60. mostra internazionale di arte cinematografica

 

MATCHSTICK MEN

di Ridley Scott
con: Nicholas Cage, Sam Rockwell

Fuori Concorso

di Gabriele Francioni

Sarà la necessità di esorcizzare la paura del terrorismo – innescato sempre dagli Stati Uniti, sia chiaro – con prodotti di scanzonata manifattura, sarà la voglia di confrontarsi a distanza con i colleghi più stimati nel dare prova di sé saltellando gioiosamente tra i generi, sta di fatto che R. Scott sente il bisogno di girare un’operina inoffensiva e inconsistente come MATCHSTICK MEN, che ha il merito esclusivo di far sembrare CATCH ME IF YOU CAN di Steven Spielberg un assoluto capolavoro. Colui che esordì con THE DUELLISTS (1977) e ALIEN (1979), meravigliose seconde parti virtuali rispettivamente di BARRY LYNDON (1975) e 2001, A SPACE ODISSEY (1968), regista capace in seguito di segnare in maniera indelebile l’immaginario di una generazione che si era cibata di postmodernità teorica, con BLADE RUNNER (1982), è riuscito a rovinare una carriera, altrimenti tenuta su livelli di assoluta eccellenza, con tutta una serie di inutili prove di eclettismo da vecchi studios hollywoodiani, periodicamente andando all’incasso dopo essere tornato Autore a intervalli regolari. Dopo BLADE RUNNER? Ecco arrivare nelle sale LEGEND (1985)! THELMA & LOUISE (1991) da cosa è seguito, se non dal commissionatissimo 1492 (1992) e da una pietra miliare del racconto di formazione travestito da yacht-movie quale è ALBATROSS (1996)? Il degno GLADIATOR (2000) non può che cedere il passo al gorebuster HANNIBAL, campione d’incassi e di truculenta sperimentazione in ambito di CG (ricordiamo Ray Lotta a cranio scoperto…).
I matchstick men del titolo sono due 35/40enni –Cage e Sam Rockwell- che hanno fatto delle proprie idiosincrasie, dei problemi familiari e personali una regola attorno alla quale apparecchiare una vita disordinatamente precisa e maniacalmente condotta, tra appartamenti lucidati come specchi e tic di ogni sorta. è il personaggio di Nicholas Cage a condurre il rapporto professionale tra i due amici su binari di una nevrosi che fa saltare giornate lavorative a raffica, anche se poi ci si ripaga di una routine grigia e solitaria con i “proventi” di truffe magistralmente orchestrate ai danni di ignari cittadini.
Paradossalmente anche questo è un tran-tran da cui risulta difficile liberarsi: a questo proposito, interviene, improvvisa, la componente esterna, che si materializza nella sedicente figlia Angela (la splendida Alison Lohman già vista in WHITE OLEANDER), pronta a scombinare i piani di un’esistenza senza “futuro”.
è qui che Riley Scott avrebbe dovuto/potuto portare alto il livello d’attenzione sulla psicologia dei personaggi messi in campo: le frustrazioni di un padre mancato (Cage aveva divorziato dalla moglie con pargolo appena nato, 14 anni prima), il dover inventare un rapporto di protezione impossibile per una persona complessata come lui, etc. Scott avrebbe dovuto, insomma, tirare fuori le armi messe in campo in THELMA & LOUISE, mentre tutto il contorno di comicità forzata –non ci è molto piaciuta la recitazione falso-nevrotica di C. e l’apparato gestuale ad essa connesso– e le scene di truffa risultano inappropriate o, perlomeno, in alcuni casi superflue.
Come dire: i due registri non trovano punti di contatto, come invece avveniva in CATCH ME IF YOU CAN, che è un po’ l’analogo film dove anche Spielberg (vedasi la premessa) si cimentava con una comicità non esattamente rientrante nei suoi precedenti canoni espressivi. Il regista inglese non sembra avere l’ironia per condurre la recitazione su piani adeguati, come riusciva al regista di JAWS, e la storia, non a caso, decolla quando Cage decide di “includere” la figlia nel suo ultimo colpo prima di ritirarsi a vita privata/genitoriale e la vena per così dire drammatica prende finalmente il sopravvento.
Altri hanno apprezzato la confezione al solito curatissima e un discreto senso del ritmo, ma nulla a che vedere con l’inarrivabile frenesia del divertissement spielberghiano, capace peraltro di creare una figura splendida come quella del personaggio interpretato da Christopher Walken.
La melanconia del viso della Lohman, qui anche smaliziata lolita del crimine, vale la visione del film, che si distende peraltro solo nel finale.

Voto: 23/30

01.09.2003

 

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