60. mostra internazionale di arte cinematografica

 

BU-SAN

di Tsai Ming-Liang

con: Lee Kang Sheng, Chen Shiang Chyi

In Concorso

di Domenico MONETTI

 

Chi si ricorderà ancora delle sale cinematografiche? Quei luoghi enormi dove da bambini si giocava a nascondino tra un intervallo e l’altro? Alzi la mano chi non ha nella memoria la sua prima iniziazione sessuale legata a una sala cinematografica. Io ricordo che da bambino quando avevo un problema mi rinchiudevo in quel guscio buio, privo di sole, ma ricco di altri raggi e, come per effetto di una bacchetta magica, tutto scompariva davanti alla visione delle immagini in movimento. Bu-San, fedele alla poetica del piano sequenza del suo autore, il regista Tsai Ming-Liang, è prima di un film, un omaggio commosso e al contempo grottesco del cinematografo, è un tentativo d’intrappolare attraverso le immagini in movimento altre immagini, quelle di un vecchio film di successo di 36 anni prima intitolato Dragon Inn. Quello che (non) rimane: un vecchio cinema… la notte precedente alla sua chiusura si proietta un vecchio film… un giovane giapponese entra in quel luogo dimenticato dal tempo inclemente in cerca di compagnia ma si imbatte in qualcuno che sembra esattamente lo spadaccino sullo schermo. Due spettatori uguali ai protagonisti di Dragon Inn, però adesso sono molto più vecchi. Mentre guardano il loro film piangono. La macchina da presa non arretra di fronte a nulla: nessun montaggio frenetico che possa ricordare i linguaggi frenetici della televisione e i frames d’Internet. Il regista Tsai Ming-Liang (vincitore del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1994 con Vive l’amour) non impone gerarchie di visione: l’oggetto (un semplice secchio delle pulizie, una pentola, una sedia…) ha la stessa dignità dell’essere umano a essere ripreso. Nessun protagonista se non l’immagine stessa… tanto fuori piove perennemente. Senza le immagini di drammi, avventure, commedie ed eventi umani e naturali impresse su pellicola non ci sarebbe cinema; non vi sarebbe materia per una storia del cinema; la filmologia non avrebbe oggetto. Esisterebbero tutt’al più immagini fisse (fotografia) o incomplete (video). L’immagine elettronica lo conferma: una civiltà in preda all’incubo della memoria visiva non ha più bisogno del cinema. Il cinema è l’arte della distruzione delle immagini in movimento. (Paolo Cherchi Usai, L’ultimo spettatore, Editrice Il Castoro, Milano, 1999, p.7).
 

Voto: 30/30

28.08.2003

 

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