocazione di un episodio tratto dalla tradizione orale – e perdizione in fieri del protagonista Dondup – in fuga dall’ inerpicata arretratezza del proprio villaggio e diretto in America - il monaco-regista non riesce a mettere in fibrillazione i due piani narrativi, lasciandoli procedere entro una vaga forma di sospensione e di reciproca indifferenza.
Da una parte il tratteggio, ai limiti del comico, di Dondup come improbabile cross-over potenziale tra origini da eremita e vocazione metropolitana ( ingenuo e un po’ irritante l’ ostinato soffermarsi sugli sneakers griffati, mossi a tempo di rock, ma di un rock inesistente e scovato chissà dove, per non dire dei manifesti appesi nella stanza ); dall’ altra il respiro di una fiaba persa nel senza tempo e che occupa sempre maggiore spazio all’ interno del film.
Tanto didascalica la prima - che vede incontrarsi sulla strada per la città ( e per la fuga ) figurine esili e appena accennate, come il monaco narrante, il venditore di mele, il vedovo con figlia studentessa, tutte messe in parallelo senza che scatti l’ ingaggio – quanto poetica la seconda, forse pensata in origine come film compiuto.
Tashi, che ne è il protagonista, vaga in preda agli effetti di un trip allucinogeno nella foresta mentale che è metafora della propria perdizione. Studente svagato di arti magiche e desideroso di viaggiare, viene messo alla prova dall’ incorrotto giovane fratello, mescitore di un infuso degno dei cocktail ginsberghiani, seppur a base di sole erbe. Costui intende fargli esperire la disperazione indotta dalla mancanza di una meta, laddove il villaggio paterno è un sottinteso e implicito approdo. Tashi, in effetti, viaggia, e diventa stanziale quando un cavallo immaginario lo traghetta alla dimora morale del passaggio alla vita adulta. Come nella cornice di una fiaba a scalini, la tappa della casa in legno sperduta nel bosco prevede l’ esperire il sesso sconosciuto, ma secondo una facies adulterina ( egli desidera e possiede la giovane e bella Deki, finita in sposa a un vecchio gnomo geloso e conseguentemente misantropo ) e quindi sbagliata, maledetta. Tra panoramiche a raggio ristretto sull’ ampia ma fosca natura selvaggia, gallerie intense di primi piani e cesellati dettagli dell’ attività manuale che scandisce il tempo, il film è in attesa del punto di svolta ( l’ avvelenamento del vecchio ), ma ha ormai definitivamente dimenticato il suo doppio innecessario, ovvero la parte contemporanea.
Forse è un limite intrinseco di ogni parabola in chiave moderna, di ogni esposizione a tema, che attinge alle proprie sottintese affermazioni apodittiche come ad una fonte dispensatrice di equilibrio e chiarezza solo se lasciata sola e non appesantita da altro.
La redenzione di Dondup/ Tashi - dopo estenuante attesa di un autobus verso la libertà che non arriva, e alla fine dell’ effetto-peyotl generatore di un mondo di tentati assassinii e disperati autoannullamenti ( Deki si getta nel torrente ) - è atto dovuto e non parto ragionevolmente sofferto di una complessa estrinsecazione del senso. Restiamo anche noi sospesi, del tutto dimentichi dell’ intento originario del regista, in attesa che il racconto e la voce del monaco, semplicemente, riprendano da un momento all’ altro…


Voto: 24/30

02.09.2003

 

 

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