60. mostra internazionale di arte cinematografica

 

Lezate divanegi

di Hana Makhmalbaf

con: Samira Makhmalbaf, Agheleh Rezaei

Sett. Int. della Critica

di Domenico MONETTI

 

Basta. Lo dissi nei lontani anni ’80 nell’esubero di pellicole statunitensi una più identica all’altra nello sforzo d’emulare Rambo, il Vietnam del John Wayne dei Berretti verdi. Lo dico adesso con i mille stereotipi di un cinema iraniano che, a differenza degli effetti speciali bellici degli statunitensi, usa quelli della povertà a tutti costi, dei palloncini bianchi, del neo-neo-neorealismo, delle barbe incolte. Non bastava Samira (che tra l’altro è protagonista di questo film) ma ci voleva la sorella 15enne Hana Makhmalbaf a mettersi dietro la macchina da presa e raccontarci l’impossibilità di realizzare un film di finzione a Kabul, Afghanistan. Dopo la caduta del regime talebano, Samira Makhmalbaf, figlia del famosissimo cineasta Moshen Makhmalbaf cerca attori e attrici per un film su una ragazza afghana decisa a candidarsi alla presidenza del suo paese. Cinema nel cinema, film nel film (sai che scoperta!) dove troviamo Samira Makhmalbaf che, come una novella presentatrice televisiva, urla alle poverette che dovrebbero recitare nel film ma rifiutano perché hanno di meglio da fare, cioè allevare una famiglia. Le chiude in un furgone e si stupisce che queste, vessate da un marito – magari non talebano, ma violento! – e dall’impegno quotidiano dei figli si rifiutino di recitare per due mesi dall’alba al tramonto. Samira urla e sorride come una Alba D’Eusanio ante litteram, le ricatta coi soldi, dice loro che diventeranno famose, perché tanto lei è la figlia di… mah!. Di estetica cinematografica è inutile parlare perché non esiste… meglio guardarsi una fiction nostrana, almeno si vede meglio rispetto al digitale iraniano fintamente povero&sporco. All’uscita della sala viene naturale fare una proporzione: il regime talebano ha danneggiato l’Iran, quanto la famiglia Makhmalbaf ha fatto col cinema.

 

Voto: 01/30

27.08.2003

 

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