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Chi
si ricorderà ancora delle sale cinematografiche? Quei luoghi enormi dove da
bambini si giocava a nascondino tra un intervallo e l’altro? Alzi la mano
chi non ha nella memoria la sua prima iniziazione sessuale legata a una sala
cinematografica. Io ricordo che da bambino quando avevo un problema mi
rinchiudevo in quel guscio buio, privo di sole, ma ricco di altri raggi e,
come per effetto di una bacchetta magica, tutto scompariva davanti alla
visione delle immagini in movimento.
Bu-San, fedele alla poetica del piano sequenza del suo autore, il
regista Tsai Ming-Liang, è prima di un film, un omaggio commosso e al
contempo grottesco del cinematografo, è un tentativo d’intrappolare
attraverso le immagini in movimento altre immagini, quelle di un vecchio
film di successo di 36 anni prima intitolato
Dragon Inn. Quello che (non)
rimane: un vecchio cinema… la notte precedente alla sua chiusura si proietta
un vecchio film… un giovane giapponese entra in quel luogo dimenticato dal
tempo inclemente in cerca di compagnia ma si imbatte in qualcuno che sembra
esattamente lo spadaccino sullo schermo. Due spettatori uguali ai
protagonisti di Dragon Inn,
però adesso sono molto più vecchi. Mentre guardano il loro film piangono. La
macchina da presa non arretra di fronte a nulla: nessun montaggio frenetico
che possa ricordare i linguaggi frenetici della televisione e i frames
d’Internet. Il regista Tsai Ming-Liang (vincitore del Leone d’oro alla
Mostra del Cinema di Venezia nel 1994 con
Vive l’amour) non impone
gerarchie di visione: l’oggetto (un semplice secchio delle pulizie, una
pentola, una sedia…) ha la stessa dignità dell’essere umano a essere
ripreso. Nessun protagonista se non l’immagine stessa… tanto fuori piove
perennemente. Senza le immagini di drammi, avventure, commedie ed eventi
umani e naturali impresse su pellicola non ci sarebbe cinema; non vi sarebbe
materia per una storia del cinema; la filmologia non avrebbe oggetto.
Esisterebbero tutt’al più immagini fisse (fotografia) o incomplete (video).
L’immagine elettronica lo conferma: una civiltà in preda all’incubo della
memoria visiva non ha più bisogno del cinema. Il cinema è l’arte della
distruzione delle immagini in movimento. (Paolo Cherchi Usai, L’ultimo
spettatore, Editrice Il Castoro, Milano, 1999, p.7). Voto: 30/30 28.08.2003
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